
Bossi è caduto. E poca importa cosa succederà dopo che il Pm Woodcock avrà chiuso le indagini. Tanto Bossi è già stato giudicato. Colpevole. E tutto questo clamore, questa lapidazione popolare avrà come unico effetto di indebolire la Lega in vista delle prossime elezioni amministrative. Elezioni dove il Carroccio sarebbe andato più che bene, ricevendo tanti voti degli scontenti del governo Monti.
Non è la prima volta che un'iniziativa giudiziaria finisce per spostare equilibri politici. E' capitato recentemente con l'indagine sui fondi della Margherita, quelli gestiti dal senatore Lusi, che potrebbe portare un piccolo indebolimento dei "popolari" all'interno del Pd e un totale annientamento dell'Api dentro il Terzo Polo. Con un leggerissimo sospiro di sollievo almeno per Bersani, che comunque di problemi ne ha più di uno. C'è poi l'indagine sulle "cozze pelose" del sindaco di Bari Michele Emiliano che - casualmente - avrebbe voluto fare una lista civica - possibilmente in sintonia con Vendola - che avrebbe sottratto preziosi voti al Pd nella dalemiana Puglia. Che poi Emiliano ha anche la colpa di aver sconfitto alle primarie del suo partito quel Boccia tanto gradito a "baffino". E come dimenticare la casa a Montecarlo di Fini coniugato Tulliani, che ha reso ancora più debole la posizione del presidente della Camera?
Non siamo ai livelli di Tangentopoli, ma certo non si può dire che le azioni della magistratura siano indolori per il mondo politico. Anche all'interno degli stessi partiti hanno un impatto notevole. Adesso tocca alla Lega e tutti dicono che sarà Maroni ad uscire avvantaggiato da questa indagine. Bossi gli ha quasi dato il via libera, dicendo che "non è lui il Giuda", anche perché lo stesso ex ministro dell'Interno aveva promesso di rimanere al suo fianco se si fosse ricandidato al congresso. Tutti d'amore e d'accordo? Assolutamente no, perché Maroni sa che non può governare il partito senza l'approvazione di Bossi e il Senatur sa che non può tornare saldo in sella senza l'appoggio dell'ex ministro dell'Interno. La logica vorrebbe una transizione dal maestro all'allievo, una transizione che Bossi - con le sue dimissioni - ha dimostrato anche di poter accettare quasi di buon grado. Perché stanco. Malato. Solo.
La verità, però, è un'altra. La verità è che Bossi sta molto peggio di quello che si racconti. E l'influenza del cerchio magico, capitanato dalla moglie, è molto più grande di quello che sussurrano i giornali. Bossi ha deciso di dimettersi in solitudine. Poi, però, il giorno dopo ha detto che deciderà se ricandidarsi dopo aver saputo la data del congresso. Cosa c'è dietro questo repentino cambio di rotta? La notte forse ha portato consiglio? Si, ma quello degli altri, di consiglio. Perché nella sua casa di Gemonio, una volta sceso il buio, è partito il martellamento della famiglia e dei fedelissimi del cerchio magico. Che provano a convincerlo a non mollare. Ed infatti il giorno dopo riparte col disco rotto del "Roma ladrona" e riapre la porta ad una sua candidatura.
Perché la verità, quella verità che in tanti bisbigliano ma che nessuno dice ad alta voce, è che Bossi dall'ictus di otto anni fa non si è mai ripreso del tutto. Anzi. Più passa il tempo e più la sua autonomia quotidiana diminuisce. Più passa il tempo e più chi gli sta intorno prende il sopravvento. Perché il fatto che lui non sapesse nulla della sua famiglia mantenuta dal partito sembra una barzelletta, ma è la pura verità. E chissà che la frase "Maroni non è Giuda" non sia stata di circostanza, bensì un indiretto dito puntato verso i veri Giuda, quelli che ha dentro casa. E chissà che, per una volta, un'azione un po' troppo mediatica della magistratura, oltre a provocare un terremoto politico, non liberi un uomo stanco e solo, da suoi aguzzini. E ponga fine alla sua lunghissima via Crucis.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:02