L'Italia bara ai referendum

Appare sempre più come un sogno, una fantasia da ingenuo, l'idea che l'uomo di strada possa col proprio voto mutare il corso della politica italiana. Meno di 20 anni fa, nella primavera del 1993, accorremmo tutti ad appoggiare i quesiti referendari promossi da Marco Pannella ed Emma Bonino. L'Italia chiese, attraverso lo strumento referendario, la riforma elettorale anglosassone (maggioritaria, uninominale, a un turno), l'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti, l'abolizione delle norme che prevedevano sanzioni penali per l'uso personale delle sostanze illecite, l'abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche (comprese le amministrazioni delle Casse di Risparmio e dei Monti di Pietà), l'affidamento alle Usl dei controlli ambientali, l'abolizione dei ministeri delle Partecipazioni Statali, dell'Agricoltura e del Turismo.

Il 18 e 19 aprile 1993, l'afflusso alle urne superava il 77%. Il successo schiacciante dei quesiti lasciava pensare alla svolta. Veniva rovesciato definitivamente il principio proporzionalistico su cui s'era retta la prima Repubblica. Il Partito Radicale ci disse che il finanziamento pubblico ai partiti era sconfitto. Con esso il carattere oligarchico, burocratico, parastatale, consociativo dei soggetti politici. Nonostante le buone intenzioni, e la volontà del 90% dei partecipanti al referendum, nel 1996 veniva approvata una legge che reintroduceva il meccanismo del finanziamento pubblico dei partiti, e attraverso la possibilità per i contribuenti di devolvere il "quattro per mille" dell'Irpef: il cittadino non finanziava il suo partito, ma l'intero sistema partitocratico. E la politica stabiliva che il parere favorevole del 15% dei contribuenti sarebbe stato sufficiente per assegnare ai partiti il tetto massimo di finanziamento stabilito dalla legge. Cos'è rimasto di quei referendum, vinti dal popolo e persi dalla partitocrazia?

La risposta è nei fatti. I partiti stanno reintroducendo un nuovo proporzionale: strumento che reggeva i governi di coalizione della prima repubblica, tanto rimpianto dagli ex Diccì di Pdl, Pd e Terzo Polo. Ma il buongiorno già si vide dal mattino, e con la legge elettorale approvata dal Parlamento pochi mesi dopo il voto referendario del '93: quel Mattarellum (aspramente criticato da Pannella) che, mantenendo il 25% di quota proporzionale, grazie al meccanismo dello scorporo, obbligava ciascun candidato a collegarsi alle liste di partito. Le leggi seguenti le conosciamo tutti: i partiti riempiono le schede elettorali, gli elettori votano i simboli, e le persone ce le mettono i leader. Lo scopo del referendum è stato vanificato dai partiti.

Il ministero delle Politiche Agricole ha soppiantato quello dell'Agricoltura e Foreste: e i partiti hanno fatto attenzione che mutasse solo il nome, la sostanza è rimasta la stessa. Il dicastero del Turismo è stato reintrodotto: oggi c'è Gnudi e ieri c'era la Brambilla. Le Partecipazioni statali ci sono e si vedono. I controlli ambientali delle Usl non ci sono, giocoforza la gente chiama i Nas dei Carabinieri. I vertici delle banche vengono nominati dalla politica, e viceversa. Il finanziamento dei partiti è ancora al centro di scandali e scontri.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:16