
Se tutto andrà come previsto, tempo quattro mesi e avremo un mercato della telefonia fissa almeno un po' più libero. Anche se l'idea fa venire il mal di pancia ai dirigenti Telecom e imbarazza il presidente del Consiglio, Mario Monti, che ha provato a dare una mano al suo amico Franco Bernabè. Senza successo.
Sarà pure un governo tecnico e con grandi poteri. Ma qualche volta i conti con il Parlamento li deve fare. È successo in questi giorni con il duro braccio di ferro su un aspetto - tecnico, ma non marginale - del decreto delle liberalizzazioni. Il blitz della squadra di Monti a difesa della posizione dominante di Telecom non è andato in porto. A fermarlo il muro, per una volta compatto e trasversale, di deputati e senatori.
Ieri il risultato del duello: l'Agcom individuerà modi e misure per la liberalizzazione dell'ultimo miglio della rete di telefonia. E avrà solo quattro mesi di tempo per farlo. Toccherà perciò all'Authority decidere come, ma la Telecom dovrà rinunciare a una parte del suo monopolio nella gestione della rete fissa. L'accordo varato ieri tra governo e commissione Affari costituzionali del Senato consegna infatti indicazioni piuttosto chiare.
Ma andiamo con ordine. Come ex operatore pubblico, Telecom mantiene ancora un sostanziale monopolio sul tratto della rete telefonica che entra nelle case. Quando è stata decretata l'apertura del mercato e la fine del operatore unico, è stata anche garantita a tutti i concorrenti la possibilità di sfruttare il "doppino" Telecom per raggiungere i nuovi clienti con i propri servizi. Un meccanismo di accesso piuttosto rigido (e costoso per i nuovi operatori e di conseguenza per i clienti) che si compone di due parti distinte: da una parte l'affitto del tratto di rete, dall'altra la manutenzione. In pratica per ogni attivazione o per ogni guasto, tutti gli operatori sono obbligati a rivolgersi alle ditte Telecom.
Se appare logico che il noleggio del tratto di rete debba essere fornito dal titolare delle infrastrutture, non altrettanto necessaria sembra la scelta di imporre a tutti gli operatori l'utilizzo della manutenzione "made in Telecom". Da questa semplice considerazione nasce un emendamento del decreto Semplificazioni, approvato all'unanimità alla Camera, che apre al libero mercato i servizi accessori. La norma impone semplicemente l'offerta e la tariffazione separate, e introduce la facoltà per gli operatori concorrenti di Telecom di acquistarli da imprese autonome. Una scelta di buon senso, nel segno della concorrenza e dell'interesse dei consumatori.
Ma per Telecom si tratta di lesa maestà. Non appena varata, la norma scatena immediatamente gli anticorpi del sistema. C'è chi grida alla lesa maestà delle competenze dell'Agcom, c'è chi ventila visioni apocalittiche di pericoli per la sicurezza delle comunicazioni. Pochi giorni e la mobilitazione del gruppo di pressione che fa capo a Telecom trova facile sponda a Palazzo Chigi e produce i suoi frutti. Il governo presenta un emendamento al Senato che mantiene in vita un principio di trasparenza (la tariffazione separata), ma disinnesca l'effettiva portata innovativa della norma (il via a un mercato della manutenzione).
Il blitz sembra riuscito. Ma lunedì, proprio mentre Mario Monti detta dall'Asia la sua minaccia di dimissioni nel caso «il paese non sia pronto» a eseguire i suoi saggi diktat, in Italia si mobilitano parlamentari, senatori, professori. Con un atto d'orgoglio, difendono la liberalizzazione votata dalla Camera e rivolgono una lettera direttamente al presidente del Consiglio. A sottoscriverlo sono in molti e di ogni parte politica. Tra i primi firmatari il presidente dei deputati di Fli, Benedetto Della Vedova, il relatore al decreto legge Semplificazioni, e capogruppo in commissione Attività Produttive alla Camera, Stefano Saglia (PdL) insieme ad Andrea Lulli, capogruppo Pd nella stessa commissione. Ma anche il senatore Fabrizio Morri (Pd), i parlamentari della Lega Roberto Calderoli, Piergiorgio Stiffoni e Gianni Fava, i deputati Pdl Beatrice Lorenzin, Isabella Bertolini e Giorgio Stracquadanio; Daniele Toto del gruppo Fli-Terzo Polo, i senatori azzurri Alessio Butti e Giorgio Bornacin; Marco Di Lello, coordinatore nazionale del Psi e l'economista della Bicocca, il professor Ugo Arrigo. Il testo - firmato in maniera così trasversale, e soprattutto anche da molti esponenti della maggioranza che sostiene l'esecutivo - ha toni durissimi. «Il Governo - si legge nell'appello - con evidente cedimento ad interessi privati specifici, ha presentato un emendamento che modifica sostanzialmente la misura introdotta alla Camera, rendendola, di fatto, inefficace». La norma rischia di essere svuotata nel passaggio al Senato, quindi i firmatari chiedono pubblicamente al presidente Monti «di non voltare le spalle alla spinta liberalizzatrice di questa proposta, soprattutto poiché si raggiungerebbe un miglioramento nel livello di concorrenzialità e conseguentemente della reputazione del nostro Paese". "Un piano di liberalizzazioni che cambi davvero il Paese - continua l'appello - non può non tenere conto dell'importanza strategica di una rete di telecomunicazioni fissa aperta e libera, accessibile a tutti gli operatori che siano in grado di offrire una qualità dei servizi migliori semplificando la quotidianità degli utenti e più competitivi a beneficio dei cittadini e delle imprese. Solo aprendo e creando un'offerta reale di mercato anche nelle telecomunicazioni fisse si potrà essere in grado di portare modernità e servizi adeguati agli altri paesi Europei. Per riformare e liberare l'Italia è necessario non cedere alle pressioni e non fare alcun passo indietro».
L'accusa di «intelligenza con Telecom» è esplicita nel testo dell'appello. Ma i rappresentanti della Lega alzano ancora di più i toni dello scontro. «Il governo delle liberalizzazioni mostra il vero volto» attacca Gianni Fava. «È bastata una settimana e qualche telefonata minacciosa di Telecom per far cambiare idea al ministro al punto da ribaltare una decisione presa all'unanimità dal parlamento. L'emendamento del governo dimostra la totale sudditanza nei confronti del monopolista della telefonia fissa. Non riesco a capire - aggiunge Fava - con quale faccia possa il Governo presentarsi in Aula e dire che fino ad oggi aveva scherzato. Mi rendo conto che pensare che in questo Paese si voglia seriamente liberalizzare i mercati possa sembrare una forma di ingenuità, ma stavolta ammetto che ci ero quasi cascato. In realtà il governo Monti continua ad essere forte coi deboli e debole coi forti. Determinatissimo a non fare sconti a operai e pensionati e assolutamente inerme di fronte a banche e Telecom».
Mentre la Lega attacca e l'appello viene ribattuto dalle agenzie, il decreto Liberalizzazioni è all'esame della commissione Affari Costituzionali al Senato. Anche là i rappresentanti del governo devono prendere atto della determinazione - praticamente unanime - dei senatori. L'emendamento del governo viene ritirato. Sarà riformulato e ripresentato martedì mattina. Il blitz è fallito. L'Agcom riconquista una parte dei suoi poteri ma sulla base di un preciso e dettagliato mandato del Parlamento, dovrà portare a termine le liberalizzazioni. L'accordo ha la forma del compromesso, ma a ben vedere rappresenta un vero e proprio scacco per il governo. E in Parlamento già avvertono: vigileremo affinché le liberalizzazioni decise in aula non siano vanificate dalla burocrazia dell'Agcom.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:17