Lo spreco di denaro nella formazione

Italia del 1970 battezza regioni e "Statuto dei Lavoratori". Due vere e proprie rivoluzioni nel tessuto sociale dello stivale. Perché gli enti programmatori (comunemente chiamati regioni) erano previsti già dalla Carta costituzionale, ma lo stato centrale non reputava il territorio ancora maturo per la grande rivoluzione amministrativa: quei decreti delegati che irroreranno di competenze locali i nuovi enti. Pratiche che un tempo si sbrigavano solo a Roma, e con annose scale sante. La nascita delle regioni venne maledetta da mezza Dc e dalle forze di destra, mentre le sinistre tutte parlavano di rivoluzione amministrativa. Fortuna volle che in quello stesso frangente venisse approvato in parlamento lo Statuto dei lavoratori. Dalle sinergie sindacal-politiche tra nuovi enti e statuto, l'Italia mise fuori legge il vecchio apprendistato. Così mille paletti di legge non permisero più alle famiglie di mandare i ragazzi a bottega, presso panifici, carrozzerie, tornitori, cantieri, lavori rurali e di cava... Il nuovo verbo impose che alle botteghe si dovesse accedere non più in giovanissima età. Si disse alle famiglie che, dopo la scuola dell'obbligo, le regioni avrebbero armato enti di formazione in grado di sfornare meccanici, parrucchieri, barbieri e panettieri del futuro. Manfrina che, col tempo, è piaciuta a politici e sindacalisti. Infatti hanno fatto sedere parenti ed amici sulle poltrone presidenziali degli enti di formazione. Perché se la formazione a bottega era un rapporto tra privati, la formazione professionale nelle regioni coinvolge notevoli risorse pubbliche. Gli stessi enti programmatori non nascondono che la Fp (formazione) assorbirebbe un buon 30%, in media, delle risorse regionali, seguendo a ruota sanità, consorzi di bonifica e lavori pubblici. Ironia della sorte, l'Fp sarebbe a titolo non oneroso per l'ente locale: ricadrebbe tutta sul fondo sociale europeo, ma solo se gli enti di formazione regionale si dimostrassero capaci di spendere bene i quattrini dell'Ue. Redigendo progetti di formazione in grado d'immettere nel mondo del lavoro carrozzieri, meccanici, idraulici... Invece proprio su questo punto gli enti fanno acqua. Le regioni di vedono costrette a restituire all'Ue gran parte dei soldi messi a disposizione dal fondo sociale europeo. E mentre la formazione regionale fallisce, le officine contano sempre più manodopera extracomunitaria o italiana formata abusivamente nelle botteghe. Il personale formato negli enti di formazione si dimostra, e da più di trent'anni, non collocabile. Ritenuto dai vecchi artigiani incapace di portare a termine con maestria un processo produttivo. Così nelle pieghe dello spreco regionale s'è inserita la Cna (Confederazione italiana degli artigiani) che, forzando la mano sulla formazione, ha ricreato spazi d'apprendistato nelle officine. E se consideriamo che, in media, ogni regione contiene nel proprio ventre come minimo un centinaio di enti di formazione, si evince che i soldi del fondo sociale europeo vengono impiegati per pagare stipendi a presidenti, dirigenti, funzionari, impiegati, segretarie e formatori. Una filiera clientelare nemmeno in grado d'abilitare non solo un barbiere o un tagliatore di fusti per divani, ma nemmeno un montatore meccanico o un assemblatore generico. Una vera e propria buriana che tocca vette inusitate con le collaborazioni tra enti di formazione e consorzi di bonifica: vere e proprie associazioni per delinquere che, millantando la formazione di personale addetto alla regimentazione delle acque, organizzano solo convegni e simposi per giustificare il pagamento di parcelle a professori universitari ed ex magistrati delle acque, nonché soggiorni ed alberghi ai soliti dirigenti delle regioni che girano per propagandare lo spirito del Fondo sociale europeo.

Così mentre l'Italia acclara la recessione, le regioni bruciano quattrini tra enti regionali di formazione professionale, consorzi di bonifica, enti strumentali dell'ente programmatore. Ed ancora enti regionali e provinciali a cui sono stati affidati tronchi di strade asfaltate e ferrate, società regionali che s'abbinano all'Anas nella cogestione di tronconi ed anelli autostradali. E da quando la politica ha scoperto le fondazioni non c'è regione, provincia o comune che non se ne abbia costituite minimo una decina ispirate ad illustri nomi della politica come della cultura e della storia patria. Siccome la formazione è d'obbligo, vengono organizzati corsi per asfaltare dipingere staccionate in partnership anche da enti di Fp regionali, Anas ed enti regionali che gestiscono pezzi di strade su gomma o su ferro. Bilioni di chiacchiere, carte, protocolli, iter burocratici che agevolano la morte economica dell'Italia.

Un elenco sterminato di strutture parapubbliche offre una comoda vita ad un lungo stuolo di parauomini e paradonne: tutta gente sempre pronta a lamentarsi, a ricordare d'essere poveri stipendiati pubblici (soprattutto parapubblici) impossibilitati (anzi proprio castrati) nell'atto dell'evasione fiscale. Una sorta d'impotentia coeundi aerarium è la condizione a cui sono costretti milioni d'italiani. Impiegati che hanno vinto un concorso regionale e da decenni si occupano di "formazione professionale". Entrati nei ruoli parapubblici con un milione e trecentomila lire a fine anni '80, percepiscono oggi duemilacinquecento euro. 

Addirittura nella Provincia di Benevento s'ebbe ardire di sponsorizzare (in anni più goderecci) corsi regionali per maghi e maghe: precisava il bando «per non disperdere la tradizione storica e magica del beneventano». I tempi cambiano, ma gli uomini rimangono sempre gli stessi. Un amico esperto del settore giura che dipendenti degli enti di formazione (per parrucchieri, maghi, massaggiatrici...) si sarebbero dati una ripulita, e con aspetto più austero e serio lavorano per le tante fondazioni culturali dei soliti enti locali. 

Secondo i dati Istat, dei 315.317 dipendenti pubblici in Sicilia, circa il 30% si occupa di formazione professionale. Il siciliano medio dichiara d'evere difficoltà a riconvertirsi, a reinventarsi sul mercato del lavoro, si dice poco supportato dagli enti pubblici.

Eppure la Sicilia dispone di ben 1.400 enti di formazione, regolarmente accreditati dalla regione presso il fondo sociale europeo. Nella sola sede principale della regione Sicilia risultano assunti ben 9.200 impiegati al Dipartimento regionale della formazione professionale (fonte interna Ars). I dati di Puglia, Calabria, Campania e Lazio si discostano davvero di poco.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05