
Orso di Pietra, nel suo editoriale del 20 aprile, ha colto il punto della metamorfosi di Monti in chiave "grillina". Eppure neanche Peppe Grillo, che pure nei comizi chiama il premier "rigor montis", ha l'ardore di invocare il "convitato di pietra" di tutte le febbrili riunioni che si svolgono in queste ore nei palazzi della politica: le elezioni anticipate.
Il tempo, scriveva Margerite Yourcenar nel suo "Le Memorie di Adriano" è il grande scultore della storia. Ed è proprio di tempo hanno bisogno tutti gli attori, partiti, movimenti e gruppi, Monti e Grillo compresi, per riorganizzarsi, rifondarsi e stipulare nuove alleanze necessarie per partecipare all'agone elettorale. Quanto tempo? Resisterà il governo del Presidente sino alla scadenza naturale della legislatura? E, soprattutto, a chi conviene prendere più tempo e a chi, invece, conviene giocare in contropiede?
Dopo le elezioni presidenziali in Francia, già a maggio, sarà inevitabile una fase di turbolenza finanziaria e di tensioni nell'Eurogruppo. In questo scontro di interessi tra Francia e Germania e un'America in campagna elettorale non certo benevola verso gli europei, l'Italia è il vaso di coccio tra i vasi di ferro. Già adesso le impietose valutazioni del Financial Times e del Wall Street Journal delineano un quadro di perdurante sfiducia verso il nostro paese, ancora esposto agli attacchi speculativi. Il ruolo centrale di Napolitano, sino ad oggi, è stato induscutibile e indiscusso. Ma l'indebolimento di Monti come premier e il suo tracimare verso la competizione politica, sia sul fronte interno che sullo scenario internazionale, per riflesso, andrà ad indebolire anche il suo principale sponsor, il Quirinale, restringendone gli spazi di manovra e rendendolo più esposto a chi, tra i leader politici, saprà manovrare dietro le quinte.
Poco o nulla è cambiato nell'assetto e nell'apparato della Repubblica in tutti i suoi innumerevoli gangli e diramazioni, comprese le aziende controllate dal Tesoro, la RAI in primis. Immobilismo o continuità nella stabilità, poco importa la diagnosi sul passato. Quel che contano sono le scelte o le non scelte da fare presto e gli effetti che esse produrranno in futuro.Tutto è cambiato o sta cambiando a velocità impressionante nella geografia del potere finanziario e nell'impianto produttivo industriale del paese, (basti pensare all'eclissi della Fiat), per effetto dell'irresistibile pressione esercitata dai grandi mutamenti globali che hanno spostato fuori dall'occidente la geografia della ricchezza su scala mondiale dai cui conseguono le complesse partite geopolitiche in corso, delle quali l'Italia non è attore ma ostaggio.
La classe politica è compressa, schiacciata in questa evidente contraddizione, che diviene sempre più insopprtabile in assenza di ogni vera evoluzione strutturale di sistema. E il popolo, nella sua più vasta accezzione del termine, si vede costretto a farsi carico di tutti gli oneri senza però intravedere all'orizzonte un qualche futuro beneficio. Per quanto ancora si potrà continuare così, senza dover mettere in conto l'eventualità di future nefaste conseguenze per la democrazia e la libertà?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:09