Raifiction ha prodotto, insieme a Cattleya di Tozzi, e metterà in onda prossimamente, "Romanzo di una strage" di Marco Tullio Giordana, dedicato alla strage milanese di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 che provocò 16 vittime nei locali della Banca dell'Agricoltura. E a quanto ne derivò, dalla morte dell'anarchico Pinelli all'assassinio di Calabresi (1972) ai processi che ne seguirono, con un sovraccarico mai del tutto smaltito di ricadute politiche. Si può anzi dire che quella strage, al culmine dell'autunno caldo, innescò un processo di autentica rilettura della nostra storia, peraltro latente nelle pieghe italiche, mettendo in circolo considerazioni, riflessioni, prese di posizione e soprattutto "ideologie" che stentano a tramontare, anche dopo tanti anni e tantissimi processi, non sempre conclusi con sentenze assolutamente definitive, anche se rimane stabilita la matrice nera con vaghe ombre di provocazioni e non improbabili infiltrazioni in vulnerabili gruppuscoli anarchici. Qualcuno ha addirittura messo in discussione, recentemente, la non colpevolezza dell'anarchico Valperda. Ma, senza avere ancora visto questa fiction, con la partecipazione di Favino nel ruolo di Pinelli, della Chiatti in quello della moglie del Commissario Calabresi e di Mastandrea nei panni di quest'ultimo, entriamo in un dibattito che ha aperto Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso nel 1972. Quando già Pinelli era morto, in Questura, dal 15 di- cembre 1969. Mario Calabresi, intervistato da Alzo Cazzullo sul "Corsera" di domenica 25 marzo, ha commentato la proiezione in anteprima della fiction diretta da Giordana rilevandone alcune indubbie doti e attribuendole una patente sostanzialmente positiva, a parte qualche dettaglio riguardante taluni ambiti di un omaggio ritenuto certamente "importante" nel parallelizzare le due tragedie, di Pinelli e di Calabresi, ma non sempre all'altezza dell'assunto storico, ovvero della lettura obiettiva di quel dramma. Che, in verità, obiettiva lo fu raramente a partire da quel dicembre, posto che la maggioranza della stampa progressista e la sinistra nel suo complesso, fecero della morte in questura di Pinelli un vero e proprio atto di accusa nei confronti della polizia, del governo, dello Stato (la strage divenne ben presto "strage di Stato" col libro omonimo di Samonà e Savelli) e, soprattutto, del Commissario Luigi Calabresi. Su di lui si imbastì e crebbe spasmodicamente e spietatamente, una campagna diffamatoria, denigratoria, accusatoria di tale violenza da diffondere le sue tossine all'interno del mondo giovanile, nel sindacato, nella politica, nel paese. Ed è proprio su questo aspetto che Mario Calabresi, direttore de "La Stampa", appunta le sue critiche e rivolge un'accorata protesta: sull'assenza nella fiction di quel clima infame, di quella impressionante campagna di odio che sfociò in un assassinio che, lungi dal placare le polemiche, le acuì nella misura in cui l'intera sinistra italiana e la mainstream presse non accettò la versione dello stesso Calabresi, peraltro lasciato solo dal governo dell'epoca nel processo per calunnia che fu imbastito. Nel bellissimo e fondamentale libro di Michele Brambilla uscito nel 1991 "L'eskimo in redazione", che la fiction sicuramente ha ignorato, è stato ben delineato quel clima prodotto da un devastante pensiero unico contro un rappresentante dello Stato, in una sorta di martellante terrorismo mediatico dalla cui nube d'odio maturarono conseguenze tragiche, a cominciare dalla morte di Calabresi, e poi l'estremismo rosso, le prime formazioni delle BR, la lotta armata ecc ecc. Giornalisti, intellettuali, uomini di cultura, artisti, a centinaia, a migliaia sposarono le tesi colpevoliste, alcuni pentendosi successivamente, altri facendo finta di niente, anche e soprattutto dopo la sentenza, nel 1975 di Gerardo D'Ambrosio che escluse qualsiasi responsabilità di Calabresi e della Questura nella morte di Pinelli. Basti pensare al libro di Camilla Cederna "Pinelli: una finestra sulla strage", mai ripudiato dalla giornalista, ma anzi, divenuto testo di base per rappresentazioni teatrali e pittoriche con la versione secondo cui la questura e Calabresi sapevano chi aveva messo la bomba di piazza Fontana e lo volessero coprire, tentando di accusare dolosamente degli innocenti. Strage di Stato, doppio Stato, servizi segreti deviati, golpe strisciante, manovre delle istituzioni per evitare l'ascesa al potere delle forze sane del paese (Pci) sono i derivati di quella storia. La cui rimozione, anche parziale, pesa ancora.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:16