
«Vogliamo dichiarare la nostra ferma contrarietà ad ogni modifica normativa che sottragga ai cittadini, oltre alla scelta dei parlamentari, anche la scelta del governo. Sarebbe questo un grave arretramento se la scelta del governo dovesse essere esplicitamente sottratta al giudizio degli elettori». Non è il testo delle motivazioni di un referendum proposto dall'Idv. Ma quel che si legge in un appello sottoscritto da venti parlamentari di Pd e Pdl. Da Antonio Martino ad Arturo Parisi, da Giorgia Meloni a Gianfranco Rotondi, da Giuseppe Moles a Giulio Santagata. Tutti ad invitare i propri colleghi a boicottare l'ipotesi di legge elettorale proporzionale emersa nelle scorse settimane dal tavolo delle trattative tra i partiti che sostengono il governo Monti. Indice puntato su Luciano Violante e Gaetano Quagliarello, dunque, i grandi tessitori delle intese di riforma. Che non è tale per Mario Barbi, firmatario di sponda Democratica del documento: «Quella che sta emergendo non è una riforma. Piuttosto una restaurazione».
Addirittura?
Siamo di fronte ad un passaggio cruciale per il paese. La
preoccupazione e l'urgenza di cambiamento sono avvertite tanto dai
cittadini quanto dalle forze politiche. Ma sembra assurdo che
questa necessità si traduca in un arretramento verso vecchie idee e
abitudini, che hanno segnato il parziale fallimento del nostro
sistema politico.
A cosa imputa la china che hanno preso le
trattative?
A una forte sfiducia nei confronti del maggioritario, o alla
convinzione che sia preferibile decisamente un sistema multipolare.
Non saprei proprio. Però si sta affermando nelle maggiori forze
politiche l'idea di sottrarre ai cittadini ulteriori decisioni
nella vita pubblica. E mi riferisco alla definizione della
maggioranza di governo e a quella del premier designato.
La colpa è dell'impossibilità di Pd e Pdl di costruire
una coalizione che possa presentarsi alle urne?
La rottura delle alleanze storiche potrebbe essere solo uno degli
elementi. Non sono sicuro che questa sia la causa dell'ipotesi di
riforma proporzionale. O se piuttosto sia proprio la direzione
intrapresa dai maggiori partiti in questo senso a mettere in crisi
i partner.
Una questione di convenienza?
Il ritorno al proporzionale è sempre stata un'istanza
presente tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra. In
entrambi gli schieramenti c'è stata negli anni una componente che
ha lavorato per far fallire le coalizioni. Anche per questo la
transizione tra Prima e Seconda repubblica non è mai avvenuta
compiutamente. E chi ha contribuito a frenarla è anche chi oggi ne
denuncia l'incompiutezza.
A chi si riferisce?
Mi sembra che il Terzo Polo ne sia autore
principale.
Nel vostro partito sono molti a strizzare l'occhio a
Casini.
Che il Partito democratico non abbia voluto costruire
l'alternativa di governo ma favorire la disarticolazione
parlamentare della maggioranza è nell'evidenza dei fatti almeno dal
2009. Si è preferito lavorare alla creazione di un grande centro
che potesse essere il perno di quell'operazione.
Insomma, si è preferita la convenienza politica alla
stabilizzazione del sistema?
La governabilità è un requisito necessario e
imprescindibile nelle democrazie moderne. Invece nel nostro sistema
continua ad essere un elemento strutturale molto debole. Non aver
portato a termine la riforma maggioritaria determina in parte
l'incompiutezza della nostra transizione. Lo riconoscono
implicitamente anche gli autori della controriforma elettorale
quando prevedono meccanismi di rafforzamento del governo. Ma
imputano al bipolarismo le storture di un'incompiutezza che invece
è intrinseca al sistema costituzionale. Il nostro bipolarismo
non è stato perfetto. Il fallimento del bipolarismo in Italia
è dovuto alla debolezza dei nostri governi.
Come rafforzarli?
Attraverso l'introduzione di poteri di deterrenza contro
il trasformismo cui è oggetto la maggioranza che li sostiene. Penso
al potere di scioglimento delle Camere conferito al Primo ministro,
come avviene in Gran Bretagna. O all'elezione diretta del
Presidente della repubblica. Ma quella semi-presidenziale temo sia
una riforma ben al di sopra delle forze dell'attuale
Parlamento.
Non era proprio il Pd ad attaccare Silvio Berlusconi
quando lamentava che il Presidente del consiglio gode di pochissimo
spazio di manovra?
Nel centrosinistra il filone di pensiero che spinge per
il rafforzamento dell'esecutivo esiste dai tempi dell'Ulivo del
'95. È anche vero che è sempre esistito un filone contrastante che
premeva per il rafforzamento delle garanzie. Ciò è dipeso dal fatto
che non è mai stato risolto il nostro rapporto con Berlusconi. Non
è cioè mai stato chiaro se fosse possibile rapportarsi a lui come
interlocutore politico, o piuttosto lo si dovesse combattere come
pericolo per la democrazia. Le due posizioni hanno finito nel tempo
per annullarsi a vicenda.
Oggi lo avete capito?
Dovevamo opporci riconoscendo che Berlusconi è stato ed è
un fenomeno politico, non un marziano. C'è anche da dire che su
questo frangente l'ex premier non è mai stato d'aiuto.
Tornando alla legge elettorale, la proposta originaria
di Pierluigi Bersani, che richiamava il modello ungherese, non era
parzialmente in linea con le vostre rivendicazioni?
In quella proposta di idee ce n'erano troppe. Per non
scontentare nessuno si mettevano insieme istanze radicalmente
opposte, come il doppio turno alla francese o il proporzionale
tedesco.
Avete condiviso le vostre idee con i vertici del
partito?
Abbiamo sempre fatto presente nei gruppi parlamentari e
nella Direzione nazionale le nostre perplessità.
Sono in molti a darvi ragione?
C'è un fronte abbastanza ampio che è molto scettico e
dubbioso rispetto all'accordo che sta maturando. Basti pensare che
distinguo molto simili sono stati espressi da Franco Monaco o da
Rosy Bindi, che del Pd è presidente. Ma anche in versanti diversi
della geografia del partito.
A chi vi accusa di inciucio con i vostri avversari
politici?
Rispondo che gli inciuci si fanno sotto voce e di
nascosto. Il nostro è un appello pubblico, alla luce del sole!
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:15