
Si rincorrono su twitter le dichiarazioni d'amore dei leader del Terzo Polo al governo. Eloquenti i messaggi lasciati sul social network da Pierferdinando Casini: «Se non vogliamo un precariato permanente la riforma del governo Monti ci aiuta! Altro che balle!» e «Questo governo in pochi mesi ha fatto tanto. L'emergenza non è finita, irresponsabile affossarlo, noi sminatori per farlo andare avanti». «Adesso tocca alla politica, che ha nelle mani la possibilità di chiudere in tempi brevissimi la partita della riforma del mercato del lavoro», sollecita Gianfranco Fini. Con Francesco Rutelli si arriva all'idillio: «Difendiamo la scelta del governo di presentare la riforma del lavoro attraverso un ddl» tweettava il leader dell'Alleanza per l'Italia. Per poi marcare le distanze con gli alleati della maggioranza tecnica: «Pdl e Pd sopportano questo governo. Noi invece lo supportiamo. Ci crediamo e continueremo a lavorare per soluzione di unità nazionale».
A parole i centristi sono dunque tra i più convinti sostenitori dell'esecutivo dei tecnici. Ma nell'ultimo voto di fiducia, quello che ha dato il via libera del parlamento al decreto sulle Liberalizzazioni, si è intravista qualche smagliatura nel partito degli entusiasti di Monti. Quasi un terzo dei deputati dell'Udc (11 su 27), non ha risposto alla chiama in aula, risultando assente. Sono stati gli onorevoli Bonciani, Carra, Cera, De Poli, Formisano, Libè, Lusetti, Marcazzan, Merlo, Testa e Zinzi. Al netto di Luca Volontè, assente perché in missione, e di Marco Antonio Merlo, al quale va concesso il beneficio del dubbio in quanto eletto nel collegio estero, il dato sembra andare al di là delle consuete assenze fisiologiche.
Il dubbio diventa quasi una certezza esaminando il comportamento di voto degli alleati di Futuro e Libertà. Tra i finiani, più di metà del gruppo ha disertato l'aula al momento del sì definitivo al decreto dell'esecutivo. Solo 11 i favorevoli, a fronte dei 14 assenti. Un numero considerevole, soprattutto se inquadrato alla luce delle frizioni - sulla linea del partito, sulle future alleanze e sulla gestione del patrimonio finanziario - che stanno attraversando il partito. Così Consolo, Conte, Divella, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Paglia, Patarino e Ruben hanno abbandonato l'emiciclo. Ma anche big del partito, come Carmelo Briguglio, Fabio Granata e l'avvocato Giulia Bongiorno non hanno schiacciato il pulsante. «Mi auguro che la politica si autoriformi», tweettava Fini qualche giorno fa. Forse dovrebbe iniziare dal suo partito.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:47