Quel Pdl anti-proporzionale

È positivo che il tavolo dei saggi abbia confermato la scelta di impegnare da subito il Parlamento sulle riforme istituzionali. È quanto pensano i deputati del Popolo della libertà che, insieme ad altri colleghi del Pd, hanno promosso negli scorsi giorni un appello bipartisan per evitare un ritorno a maggioranze variabili e ad una legge proporzionale. E se nessuna bandierina è stata piantata nel magmatico campo su cui si gioca la partita del riassetto delle riforme istituzionali, il fronte dei maggioritaristi almeno un risultato l'ha già ottenuto: ha riaperto un dialogo serio all'interno del partito. «Vogliamo dichiarare la nostra ferma contrarietà ad ogni modifica normativa che sottragga ai cittadini, oltre alla scelta dei parlamentari, anche la scelta del governo» hanno scritto i dieci promotori nel testo del documento.

«Sarebbe un grave arretramento se la scelta del governo dovesse essere esplicitamente sottratta al giudizio degli elettori», continuavano Antonio Martino, Giorgia Meloni, Giuseppe Moles e Gianfranco Rotondi. Che insieme ai colleghi Cossiga, Beccalossi, Bianconi, De Camillis, Malgieri e Rampelli hanno lanciato un sasso che potrebbe aver smosso le acque in un partito che si stava sonnecchiosamente adeguando alla deriva proporzionalista presa dal dibattito. 

Incassando l'attenzione di uno dei coordinatori del partito. Nella serata di giovedì Ignazio La Russa aveva fatto sapere che è «disponibile a incontrarli tutti insieme o singolarmente». L'ex ministro della Difesa ha spiegato di voler aprire un dibattito sull'argomento: «Voglio capire il senso del loro appello e fornire elementi di conoscenza per far capire che il Pdl non accetterà mai di fare una legge elettorale uguale a quella della Prima Repubblica».

Se l'attenzione di La Russa sia rivolta ai temi oggetto delle rivendicazioni dei firmatari, o se sia un modo per disinnescare sul nascere una discussione che potrebbe allargarsi con conseguenze imprevedibili, è ancora presto per dirlo. Di certo non deve essere sfuggito all'ex esponente di Alleanza Nazionale che al documento si sono aggiunte altre venti firme. Mara Carfagna, Beatrice Lorenzin, Marco Milanese, Basilio Catanoso, Gabriella Giammanco, Marcello De Angelis, Annagrazia Calabria e Barbara Mannucci sono solo alcune delle nuove firme in calce all'appello che rivendica il dna presidenzialista e maggioritario del centrodestra italiano. Alle quali si va ad aggiungere anche quella di Francesco D'Alcontres, di Grande Sud. Tutti, o quasi, componenti della nuova generazione pidiellina, cresciuta e stimolata da Silvio Berlusconi.

Probabilmente non è un caso che proprio Moles sia stato ricevuto ieri dal Cavaliere nella sua residenza di Palazzo Grazioli. L'ex premier sta monitorando con molta attenzione l'evoluzione del dibattito all'interno del partito. Che l'iniziativa dei maggioritaristi abbia avuto riscontri forse anche inaspettati è un dato di fatto. Di cui anche Angelino Alfano sta tenendo conto in queste ore. Ma è ancora presto per dire come andrà a finire. «La situazione è preoccupante e in continuo movimento» ha ammesso un alto dirigente di via dell'Umiltà, «per non sparire nessuno sa che pesci pigliare». Tra i firmatari dell'appello serpeggia una certa soddisfazione per l'aria che tira nel partito. Nel Pdl infatti, anche chi non ha sottoscritto l'appello, si dice convinto della necessità di una riforma che rafforzi i poteri del premier. «Solo rendendo il governo e il presidente del Consiglio non succubi delle proprie maggioranze si potrà uscire da quella che altrimenti sarà un'inevitabile empasse» si ragionava a Montecitorio.

Un po' tutti condividono la preoccupazione che il via libera alla composizione delle maggioranze di governo solo dopo le elezioni riporti il paese «in quella condizione di parlamentarismo di sostanza e non solo formale la cui degenerazione è stata decisiva nel crollo della Prima repubblica». In questo senso sono diverse le anime del partito che hanno trovato nell'appello «uno strumento utile per definire l'orientamento del partito sulla materia». In molti sono infatti rimasti scottati dalla dichiarazione di giovedì degli esperti che uscivano dall'ennesimo vertice: «Abbiamo trovato l'intesa sul minimo indispensabile». Un po' poco per chi dice di voler cambiare il paese.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:33