
Mille comuni chiamati a rinnovare sindaci e consigli municipali.
Spiccano Verona, Parma, Genova, L'Aquila, e Palermo. Se si guarda a
nord e sud, sembra di essere tornati a vent'anni fa quando c'erano
la Rete e la Lega degli esordi. Vincono Orlando e Tosi. Con l'ex dc
che frantuma il regno finora incontrastato di Cuffaro e Lombardo,
si torna nella più profonda e nera Sicilia dell'antimafia e della
relativa demagogia.
Un trentennio di tattica calibrata, omogenea a quella dei
comunisti e dei loro eredi, mista alla demagogia antipolitica
contro una casta partitica (di cui è membro da sempre) ha premiato
l'ex sindaco palermitano che riprende il suo vecchio posto. La
vittoria dell'Idv, non dissimile da quanto avvenuto a Napoli,
ammazza ancora una volta nella culla i timidi tentennanti vagiti
moderati presenti nel Pd. Non a caso un falco del legalismo come la
Finocchiaro esulta per la sconfitta del candidato del suo
partito.
A Verona l'unico trionfo di un candidato al primo turno: porta il
marchio Lega, ma solo fino ad un certo punto. La vittoria del
"ligaveneta Tosi" è in diretta linea di discendenza dei Comencini e
dei Rocchetta, i leader veneti stroncati negli anni dalla
leadership di Bossi. Al trionfo veneto, corroborato dal
ballottaggio leghista a Thiene, a Conegliano, a Mira (Venezia),
corrisponde un crollo lombardo. In Lombardia la Lega non andrebbe
oltre 9 comuni su 44 sotto i 15mila abitanti. Dei 25 sopra i 15mila
abitanti, la Lega va al ballottaggio a Palazzolo, Tradate, Cantù.
Ma è fuori a Monza, Como, Crema, Erba, Desenzano sul Garda, Darfo
Boario Terme, Lissone ed anche nel paese natale di Bossi, Cassano
Magnago (Varese). A Monza il centrosinistra al 43.1% doppia la Lega
al 20.6%. A Legnano grillini (15,5%) e Lega (16%) sono pari. La
Lega vince a Mortara (Pavia), Rovato (Brescia) ed in quattro comuni
bergamaschi. Se alla fine dei conti il Carroccio non calerà più di
un mezzo punto, la diversa leadership dei Tosi e degli Zaia peserà
sugli equilibri non solo rispetto a Bossi ma anche allo stesso
Maroni.
Per loro natura, i veneti della Lega Nord sono sicuramente a
destra rispetto a via Bellerio, più capaci di occupare tutto spazio
politico annettendosi il Pdl regionale. Per altro verso, il
secessionismo lumbard ha sempre nascosto l'obiettivo di rifare il
paese alla milanese, con il proposito di commissariare tutto il
Sud, idea che ormai presente quotidianamente in editoriali di molti
autorevoli opinionisti. E se il secessionismo lumbard in questo
senso non è politicamente realistico, ma solo un mito, altra cosa
sarebbe l'idea di secessione veneta in una Lega con capitale Verona
o Padova e ben altra presa avrebbe sulla popolazione tutta.
L'aspirazione sarebbe difficilissima da attuare, ma non
impossibile, potendo basarsi su un dato ormai insopportabile: la
concorrenza sleale che all'impresa veneta fa quella di due regioni
speciali confinanti,Trentino e Friuli. L'ottenimento dello status
di regione speciale per il Veneto aprirebbe la voglia separatista
di tutto il Nordest la cui voce otterrebbe ascolto, attenzione e
supporto al di là delle Alpi. L'assoluta supremazia lombarda in
casa leghista ha finora annichilito sul nascere queste aspirazioni.
La vittoria di Tosi a Verona può rinforzare l'asse Lega-Pdl su
nuove basi di leader, può allontanare Bossi e facilitare Maroni ma
può andare anche molto più lontana. A Genova e Parma è il trionfo
dei grillini. La crescita del movimento di Di Pietro si è nutrita
di quadri ed eletti tratti dalla peggiore parte del pentapartito
meridionale e dei resti dei partiti comunisti; si è così allargato
verso una dimensione operaista e verso le classiche battaglie
antidisoccupazione e chiusure aziendali, abbandonando l'iniziale
liberismo di Tonino.
I grillini invece sono diretti eredi dei girotondi e delle
fiaccolate di legalità, da sempre capitanate da miliardiari
rivoluzionari che apposta confondono tante giuste indignazioni con
violente accuse, elucubrazioni ed invidia contro ogni forma di
classe dirigente esistita, esistente e che esisterà nell'orbe
terracqueo. In comune con vendoliani, dipietristi, storaciani i
grillini hanno l'idea che qualunque cosa organizzata e che esprima
potere sia assimilabile a mafia. Ottenuto anche un sindaco, hanno
trionfato tra il 15% ed il 20% a Genova e Parma, devastate entrambe
dalla sinistra nel tracollo del lavoro e dalla destra
nell'insipienza e guai giudiziari. La sinistra italiana, in
particolare quella finanziaria, di fronte al tracollo dei propri
ideali ha agevolato questa idea devastante pensando di poterla
limitare ed indirizzare solo verso il centrodestra e
Berlusconi.
Ora però la pentola è scoppiata. Così il Pd, come a Milano ed a
Napoli, ed ora a Palermo, anche a Genova riderà per l'elezione di
un sindaco non suo, un vendoliano cui la base Pd ha dato volentieri
il voto nell'idea che finanza, mercato, commercio, edilizia,
politica siano cose non da governare, ma da fermare perché colluse
con la mafia. A Parma il ballottaggio sarà tra Pd e grillini.
Genova poi è la capitale dell'astensionismo. Dovunque si è votato
meno, passando dal 73% al 66% dei votanti, ma sotto la Lanterna non
è andato a votare il 45%, convinto dell'inutilità elettorale dopo
un periodo di numerose chiusure aziendali industriali, portuali,
informatiche, culminato nell'atmosfera inquietante della
gambizzazione anni '70 del dirigente Ansaldo, Adinolfi, enfatizzata
dal continuo racconto unilaterale delle vicende di undici anni fa
del G8 e della Diaz. Anche su L'Aquila la continua fuorviante
narrazione del terremoto, la criminalizzazione ingiustificata
puntata su tutti i fatti e le persone in un modo o nell'altro
assimilabili al centrodestra ha facilitato la vittoria dell'attuale
sindaco Pd e del secondo arrivato Mpa. Crollata al 6% della
candidatura Properzi (Pdl) oggettivamente migliore delle
altre.
La vittoria chiara della Lega, più stabile ma più contraria,
dell'Idv, dei grillini e nel campo di sinistra, dell'area
massimalista, insieme al non decollo di Udc e centro, ora rende più
breve la vita del governo. Soprattutto gli toglierà il supporto del
Pdl che, se proseguisse nel sostegno a Monti, rischierebbe la
spaccatura. Oggettivamente, contando il 3% del Fli andato perso,
non è che il Pdl abbia perso poi molto. Ha invece soprattutto
smarrito strategia, motivazioni e senso di sé. Non in quel novembre
in cui approvò il decollo Monti; ma in quell'estate in cui accettò
l'impostazione europea anticrisi, dando tutte le colpe a Tremonti,
come erano soliti fare Follini, Casini e Fini. Dunque ben dietro di
sé deve guardare il Pdl per ritrovare senso ed elettorato dove li
ha lasciati. Se non abbandonati.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54