Woodcock: il pm dei flop

Se uno incontrasse il pm napoletano John Henry Woodcock, senza sapere cosa fa nella vita, non potrebbe non prenderlo in simpatia. Giovanile, capelli da rock star un po' avanti negli anni, motocicletta custom. Anche il significato in inglese del suo cognome muove a tenerezza. Chi lo frequenta conferma che esiste una simpatia del personaggio che fa quasi da pendant agrodolce con l'antipatia delle inchieste da prima pagina che lui regolarmente apre e che, di solito, altri uffici giudiziari chiudono,  spesso con un nulla di fatto. 

Il suo curriculum in materia costringe ad essere garantisti persino con la Lega Nord, la prima a portare nel '92 un cappio dentro Montecitorio. La battuta più pesante che circola a proposito dei flop delle inchieste di Woodcock riguarda l'erede al trono di casa Savoia, Vittorio Emanuele, assolto dall'accusa di essere un procacciatore di prostitute e un associato a delinquere nel giro dell'estorsione e del gioco d'azzardo. La battuta è questa: l'inchiesta del pm napoletano ha avuto il potere  taumaturgico di presentare persino Vittorio Emanuele come una brava persona, nonché come vittima della giustizia all'italiana. Facendo così risalire le sue quotazioni compromesse dall'uccisione di Dirk Hamer al largo dell'isola di Cavallo negli anni '80. L'assoluzione della magistratura francese non aveva convinto nessuno, ma quella dei giudici romani che hanno messo la parola fine sul "Savoiagate" di Woodcock è riuscita invece a rinfrescare persino la presentabilità del mancato sovrano.

Fin dal 1996, quando Woodcock entra in magistratura, le inchieste a rischio di errore giudiziario non sono poche. A farne per primo le spese nel 2001 è l'ex senatore Ds e sindaco di Castellaneta, Rocco Loreto. L'accusa, per lui, è di calunnia e violenza privata nei confronti di un magistrato della Procura di Taranto. Poi è la volta di Mario Campana, allora dirigente della Cancelleria del Tribunale Fallimentare della procura di Potenza: l'accusa è quella di vendere in proprio gli immobili fallimentari. Ad essa segue una clamorosa confessione dell'imputato, condannato a 20 mesi e 25mila euro di risarcimento.

Fin qui Woodcock si muove con prudenza, ma presto la sua personalità lo porterà alla ribalta. Nel 2002 comincia ad andare dietro alle inchieste televisive delle "Iene", e così apre prima l'indagine "Iene 1" e poi la "Iene 2", incentrate su un presunto giro di mazzette e patenti truccate alla motorizzazione civile di Potenza. Poi arriveranno anche le tangenti Inail con 20 arresti, tra i quali figurano il direttore generale, Alberigo Ricciotti, e una serie di collaboratori e membri del gruppo Eni-Agip. L'inchiesta cambia di nome e si trasforma in "Tangenti del petrolio", con altri 17 arresti, incluso quello di Carlo Fermiani, dirigente Eni. Poi si allarga ulteriormente con il metodo cosiddetto "a salsiccia", e si trasformerà in quella nota come il "Vip Gate".

Nel dicembre del 2003, vanno sotto accusa 78 persone, tra cui numerosi personaggi dello spettacolo, del giornalismo, due ministri, vari politici e funzionari di ministeri. Le accuse sono associazione per delinquere per la turbativa di appalti, estorsione, corruzione, millantato credito e favoreggiamento. L'inchiesta però non supera la fase istruttoria e, trasferita a Roma, si conclude con una nutrita serie di proscioglimenti. Da questo momento Woodcock sembra non imbroccarne più una. Nel 2004 è la volta dell'inchiesta "Le iene 2": il tribunale del riesame respinge tutti i rinvii a giudizio di Woodcock dopo che era riuscito a  ottenere ben 51 arresti. Il 2006 è l'anno del "Somaliagate", che parte con 17 arresti. Il giro di affari criminoso, secondo l'accusa, avrebbe portato personaggi dei servizi segreti ad accordarsi con alcuni imprenditori italiani per favorirli in affari importanti all'interno di organizzazioni internazionali. Da questo ramo d'inchiesta, Woodcock riesce ad arrivare a Vittorio Emanuele di Savoia, che cade nel cosiddetto "Savoiagate", la cui inchiesta comincia il 16 giugno.

La caratteristica di queste inchieste è che da ciascuna ne scaturisce un'altra ancora prima che siano accertati solidi elementi di accusa in quella precedente. Vittorio Emanuele viene arrestato, con le accuse di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, alla corruzione, alla concussione, falso ideologico, minacce e favoreggiamento. Viene anche accusato di capeggiare un'organizzazione criminale attiva nel gioco d'azzardo illegale. Sempre nel 2006 scoppia il caso "Vallettopoli", che vede coinvolti l'ex addetto stampa di Gianfranco Fini e altri politici di secondo ordine. Finisce anche essa con tanto fumo e poco arrosto, solo qualche condanna minore patteggiata. Last but not least, l'inchiesta P4 che porta all'arresto del deputato Pdl Alfonso Papa. Già in istruttoria viene smentita l'ipotesi di accusa più grave e suggestiva: quella dell'esistenza di una loggia segreta, la P4 per l'appunto, quella di Luigi Bisignani, che invece non viene considerata tale dalla Cassazione. Proprio in questi giorni, nel totale disinteresse di quella stessa stampa che aveva contribuito a montare il caso, si sta svolgendo il processo che potrebbe portare all'assoluzione di Papa anche dalle accuse di concussione.

Intanto il tribunale del riesame di Napoli, accogliendo le osservazioni della Cassazione, ha demolito pure la semplice imputazione di associazione a delinquere. Dai 23 capi di imputazione originari siamo arrivati a due. Con un piccolo particolare: tutta la diatriba della richiesta di arresto per Papa si era incentrata proprio sui capi di accusa esclusi prima dalla Cassazione e poi dal Tribunale del riesame. Così come la stessa richiesta di acquisire i tabulati, deliberata recentemente dalla giunta per le autorizzazioni con il voto favorevole del radicale Maurizio Turco. Qualcuno, tra cui lo stesso Papa, si chiede che senso avrà ora per la Camera votare sulla proposta favorevole della suddetta giunta un'autorizzazione legata a un'imputazione che non c'è più. 

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:18