
Per ora se ne conoscono venti, ma sembrano essere molti di più i parlamentari che hanno sottoscritto un appello affinché la discussione sulle riforme istituzionali e la legge elettorale non prenda la china di un ritorno al proporzionale e alle maggioranze variabili di vent'anni fa. Un documento che richiama la necessità che i cittadini scelgano chiaramente il governo e il presidente del Consiglio. Perché «Il cambiamento del paese non può passare per metodi da Prima repubblica», spiega Giuseppe Moles, Pdl, tra i primi firmatari.
Quali sono le ragioni di questo documento?
Si tratta dell'inizio di una raccolta di firme: vorremmo
dare vita ad una discussione che sia ampia e partecipata. A parte i
colleghi che hanno firmato, sono molti i deputati che si sono
interessati ai temi che proponiamo. Quello delle riforme
istituzionali e del cambiamento della legge elettorale è un tema
fondamentale, e i principi ai quali ci richiamiamo possano aiutare
chi è oggi impegnato nel costruire l'impianto delle riforme.
Parlava di alcuni parlamentari pronti a firmare. Quanto
si può allargare il fronte che avete aperto?
Sarà interessante scoprirlo nei prossimi giorni. Abbiamo
fatto girare il documento in sordina, senza clamori, proprio perché
non avevamo intenzione che fosse percepito come una provocazione
nei confronti di chi sta lavorando sull'argomento. Ma possiamo
contare già da adesso su una serie di adesioni delle quali le
agenzie di stampa non hanno dato conto.
Può farci qualche nome?
Sono diversi, a partire da Deborah Bergamini, che proprio
sulle pagine del vostro giornale qualche giorno fa ha difeso con
forza lo spirito bipolare che ci proponiamo di preservare.
Perché un appello così in controtendenza rispetto a quel
che sta emergendo dal tavolo delle trattative?
In realtà non mi sembra che sia emerso nulla di preciso
finora. Per questo richiamare quali principi inderogabili la
possibilità dei cittadini di scegliere il proprio governo e di
indicare il presidente del Consiglio può essere utile allo sviluppo
del dibattito in corso. Inoltre la scelta del bipolarismo è nel dna
del centrodestra italiano.
Tuttavia tira un vento proporzionale.
È mia convinzione che i sistemi elettorali siano degli
strumenti. Va da se che se si vuole intraprendere una strada che
vada in direzione della governabilità e del bipolarismo bisogna
prevedere un sistema che abbia determinate caratteristiche. Se si
preferisce tornare alla partitocrazia, si sceglierà un sistema che,
per esempio, non preveda l'indicazione del premier. Ma dice bene
Angelino Alfano: occorre prima rimettere mano all'impianto
istituzionale del nostro paese.
In che modo?
Il sistema maggioritario in Italia non ha fallito per una
propria debolezza intrinseca, ma perché il sistema costituzionale è
arretrato. Il premier non ha la possibilità di sciogliere le Camere
e indire le elezioni. Come invece accade nei sistemi anglosassoni,
dove il maggioritario funziona perché il primo ministro si assume
la responsabilità politica di governare, ma qualora perda la
propria maggioranza in Parlamento si torna al voto.
Rafforzare l'esecutivo, dunque?
In generale sì. Ma soprattutto fare in modo che non sia
ostaggio di maggioranze variabili. Con un sistema proporzionale
verrebbe meno la possibilità dei cittadini di scegliere tra diverse
alternative politiche e da chi farsi governare. Se devo indicare
una preferenza, sarebbe sicuramente in direzione del
presidenzialismo - statunitense piuttosto che francese - e del
maggioritario.
È esattamente quello il timore dal quale nasce l'appello. Ma dobbiamo chiarirci rispetto a quale tipo di Italia vogliamo.
Questo Parlamento è in grado di portare a termine una
riforma così impegnativa?
Credo di sì. Ma ci deve essere da parte di tutti la ferma
volontà di riformare il paese. Ma ho il timore che siano molti
coloro che preferiscono conservare una situazione di
galleggiamento, in modo da poter essere sempre l'ago della bilancia
all'indomani delle elezioni.
Si riferisce a qualcuno in particolare?
Al Terzo Polo. Ai centristi farebbe estremamente comodo
un sistema che prevedesse la definizione delle maggioranze di
governo solo dopo le elezioni politiche, perché diventerebbe l'ago
della bilancia. Ma gli italiani si sono ormai abituati a scegliere
tra programmi e candidati diversi. È il sistema istituzionale a non
essersi adeguato.
Un'abitudine databile alla discesa in campo di Silvio
Berlusconi nel '94?
Certamente. E non si tratta di nostalgia. Richiamarsi a
quella stagione è il modo migliore per rafforzare l'identità del
Pdl e la direzione che dovrebbe intraprendere. Il Popolo della
libertà è nato da un'intuizione, ma occorre fare un passo avanti, e
costruire una propria identità.
Il famoso "spirito del '94".
Che tuttavia non significa tornare indietro nel tempo, ma
recuperare la voglia che c'era di cambiare l'Italia. Quella volontà
è la stessa che ancora oggi alimenta le speranze di gran parte del
nostro elettorato. Berlusconi ha sempre vinto sulla scorta di
quell'afflato ideale, che solamente noi possiamo recuperare per
metterlo a servizio del paese.
Le istanze di riforme istituzionali che ponevate nel '94
sono anche quelle che richiamate oggi?
Esattamente. Ma in quel periodo a tema c'erano anche lo
sviluppo economico, l'occupazione, la riduzione della presenza
dello stato nella vita dei cittadini, la riduzione della pressione
fiscale. Gli stessi temi di cui si parla oggi. Il che ci dimostra
che siamo dalla parte giusta della storia.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:08