
«Condividere posizioni come quella sulle rassegne stampa libere significa gettare le basi perché anche in Italia arrivi il Partito dei Pirati». Lo ha dichiarato Lelio Alfonso, responsabile Public Affairs External and Media relations di Rcs Media Group, uno dei principali gruppi editoriali italiani. Quello che, per intendersi, manda in edicola il Corsera, la Gazzetta dello Sport, El Mundo, e decine di altre testate italiane e straniere.
Lasciamo perdere per un attimo le spicce ironie su quanto un'affermazione del genere somigli a quelle dei "matusa" che quarant'anni fa ammonivano i "giovani con i blue jeans" di stare lontani dal Rock 'n Roll, perché «è la musica del diavolo» e «porta alla droga». Troppo facile, davvero. Tralasciamo anche il fatto che il Partito Pirata in Italia già esiste, e con tutti i giornali e i media che Rcs edita, Alfonso avrebbe anche potuto informarsi. Come se poi il Partito dei Pirati potesse davvero essere più demagogo, retorico e populista dei movimentini di casa nostra, che tra grillini dell'M5S, Popolo Viola e femministe a mezzo servizio alla "Se non ora, quando?" non devono certo imparare da nessuno come cavalcare la pancia dello scontento nazionalpopolare.
Quello che fa davvero impressione è che il rappresentante di un colosso editoriale che vanta la primogenitura su ben due dei quotidiani più venduti di casa nostra si senta talmente minacciato dalle rassegne gratuite on-line da bacchettare persino il presidente della Camera, Gianfranco Fini, "colpevole" di aver preso le difese di una pratica definita senza mezzi termini «illegale». Facendo letteralmente saltare sulla sedia una platea di comunicatori, imprenditori startupper e giornalisti che ieri mattina si erano radunati con le migliori intenzioni alla corte dello spin doctor Claudio Velardi per parlare di Agenda Digitale con l'onorevole Pdl Deborah Bergamini. La quale, per inciso, ha poi ammesso di non acquistare più quotidiani da quando può accedere alla rassegna on-line della Camera. Restituendo al mittente uno zompetto sulla sedia uguale e contrario. C'è da dire che, essendo deputato, Bergamini si è semplicemente limitata a consultare sul web una rassegna che prima le veniva recapitata in tante fotocopie sul tavolo dell'ufficio. Nemmeno in questo caso, dunque, la rivoluzione digitale ha nuociuto alla stampa. Per contro, ha fatto senz'altro tanto bene agli alberi.
La battaglia sulla rassegna libera imperversa ormai da giorni. L'Opinione ne aveva parlato su queste pagine qualche giorno fa, quando la rivolta dei lettori sul web si era fatta particolarmente virulenta e contagiosa. A sollevare per primo il caso era stato "Il Cicalino", un blog di breaking-news e live gossip politici gestito da una anonima redazione di insider direttamente dai corridoi della Camera dei Deputati. Il "cicaleccio" contro la decisione della Fieg di oscurare tutte le rassegne on-line è partito il 12 aprile, rimbalzando sul web e nei social network, conquistandosi ben due hashtag su Twitter (#rassegnelibere e #rassegnastampa") e accattivandosi anche qualche "padrino" eccellente. Non solo il presidente della Camera, criticato da Alfonso proprio per il suo intervento da deus ex machina a salvaguardia della rassegna stampa di casa propria. Ma anche l'ex direttore del Tg1 Gianni Riotta, che ha preso a cuore la battaglia per le rassegne "free", contribuendo dal suo profilo Twitter a fargli acquisire notorietà a livello nazionale. Del resto, proprio Riotta è stato tra i primi ad utilizzare i link diretti dalla rassegna stampa della Camera dei Deputati per segnalare ai colleghi giornalisti, ai politici e alle migliaia di "follower" gli articoli più interessanti della "mazzetta" virtuale di Montecitorio. Dato curioso: del quotidiano di via Solferino che oggi tanto vitupera le rassegne on-line Riotta è stato firma di punta e vicedirettore.
Siamo seri: quanti sono quelli che tutte le mattine cliccano le rassegne on-line come quelle della Camera? A parte gli "addetti ai lavori", s'intende. Ovvero coloro i quali fanno informazione (i giornalisti) e quelli che dell'informazione sono il principale oggetto (la "rea confessa" Bergamini, i suoi colleghi parlamentare, i politici in genere, le istituzioni, qualche grosso imprenditore, e pochi altri). Pochi. Quanti di loro, anziché comprare un giornale, molto più semplicemente rinuncerebbero a leggerlo se quella rassegna gratuita non ci fosse? Ci viene da pensare: quasi tutti.
Anche il quotidiano l'Opinione ha scelto di far sua la "lotta dura" per le rassegne libere, con un piccolo endorsement al Cicalino su Twitter e Facebook. E non per smisurato tafazzismo giornalistico, ma per una semplice serie di considerazioni. Tre in particolare. In primis, quella che i bavagli alla rete non hanno mai funzionato, sia che fossero censori sia che fossero in assoluta buona fede. In secondo luogo, è ridicolo additare le rassegne stampa on-line come una delle principali cause della crisi dell'editoria italiana, come se davvero migliaia di utenti corressero in edicola a comprare almeno cinque quotidiani ogni giorno se non li trovassero più a disposizione su Internet. Infine, ma non ultimo, l'incontestabile dato di fatto già esposto poc'anzi: ormai le rassegne on-line sono l'unico modo che hanno le piccole testate di far sentire la propria voce anche al di là dello sparuto numero dei loro fedelissimi (ma pochi) lettori. Il fatto di essere letti ogni giorno dall'onorevole X, che quotidianamente commissiona al suo portaborse l'acquisto di una mezza dozzina di testate, è sicuramente una gran cosa. Ma il fatto di poter capitare sotto gli occhi di un Riotta di passaggio che posa lo sguardo su un pezzo particolarmente curioso e lo fa sapere tramite web a 67mila persone in un colpo solo, è tutto un altro paio di maniche. E scusate se è poco. A noi laboriosi operai dell'informazione italiana, e a tanti altri come noi, sembra già tantissimo.
Certo, se anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, figuriamoci quanto possono imbestialirsi gli sponsor che spendono fior di milioni per finire su paginoni nazionali che rischiano poi di non essere mai letti per davvero. Non ha tutti i torti nemmeno il Pa di Rcs, Alfonso, quando dice che «sul web "free" non deve voler dire per forza "gratis"». Ma non significa nemmeno che ai detentori dei diritti (di proprietà, in questo caso) debba per forza venire l'orticaria ogni volta che si affronta il tema, inevitabile, della diffusione dei contenuti in rete. E non significa nemmeno che, al posto di oscurare le rassegne, non si possa trovare la maniera di mettere on-line i .pdf delle pagine intere, anziché i singoli articoli, in modo da lasciare al loro posto anche le pubblicità. Tanto per fare un esempio.
Se i presupposti sono questi, allora ben vengano i pirati con liste e listoni su cui campeggia fiero il "Jolly Roger". Almeno loro, nonostante la benda sull'occhio, vedono decisamente più lontano di chi sa rispondere solo chiudendo tutt'e due le palpebre.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:40