Piazza Fontana, una storia che non esiste

Riscrivere la storia secondo i desiderata ideologici della ex Commissione stragi. Di questo tratta il pur bel film Romanzo di una strage, sull'attentato di piazza Fontana e sui suoi sedici morti. L'attentato non solo è di matrice fascista, ma anche eterodiretto dalla Cia.  Giuseppe Saragat, al quale mai i comunisti hanno perdonato la scissione di palazzo Barberini, viene dipinto come un pavido ostaggio dei golpisti di Junio Valerio Borghese.

A bene vedere, ad essere ricalcate sono le tesi dell'inchiesta del giudice Salvini corroborata dalle confessioni dell'ordinovista veneto Carlo Digilio. Crollato poi al vaglio processuale, tanto da mandare assolti i vari Delfo Zorzi e compagni. Ma di questo piccolo particolare nella sceneggiatura di Marco Tullio Giordana, e del duo delle dieci "Piovre", Stefano Rulli e Sandro Petraglia, ovviamente non c'è traccia. Viene invece dipinto in maniera assai poco lusinghiera il commissario Luigi Calabresi, interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea, a metà tra uno sbirro senza scrupoli e una persona che si muove in un gioco più grande di lui. Pinelli, cui presta la faccia l'attore Pierfrancesco Favino, rimane l'eroe buono, mentre marginale è il personaggio di Valpreda, inesistente nel film,  dipinto con malcelata antipatia. Di par suo, Gemma Calabresi, nel film Laura Chiatti, appare leggermente troppo sbarazzina rispetto alla madre reale del direttore de La Stampa. Alla fine delle due ore e dieci minuti di film rimane la sgradevole sensazione che il regista, abbracciata in pieno la tesi della strage di stato, cerchi di reintrodurre per via cinematografica i tanti teoremi sul doppio stato mai dimostrati e forse mai dimostrabili tanto per via giudiziaria quanto per via storiografica.

Il libro della storia che i vari Giordana vogliono consegnare ai posteri, magari con la complicità dei futuri Camera e Fabietti, è quello di un paese comandato dalla Cia e condizionato dallo stragismo fascista. Dove quelli come Feltrinelli predicavano, finanziavano e preparavano la nuova resistenza partigiana armata e quelli delle Br la mettevano in atto. Dove gli Aldo Moro venivano odiati dai politici democristiani e dai vertici delle istituzioni, anche atlantiche, e dove tutto si tiene, come in un romanzo, ma solo come in esso. Come nell'improbabile dialogo tra Delle Chiaie e Borghese, il duo Freda e Ventura che viene dipinto come leghisti alla Borghezio e la questura di Milano come un covo di terroni insabbiatori.

Insomma, anche se nessuno oggi può esibire  certezze, gli autori costruiscono un film per farci sapere che invece loro ne hanno. Anche se banali, di repertorio, ideologiche, forzate e tutto sommato strizzanti l'occhio al giustificazionismo del terrorismo di sinistra. Nato, secondo la stessa vulgata che permea il film, per difendere l'Italia dal golpe fascista in preparazione. Il compagno Giangi Feltrinelli ancora vive e lotta insieme a chi crede a queste baggianate. E le tramanda ai posteri, mettendo in mezzo chi è morto e  non può più difendersi e anche chi è vivo e non ne ha più voglia.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:56