
Immaginare che il 6 maggio, il prossimo presidente della Repubblica francese possa compiere il miracolo di convertire la Germania a politiche neo-keynesiane, trasformando la Bce in una Fed all'europea, è una pericolosa illusione. La somma delle debolezze non fa un forza.
Fiscal compact più 6pack sono già lì a Strasburgo, e tutte le cancellerie dell'Eurogruppo si sono impegnate a convergere. Limature e aggiustamenti saranno possibili solo per accontentare le opinioni pubbliche e imbonirle con qualche conferenza ove si sventoleranno risoluzioni "per la crescita" e dossier dai titoli tanto pomposi quanto miseri saranno i provvedimenti. Quel che servirà ai cugini d'oltralpe per calmare i bollenti spiriti non è detto che serva -o basti- al nostro paese il quale, peraltro, di sgambetti né ha ricevuti quanto basta da suggerire una prudente diffidenza più che un inopportuno appiattimento. È evidente che non c'è una guida, o la concreta voglia di mettersi al timone dell'Europa a 27 né a Berlino, né tantomeno a Parigi.
Quando si discute di soldi, di energia e di sicurezza gli stati nazionali continuano a procedere alla vecchia maniera e i comunicati stampa dei vari organismi dell'Unione vengono riposti nei cassetti. L'orizzonte politico per Angela Merkel è tutto nelle elezioni del 2013, che è anche l'orizzonte temporale del governo Monti-Napolitano in Italia. La Bundesbank è, al momento, un cane da guardia per luoghi inaccessibili ove gli editoriali di Paul Krugman sul New York Times, portati ad esempio dai tanti sognatori di un New Deal all'europea, sono visti come fumo negli occhi. Da oltreoceano, in piena campagna elettorale, anche lì con un agenda orientata al 2013, sono giunte verso l'Europa molte parole, moniti, consigli, pacche sulle spalle ma niente soldi. Neanche un dollaro Usa per potenziare i fondi del Fmi di madame Lagarde.
È meglio dunque rivolgere lo sguardo verso noi stessi, prendere atto della realtà e cercare di risolvere i problemi contando sulle nostre forze. «Il quadro macroeconomico presentato nel Def rimane soggetto a rischi al ribasso». Sono le parole del vice direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, all'audizione della commissione bilancio della Camera del 23 aprile. E precisa: «Valutazioni più pessimistiche provengono dall'Fmi, che stima una caduta del Pil dell'1,9 per cento quest'anno e un'ulteriore contrazione nel 2013 (-0,3 per cento); il divario discende prevalentemente, per quest'anno, da una valutazione molto negativa dell'Fmi sull'andamento delle scorte; per l'anno prossimo, da una maggior debolezza che il Fondo attribuisce ai consumi, per oltre un punto percentuale, conseguente a proiezioni per l'occupazione nettamente più sfavorevoli». Tradotto: quel che ha fatto il governo Monti non basta. Lo sanno tutti gli economisti e analisti, anche se non tutti possono o vogliono dichiararlo pubblicamente. Il sistema è ingessato.
L'adesione scrupolosa del governo italiano a politiche di aggiustamento fiscale allineate alle richieste della Germania contiene la speranza di poter negoziare un ammorbidimento del rigore, ma solo dopo aver dimostrato di aver fatto "i compiti a casa". Si confida anche sulle debolezze degli altri paesi imposte dalla congiuntura economica negativa. Ma questa strategia si rivela debole perché mancante dello stimolo necessario a sostenere le attività produttive con la contestuale diminuzione del peso dello stato nella vita dei cittadini. Non solo si sta impoverendo la struttura industriale, deprezzando il patrimonio delle famiglie, ma si continuano a scoraggiare gli investimenti e la propensione al rischio, ponendo a carico di chi produce valore aggiunto, oltre al peso fiscale, ulteriori oneri burocratici, bizantini adempimenti e continue vessazioni che si traducono in maggiori costi e minore produttività.
Le assurde, tortuose e crudeli modalità e procedure di pagamento dell'Imu, da sole, bastano a smentire e affossare ogni pretesa di azione di semplificazione, liberalizzazione e orientamento all'efficienza dell'apparato pubblico vantata dal governo Monti-Napolitano. I ministri tecnocrati hanno perso lo slancio propulsivo rivelando un coacervo di interconnessioni e interessi con l'apparato burocratico della pubblica amministrazione, il quale possiede un'inerzia enorme e una impenetrabilità al cambiamento formidabile. Lo stato continua ad essere nemico del cittadino e a trattarlo come un suddito.
Da salvatori dell'Italia ed innovatori, a conservatori dei privilegi e delle rendite di posizione dei burocrati il passo è breve. L'arrocco del Quirinale, che spende la sua autorevolezza per puntellare governo e partiti, può regalare ancora un po' di tempo, ma andare avanti così sino al 2013, in assenza di azioni di riforma strutturale ben più incisive e convincenti di quanto si è visto sino ad oggi, rischia di erodere ogni residua credibilità di tutte le istituzioni.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:08