Cambiare l'Italia da Internet

Stefano Parisi ci riprova e da Presidente di Confindustria Digitale, lancia l'Internet che cambia l'Italia. Un paio d'anni fa Parisi, da presidente di Asstel (Associazione confindustriale della telecomunicazione) aveva provato ad accelerare per il piano sulla fibra ottica e sulla banda larga. Si era però appoggiato troppo al governo Berlusconi, a Romani e ai progetti del romano Borghini, tesi a costringere Telecom Italia ad accettare un piano di gestione collettiva, tra il pubblico e tutte le telco private, per il passaggio dal rame alla fibra. Non è che l'appello per la banda larga di massa fosse una grande novità.

L'anno prima ancora c'era stato il piano Caio, a sua volta successivo a tanti progetti tesi a modernizzare la rete telefonica, assicurandone anche la neutralità, cioè il non utilizzo a proprio vantaggio da parte di Telecom Italia, allo stesso tempo proprietaria della rete e operatrice su un mercato - quello delle telecomunicazioni - sulla carta uguale agli altri. Per una di quelle strane coincidenze temporali, che nessuno mai vorrà notare, successe di tutto, cioè la magistratura s'interessò dell'Ict. Parisi si ritrovò a dover dare spiegazioni in diretta al conciliatore Tv Vespa e alla sua piccola giuria popolar-giornalistica; poi fu anche costretto a cambiare azienda, diventando Swisscom. Nel frattempo l'inventore di Metroweb e Fastweb Silvio Scaglia inaugurava la detenzione, prima carceraria, poi domiciliare, giunta ai 363 giorni. Al secondo tentativo, Parisi promosse la filiera digitale, cercando il fattore comune di tutti i mondi che ormai girano strettamente attorno alla produzione del tecnosistema Internet, dagli impianti sottoterra e dalle antenne in cielo, alle infrastrutture di cabine e data center, fino a telefonia, software, telemarketing, applicazioni con la volontà di includere le nuove facce digitali di editoria e Tv. Qui, affrontando una delle evidenze più sottovalutate - vale a dire quanto Internet abbia cambiato il lavoro, le sue gerarchie, i rapporti tra persone e aziende e relative mobilità e logistica - Parisi suo malgrado finì in rotta di collisione con quello che avrebbe dovuto essere un alleato, il ministro Brunetta autore del Codice dell'Amministrazione Digitale. Purtroppo per Parisi, però, il ministro amava poco la concertazione e così la filiera sbandò mentre aziende e associazioni iscritte cominciavano a dubitare dell'efficacia di rapporti istituzionali in cui lo Stato, driver fondamentale per l'Ict, tirava diritto su norme e scadenze senza consultare professionisti e fornitori. 

Adesso Parisi, passato al livello più alto e rarefatto di Confindustria Digitale, ci riprova, cercando di agganciare l'Agenda Digitale del governo. In una grande kermesse davanti ad un migliaio di Professional, non più al destrorso Residence di Ripetta di Roma, ma al sinistrorso Auditorium (sempre nella Capitale), dove brilla il brand falce&martello occasionale logo di un concerto di Shostakovich, l'intervento fiume di Parisi propone l'aspirazione di sempre: l'Ict al potere. Un Ict che non segua le fisime della Pubblica Amministrazione, ma che al contrario la possa cambiare secondo le esigenze di codex, apps, storage, workflow e tablet. Il tecno inglese, latinorum di categoria, scorre a go-go sulle bocche dei De Biase, ventennale tecnogionalista del Sole, che ha l'onestà di riconoscere in Confindustria il suo editore; e di quel Befera che mette in campo il pezzo PA che su efficacia e interoperabilità dei database, ha fatto passi da gigante in Sogei, Agenzia delle Entrate ed Equitalia; soprattutto sulle bocche delle star, il ministro Passera (con il collega Profumo) e la commissaria per l'Agenda Digitale europea Neelie Kroes. 

Non c'è voce dissonante, nell'unanimismo confermato dall'assenza di Formigoni. Passera promuove con i complimenti Parisi. Non ha nulla da aggiungere ai cinque punti di Confindustria Digitale: più Venture capital e più domanda pubblica e privata online, banda larga, riforma del diritto d'autore, formazione digitale. Esce la coda di paglia, qui e là, della paura recessiva. Lo Stato digitale, gli acquisti online familiari, il cloud, la fine del copywrite promettono tutti risparmi, che in fondo sono minori fatturati. E tutti a consolar che non è vero. 

Parisi chiede oggi l'Iva al 4% per gli e-book come ieri chiedeva qualcosa dei quattro miliardi dell'asta frequenze; o almeno che le Poste non facciano pagare il bollettino online il 35% in più che allo sportello. Sa che non sarà esaudito, ma almeno prova; sempre con lo spirito di ieri rivendica la leadership tecnologica italiana che per la stampa, ferma all'allarme digital divide, non esiste. Passera plaude alla positività, ai sogni che danno forza, al potere centrale che imponga d'autorità carta d'identità elettronica, acquisti online, email certificata e stigmatizza la disunità di camere stagne che senza collaborare, fanno le stesse cose in migliaia di associazioni, enti centrali e locali. Ricordando l'esperienza da AD Poste, cerca di essere le visage humaine del governo fiscale. Sembra, però, che la soluzione sia obbligare gli anziani, quei 16 milioni di pensionati, ad usare internet. 

Il discorso batte sempre sul lato del consumo, mai sulla produzione che nelle varianti, solide e virtuali, non ha sostegni o strategie. Il trevigiano Donadon, un Rosso dell'ICT, racconta di tecno incubatori sparsi nella campagna di fronte a Venezia e al fiume Sile; enfatizza territorio ed export ma è l'unico. Agli altri interessa come comprare, a costi inferiori, o finanziare. Il lombardo Maccari annuncia la fibra entro dicembre per gli ultimi 700 comuni mancanti. I ministri annunciano call da due miliardi, che in realtà stanno dentro i fondi strutturali. La Kroes, venuta a seguire da vicino l'Agenda italiana e i "ministri che ci mettono la faccia" plaude all'uditorio, non "pastasciuttaro" e paziente fino all'ora di pranzo, ma ribadisce che gli italiani adulti non sono digitali e critica i tentennamenti sulla posa della fibra. Ammicca continuamente con fare sbarazzino, un "lo dico solo tra di noi", in completo contrasto con il tailleur dai grandi baveri bordati goeringhiani; difatti non accenna all'inchiesta in corso contro le grandi telco. Mentre ripete la visione ottimistica che dal '94 Bruxelles sciorina sui futuri milioni posti di lavoro creati dal digitale e si raccomanda "Tenetevi questo governo", nemmeno sente la triste battuta di De Biase: "Speriamo che un giorno un americano le scriva un messaggino tipo twitter usando una piattaforma IT europea". Bei sogni. Il Parisi ter ci riprova con il nuovo establishment che sembra promettere sogni senza sorprese da incubo. Almeno finché non ci si sveglia. 

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:18