Mille dubbi del Pd sul lavoro

Con una furba lettera al Corriere il premier Mario Monti ha chiuso la lite con i partiti. Ma è solo una tregua. Nulla infatti sarà come prima e ad aprire la nuova fase - complice l'illusione diffusa tra le forze politiche, alimentata dai media e purtroppo dallo stesso Monti, che la crisi più acuta del debito sia ormai alle spalle - è stata la scelta del ddl come veicolo legislativo della riforma del lavoro. Un cambio di passo, un vistoso rallentamento rispetto alle altre riforme, fin qui approvate a colpi di decreto-fiducia, interpretato dai partiti come un segno di debolezza. Per di più accompagnato dalle prime crepe all'interno del Cdm, con alcuni ministri a giocare di sponda con il Pd. Dal suo tour asiatico Monti ha provato a tirare le redini, ripetendo né più né meno i ragionamenti sui partiti che fa dal giorno dell'investitura. I ringraziamenti per il loro senso di responsabilità, il rammarico per la loro impopolarità e l'antipolitica, sono sempre suonati ai limiti del sarcasmo.

I concetti espressi a Tokyo non sono così distanti, sono i partiti che hanno cambiato atteggiamento e li recepiscono diversamente. Anche la stampa filo-governativa (Corriere e Repubblica) stavolta ha ripreso il premier per le sue esternazioni. Il guaio di Monti è che far calare lo spread e gli interessi sui titoli di stato è il suo lavoro, ma più calano e meno presa riesce a esercitare sui partiti e sul paese. Nella sua lettera sembra usare il tono sarcastico di chi sta in realtà negando le cose che afferma. Se l'Italia ha imboccato la via delle riforme, è grazie al «senso di responsabilità delle forze politiche» e alla maturità del paese. Dopo le elezioni del 2013 torneranno governi «politici», il cui comportamento, si dice certo, «non sarà quello di prima». Le sue parole quindi sono state fraintese, anzi intendeva l'esatto opposto di come è stato interpretato in Italia: non attacco i partiti, al contrario cerco di spiegare agli investitori esteri che il merito della nuova fase è proprio dei partiti. Anche se all'estero, non manca di segnalare con tono addolorato, resta la «percezione errata» che il merito delle riforme sia dei tecnici, e che il «nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni, torneranno i politici». Sottinteso: mica vorrete accreditare questa "errata" percezione! Nonostante la sensazione di presa per i fondelli, i partiti accolgono la tregua. Se il governo è riuscito a fare quello che ha fatto, «lo deve alla politica e non allo Spirito Santo. Siamo noi che lo sosteniamo», chiosa Pierferdinando Casini.

L'aria è cambiata, la luna di miele è finita, e con essa probabilmente anche la spinta riformatrice del governo. Anche perché a suggellare la nuova fase sono arrivate le raccomandazioni del capo dello Stato. Il quale cerca di favorire un clima di concordia, sostiene Monti nella sua agenda di riforme, ma allo stesso tempo fa capire che d'ora in poi sarà più stringente il suo controllo sul ricorso a decreti e fiducie. Se Monti avverte che all'estero c'è attesa, ci si chiede con quali tempi la riforma verrà approvata, e se la sua portata riformatrice resterà integra o verrà diluita, Bersani dà per scontati ampi margini di intervento. I partiti sgomitano, si avvicinano le amministrative, cercano visibilità. Sono disposti a continuare a sostenere Monti, ma lo saranno sempre meno a pagare il prezzo politico delle sue riforme (e delle sue battute).

Ma il Pd freme più degli altri. Si sta ribaltando infatti la prospettiva dei due partiti maggiori. Se prima era il Pdl, scalzato dal governo, a mostrare irritazione nei confronti del professore, mentre il Pd festeggiava la fine del berlusconismo, ora che è minacciato un tabù della sinistra (e del connubio Pd-Cgil) come l'articolo 18, il Pd teme di pagare a caro prezzo il suo appoggio a Monti-Fornero e che parte dell'elettorato possa anche cominciare a rimpiangere il centrodestra. Si sente una gioiosa macchina da guerra, come nel 1994, ma teme che esattamente come allora, dopo la parentesi tecnica del '92-'94, Palazzo Chigi possa sfuggirgli. «Il sottoscritto sparirà e il "montismo" - giura il premier - non esiste!», ma se il Pd forza la mano sull'articolo 18 e si fa tentare dalla "rivoluzione d'ottobre", allora il partito di Monti potrebbe prendere vita naturalmente come blocco moderato contro la foto di Vasto.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:55