Lettera aperta al ministro Terzi

Gentile ministro Terzi, mi sono laureato da circa un mese in Scienze Politiche all'università Luiss di Roma, indirizzo Relazioni Internazionali. Seguo la politica estera e la geopolitica dagli anni del liceo, sono le mie due grandi passioni insieme al giornalismo. Mi informo quotidianamente sui fatti, leggo i giornali e qualche giorno fa mi sono imbattuto in una lunga intervista che ha rilasciato su La Stampa. Quell'intervista avrei voluta fargliela io, ma le domande sarebbero state diverse. Ha tratteggiato le lodi della dissidente birmana Aung San Suu Kyi. Una pagina intera occupata da commenti e riflessioni su quanto accaduto a Rangoon. Righe su righe di soddisfazione, di quanto il governo italiano si prodighi per contrastare le violazioni dei diritti umani nel mondo, elogiando un Nobel che a noi italiani, di certo, non ci cambierà la vita. Vale quello che è: un pezzo di carta. 

Grande donna la Suu Kyi, ma viene da pensare che con tutti i problemi che il nostro paese sta vivendo in casa, fuori, a livello politico ed economico sia quantomeno secondario spendersi così tanto per un tema che in fondo ci riguarda poco. Anzi non ci riguarda affatto. Abbiamo tutti altro a cui pensare nel mondo reale. Ho un dubbio. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò del battaglione San Marco detenuti illegalmente dalle autorità indiane, non hanno mai ricevuto un Nobel, sarà forse questo il problema. Lei, Ministro, non ama parlare della questione, si limita a frasi di rito come «ce la stiamo mettendo tutta», che uno si aspetterebbe più dal proprio meccanico che da un alto funzionario di Stato. 

Fin dall'inizio di questa storia sembra più interessato a mantenere pulita la sua immagine che a intervenire in modo decisivo per risolvere il problema. La prima volta che riferì in Parlamento parlò di responsabilità esterne al ministero degli Esteri, scaricando il barile della colpa sulla Difesa. Si scusò poi per la poca incisività, appellandosi alla crisi economica e alla scarsità di risorse a disposizione. 

Questo è burocratese, anche se comprendo che tra un meeting sulle libertà di tutti, come informa tramite Twitter, e una cena di beneficenza sia troppo chiedere praticità. Ma non saranno le cene di gala e le associazioni di volontariato a riportare a casa i nostri uomini. I segnali che giungono dall'India meridionale sono tutt'altro che incoraggianti. L'opinione pubblica del luogo si mobilita e stuzzicata dai politici locali si mostra sempre più dura con il nostro paese. I due fucilieri stanno diventando un simbolo del male da punire in modo esemplare. Forse è il caso che la diplomazia abbandoni gli slogan e rischi un po' di più.

Dove intende arrivare signor ministro? Se la situazione non cambia, nell'immediato futuro il tribunale indiano arriverà a sentenza e sarà pena di morte. Si sta innescando un preoccupante circolo vizioso in cui nessuno sembra riuscire a fare qualcosa di concreto. L'Italietta che sta svendendo non conta davvero nulla? Agendo in questo modo ci umilia. Non eravate il governo del rilancio internazionale? Se le risate del presidente Sarkozy vennero considerate avvilenti, come definisce questa situazione? Le suggerisco un aggettivo: imbarazzante. 

Il nostro paese non dispone di alcun'arma per condurre le trattative verso un risultato soddisfacente? Volendo considerare valide le sue obiezioni sulla scarsità di mezzi a disposizione e i limiti di budget, non era forse meglio far gestire la cosa agli inglesi? O visto come finì con l'ostaggio ucciso in Nigeria non se l'è sentita? Spero che la sua risposta sia negativa. Perché l'India non è la Nigeria e il suo amato Nobel, se continua a collezionare fallimenti, non lo riceverà mai.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:33