Tre storie di ordinaria malagiustizia

Tre notizie. La prima riguarda la vicenda che vede coinvolto uno studente, accusato di furto. Quello, nientemeno, di uno di quegli ovetti di cioccolato prodotti dalla Kinder. Secondo l'accusa l'aveva sottratto da una bancarella di un rivenditore ambulante di frutta e dolciumi, a Montedarena, sulla linea salentina. Lo studente sostiene di aver preso l'ovetto per mostrarlo al commerciante e così pagarlo. L'altro dice che lo studente se lo era messo in tasca, e quando gli dice: «Ti ho visto, volevi rubarlo!», in risposta ne avrebbe avuto una raffica di insulti. Da qui, il rinvio a giudizio, per furto di ovetto e per ingiurie.

La storia, in sintesi è questa. Poteva finire come finiscono i battibecchi: un chiarimento, oppure un reciproco "va a quel paese!". Qui invece la cosa si è fatta seria: sono stati chiamati i carabinieri, che ligi alla legge hanno fatto i "rilievi" di rito, e il ragazzo è stato portato in caserma. Inutili i tentativi di conciliazione, rifiutate tutte le offerte di transazione.

L'incartamento è finito sul tavolo del pubblico ministero, che ha rinviato a giudizio lo studente per il processo. La vicenda si è conclusa con l'assoluzione del ragazzo, «perché il fatto non sussiste». Nella motivazione si legge: «Il ragazzo indossava un jeans a vita bassa aderente e tale da impedire l'intromissione nella tasca di un uovo di cioccolato». È da credere che abbiano fatto anche perizie sul "campo" per accertare la cosa al di là di ogni ragionevole dubbio.

Tutto bene? Fino a un certo punto. Il fatto è che il presunto furto di ovetto si sarebbe consumato il 4 agosto del 2009. Tre anni, insomma, di accurate indagini, e di attenta valutazione dei fatti, verrebbe da pensare, che si sono concluse con l'assoluzione. Seccatura a parte (e non solo: pare che per questa vicenda la richiesta del ragazzo di essere arruolato nella Marina Militare sia stata respinta), quanto è costata al contribuente questa storia? Quante persone, che più utilmente si sarebbero potute occupare di cose più serie si sono dovute occupare di questo caso?

Seconda notizia. L'Ansa riferisce che trentanove cosiddetti "disobbedienti" sono stati assolti. Erano finiti sotto processo per una "spesa proletaria". Anche qui, sono i fatti che parlano. Siamo a Roma. Questo gruppo di "disobbedienti" doveva rispondere di rapina aggravata e lesioni. Mica caramelle, per dirla con ministeriale linguaggio. Tra gli imputati c'erano l'ex consigliere comunale di Roma Nunzio D'Erme, il leader dei disobbedienti Guido Lutrario e uno dei capi storici dei movimenti, Luca Casarini. Secondo l'accusa i trentanove avevano sottratto merce per 36mila euro da un ipermercato, e altra merce per 18mila euro dalla libreria Feltrinelli di Largo Argentina. Gli indagati si sono difesi sostenendo che la "spesa proletaria" era solo un'operazione mediatica, e che nulla era stato portato via né dall'ipermercato, né dalla libreria. Il pubblico ministero Erminio Amelio ha chiesto una condanna a tre anni e sei mesi di carcere. La X sezione penale del tribunale di Roma li ha assolti.

Sarà interessante leggere le motivazioni della sentenza per capire come si sia arrivati a questa conclusione. Però una cosa balza subito agli occhi: la presunta "spesa proletaria" risale al 6 novembre 2004, quando ebbe luogo una manifestazione sul precariato. Se si aspettava ancora un po' si poteva festeggiare il decennale. E al di là dell'esito processuale, sono evidentemente i tempi che dovrebbero maggiormente inquietare. Tre anni per un ovetto. Otto anni per una "spesa proletaria".

Ma s'era detto di tre notizie. Nell'ambito di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia milanese è stato arrestato Giancarlo Giusti, un magistrato in servizio presso gli uffici giudiziari calabresi. Il sindacato dei magistrati, l'Associazione nazionale dei magistrati, dice la sua. I fatti così come contestati, si legge in un comunicato, «appaiono di gravità inaudita e suscitano profondo sconcerto e indignazione (...) Al di là dell'allarmante vicenda penale e nella doverosa attesa dei successivi approfondimenti investigativi», l'Anm riafferma in una nota «la centralità della questione morale, a fronte di ogni situazione che possa compromettere gravemente la funzione giudiziaria e l'immagine della magistratura, ed esprime massimo rispetto e forte apprezzamento per l'opera di quanti sono impegnati nell'azione di aggressione e contrasto alla criminalità organizzata, nella certezza che la magistratura saprà accertare e reprimere con il massimo rigore comportamenti quali quelli che sono stati ipotizzati». L'Anm ribadisce che «la magistratura è un corpo sano, in cui non esistono sacche di impunità, e al riguardo conforta la capacità dei magistrati di trovare essi stessi gli strumenti necessari per individuare e sanzionare con severità, anche all'interno, ogni comportamento contrario alla legge». 

Curioso che l'Anm, che giustamente ammonisce alla «doverosa attesa dei successivi approfondimenti investigativi», non batta ciglio di fronte alle affermazioni contenute nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari. Il Gip sostiene che il Consiglio Superiore della Magistratura avrebbe potuto fermare il magistrato Giancarlo Giusti, «fin da subito, sin dalla prima sacrosanta segnalazione del presidente del Tribunale di Reggio Calabria» e così «tutto il resto non sarebbe successo, inclusi i reati commessi con Lampada».

Il Gip nell'ordinanza riporta la vicenda in cui Giusti rimase coinvolto nel 2005, quando era in funzione presso le esecuzioni immobiliari del tribunale di Reggio Calabria. Ad un'asta immobiliare, di cui si occupava proprio Giusti, partecipò una società del suocero, la Tridea, che acquisì l'immobile. «Forse - scrive il Gip Gennari - se si fossero recuperati tutti gli atti della ispezione di sarebbe compreso come l'assoluzione sulla vicenda Tridea non poteva essere che un drammatico errore. Sicuramente, avessero fermato Giusti sin da subito, sin dalla prima sacrosanta segnalazione (...) tutto il resto non sarebbe successo». Il Csm infatti assolse con sentenza del luglio 2007 il magistrato per quella vicenda. Malgrado, scrive ancora il Gip, il giudice avesse «assegnato dei beni nientedimeno che alla società del suocero». Dunque il GIP Gennari si chiede «come si sia potuto credere alla buona fede di Giusti sulla base delle dichiarazioni di Pullano sfugge alla umana comprensione». Fabio Pullano era il perito del tribunale di Reggio Calabria, a cui Giusti assegnò consulenze sulle aste immobiliari per «centinaia di migliaia di euro», e che testimoniò a favore del magistrato nel procedimento disciplinare davanti al CSM.

Due vicende processuali - una delle quali decisamente ridicola, quella dell'ovetto - che si sono trascinate la prima per tre anni, l'altra per otto. E per due che ne abbiamo pescate, chissà quante se ne potrebbero citare, basta andare un qualunque giorno in un qualunque tribunale e si viene afferrati da indicibile depressione. Infine la dimostrazione - ennesima - di come funziona il Csm. Tutto ciò non è estraneo all'iniziativa in corso di Marco Pannella, e le proposte radicali di amnistia per la giustizia e la libertà: nessi e connessi balzano agli occhi. Ecco, ricordiamoci anche di queste vicende, quando qualcuno obietta che la giustizia non è la madre di tutti i problemi di questo paese, che altre sono le urgenze e le necessità di cui bisogna occuparsi.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:40