
Dal 19 marzo di quest'anno, ad oggi, gli interessi che l'Italia deve pagare per rinnovare gli stock di debito pubblico in scadenza, sono risaliti sino a toccare il 5,60 per cento attuale, con una costante e inesorabile tendenza al rialzo.
Altro che "salva Italia". I fatti dimostrano che il progetto, tutto politico e per nulla "tecnico", del governo Monti - Napolitano si sta avvitando su se stesso.
Garantire la sopravvivenza e traghettare fuori dalla crisi non solo la classe politica locale e nazionale, i poteri per lo più parastatali di Confindustria, i sindacati, i banchieri ma anche, e soprattutto, l'ingombrante "convitato di pietra" costituito dalla potente classe dei burocrati che presidiano l'immensa macchina della pubblica amministrazione, si è rivelata una idea fallimentare e pericolosa.
In pochi ricordano la lettera firmata Trichet-Draghi e recapitata al governo Berlusconi il 5 agosto 2011. Essa è stata il motore che ha innescato il meccanismo il quale ha portato Mario Monti a Palazzo Chigi e costituisce il nucleo fondante del programma che lo stesso governo si era impegnato a realizzare allorché è andato a giurare al Quirinale e a presentare le credenziali a Berlino.
Nei primi cento giorni di governo, con un Parlamento impaurito sotto la spinta dell'emergenza che avrebbe votato qualsiasi cosa, mentre nel paese il consenso era pressoché unanime e massiccio il sostegno della comunità internazionale, i nostri tecnocrati si sono ben guardati dall'utilizzare lo strumento della decretazione d'urgenza per dare esecuzione alle parti della ricetta Trichet-Draghi indigeste per quelle componenti della società italiana definibili come la "prima classe" del Titanic. L'elenco delle cose non fatte ci costa - adesso - almeno 1,5 punti percentuali in più di oneri sul debito di quanto avremmo dovuto ragionevolmente sopportare nel 2012 se Monti e Napolitano avessero mantenuto per tempo gli impegni presi.
La differenza sta tutta tra i 280 punti di spread di marzo e la crescente delusione per l'ex Super-Mario, certificata dai 409 punti di oggi. Infatti, il "podestà straniero", come scriveva il professor Monti, polemico contro Berlusconi, in un celebre editoriale sul Corriere, chiedeva che «tutte le azioni elencate siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare».
Ed eccole tutte le azioni disattese e scritte con chiarezza nella famigerata lettera: «Il governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi».
E dopo sei mesi di immobilismo su questo fronte il ministro Giarda ci viene a dire che bisognerà ridurre la spesa pubblica di 300 miliardi di euro mentre Patroni Griffi firma un accordo che santifica l'inamovibilità dei pubblici dipendenti. «È necessaria…la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala».
Macché. Di privatizzazioni su larga scala neanche l'ombra. Nel contempo però il ministro Passera ci rassicura e dice che il sistema bancario italiano è già il più liberalizzato e trasparente d'Europa, mentre decine di finanzieri perquisiscono il Monte dei Paschi di Siena (con Mussari alla guida dell'Abi) e la timida apertura al capitale privato nelle municipalizzate ha il solo effetto di scatenare l'alzata di scudi del Pd, come nel caso dell'Acea di Roma.
E, in ultimo: «C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le province)». Di questo impegno non si coglie traccia o risultato tangibile nell'azione del governo.
Al punto in cui siamo è lecito il sospetto che nelle cancelliere e nelle più ovattate sedi delle istituzioni finanziare si consideri l'esperienza dell'euro in fase terminale e che si debba solo gestire un graduale processo di liquidazione che richiede un consolidamento intermedio di alcuni anni da conseguire con il minor danno possibile per i più forti.
Per cui la missione di Monti, ormai podestà straniero in patria, sarebbe quella di salvare i forti e gettare i deboli nella scia, comportandosi come un novello Caronte più che da illuminato statista.
In ogni caso, e qualunque siano le future evoluzioni del quadro politico ed economico europeo, l'Italia deve e può, se vuole, tagliare adesso, subito e in maniera rilevante la spesa primaria della pubblica amministrazione e ridurre ulteriormente la propria quota di debito per salvare il nostro bene più prezioso: l'importante apparato industriale e produttivo che ci ha portato ad essere una delle nazioni più ricche del pianeta come testimoniato dal risparmio privato delle famiglie.
Non possiamo permettere ad un ottusa classe di burocrati di consegnare i frutti della fatica dei nostri padri e nonni all'orda famelica della speculazione per garantire loro poltrone e privilegi insopportabili.
Non possiamo vivere in un costante clima di paura e se un governo è manifestamente incapace di adempiere alla propria missione questo resta al potere per inerzia in qualità di commissario liquidatore, ma non certo di salvatore dell'Italia.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:50