Sarà una riforma pro-fannulloni

Una sconfitta dell'efficienza, della produttività e della meritocrazia nella pubblica amministrazione. Una «resa alla cattiva burocrazia». Così Renato Brunetta, già ministro della Funzione pubblica nell'ultimo governo Berlusconi, giudica la "riformicchia" degli statali che il ministro Filippo Patroni Griffi si appresta a varare. E lo fa con una lettera al vetriolo pubblicata ieri sulle pagine del Corriere della Sera. 

Per il momento è ancora soltanto una bozza di accordo, certo, ma Brunetta vi intravede già i fantasmi di un'involuzione, un'inversione di rotta, un abbandono, per usare le testuali parole del deputato Pdl, dei «principi fondamentali che ci legano all'Europa». Ma si può condannare il paese ad almeno un altro ventennio di immobilità solo per garantirsi qualche mese di tranquillità a Palazzo Chigi senza la minaccia di sindacati pronti ad occupare le piazze con l'Invencible Armada dei "monsù Travet"?

«Gli italiani, l'Europa, i mercati chiedevano e chiedono per la nostra pubblica amministrazione: più efficienza, più trasparenza, più competenza, più produttività, meno costi, meno polvere, meno carta, meno addetti, meno privilegi». E invece cos'ha pensato di proporre Patroni Griffi? La stessa cosa che avrebbe fatto un ministro politico impastoiato nelle paludi del servilismo allo strapotere della Trimurti sindacali e del veto dei partiti: «Niente licenziamenti economici, niente mobilità, niente responsabilità dei dirigenti, niente merito individuale con relativi premi, niente trasparenza, nessuna accelerazione sull'e-government». Un ritorno al passato senza precedenti, secondo il ministro dei tornelli, della caccia ai fannulloni, della posta certificata e degli sportelli a portata di clic. Insomma, «una resa alla cattiva burocrazia e al cattivo sindacato».

Un ritorno al peggior fantozzianesimo da ufficio, quello degli impiegati che timbrano il cartellino e poi escono per fare un secondo lavoro, quello dei colleghi che giocano a battaglia navale col dirimpettaio di scrivania e alle cinque meno cinque sono già pronti a scattare al suono della sirena come i centometristi alla pistola dello starter. Solo che stavolta non si tratta dell'ufficio "Bustarelle e ricatti" della fantomatica Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica dove lavora il ragioniere più sfigato del cinema italiano ma, a detta dell'ex ministro della Funzione pubblica, di una realtà consolidata destinata a radicarsi ancora di più. 

Dopo la non-riforma del lavoro, incline più ad una morale gattopardesca che alle esigenze di un paese che si dibatte per sbrogliarsi dalle spire della crisi, la bozza di riforma della Pa appare come un vero e proprio desiderio di cancellare tutti i piccoli ma significativi passi avanti compiuti a fatica negli ultimi anni. È scritto nero su bianco e, nonostante gli arzigogoli e i giri di parole, di spazio per le illusioni non ce n'è. L'Italia dovrà continuare a vedersela con un'imprenditoria nazionale messa alla catena da uno stato rigorista con tutti tranne che con se stesso, pronto a tagliare su tutto tranne che sulle risorse che servono ad "affamare la bestia", avido di tasse e di escamotage per non dover mai fare i conti con la propria inefficienza.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03