
Tasse da record? La spesa pubblica non è da meno. Negli ultimi
30 anni, infatti, la spesa corrente dello Stato è più che
raddoppiata. Lo dicono gli ultimi dati pubblicati dalla Cgia di
Mestre. Con buona pace di chi invoca rigore e risparmio per il
Paese: un appello che vale evidentemente soltanto per i cittadini,
costretti giocoforza a stili di vita sempre più spartani, mentre lo
Stato per conto suo continua a far sfoggio di un sibaritismo da
Prima Repubblica.
Tra il 1981 e il 2011 le uscite correnti sono aumentate del 105%,
pari a oltre 344 miliardi di euro in più. Al 31 dicembre del 2011,
la spesa corrente ha raggiunto quota 672,6 miliardi di euro, contro
i 327,9 miliardi della stessa data di trent'anni prima. Non c'è
dunque da stare allegri, nemmeno sapendo che questo dato generale
ha registrato un leggero calo rispetto al 2010 (-2,3%), dal momento
che soltanto nell'ultimo decennio la spesa è comunque aumentata del
16,8%.
Ma come spende esattamente lo stato i suoi (pardon, nostri) soldi?
Nelle uscite correnti dello stato rientrano in primo luogo le spese
per i dipendenti pubblici, come retribuzioni, contributi, e così
via, ma anche quelle legate al funzionamento della macchina
statale: affitti, acquisti, manutenzioni, mutui.
Infine, ma solo da ultime, quelle riconducibili alle prestazioni
sociali: come la sanità, la previdenza e l'assistenza, alle quali
tocca attingere per ultime alle borse ormai quasi del tutto
svuotate. Non deve essere motivo di meraviglia, allora, se il
debito pubblico italiano è pari al 120% del Pil nazionale, e se la
pressione fiscale il prossimo anno sfiorerà il 55%.
Senza razionalizzazione delle spese, senza riduzione degli enti,
senza dismissione di patrimonio pubblico, senza adeguamento degli
stipendi e degli emolumenti ai dirigenti della Pubblica
Amministrazione, il crescente carico dei costi è stato ammortizzato
soltanto attraverso l'aumento delle tasse.
Insomma, il leviatano statale cresce a dismisura, incontrollato e
senza freni. E divora risorse allo stesso incalzante ritmo della
sua crescita prodigiosa. Chi lo sfama? I cittadini, con prelievi
fiscali sempre più onerosi. La macchina pubblica è diventata per i
cittadini italiani quello che il leggendario Minotauro era per gli
ateniesi: un mostro famelico e insaziabile, che per la sua
soddisfazione esige tributi sempre più elevati.
E così, tra il 1980 ed il 2011, proprio lo stesso trentennio preso
in analisi per evidenziare la crescita della spesa pubblica, anche
per le tasse è stata una lunga ma inarrestabile corsa al rialzo. Il
carico fiscale sui contribuenti è aumentato di oltre 11 punti
percentuali, dal 31,4% di 30 anni fa al 42,5% del 2011.
Solo nell'ultimo decennio, tra il 2001 e il 2011, la pressione
dello stato sui contribuenti è aumentata di 5 punti percentuali.
Ma, fanno notare sempre fonti della Cgia, dal momento che l'Istat
calcola la pressione fiscale con il rapporto tra le entrate
contributive e il Prodotto interno lordo, ed essendo compreso in
quest'ultimo anche il sommerso (che, ovviamente, non paga tasse),
il sistema tributario grava in realtà sui cittadini e le imprese
oneste per il 52% dei loro redditi, che il prossimo anno diventerà
il 54,5%.
In breve: non solo chi paga le tasse le paga per tutti, ma ne paga
più di quanto non se ne paghi i qualsiasi altro paese del mondo. Al
contribuente non resta nemmeno la consolazione di veder crescere,
assieme alle tasse, il livello dei servizi pubblici di cui può
godere. Perché sì, sarà pur vero che i contribuenti della virtuosa
Svezia sono abituati da molto più tempo rispetto a noi ad aver a
che fare con un fisco esigente, e ciononostante non se ne lamentano
mai, ma in cambio ricevono un servizio sanitario eccellente,
servizi all'avanguardia, infrastrutture futuribili, ammortizzatori
sociali e welfare praticamente per tutti.
Invece in Italia è la "macchina burocratica" a fagocitare
praticamente ogni cosa: nel bilancio dello Stato, ad esempio, le
spese per l'amministrazione generale sono lievitate dal 26,6% del
1960 al 35,8% del 2009 (fonti MEF). Alle altre voci di spesa
restano solo le briciole: 3,3% per la difesa nazionale (appena lo
0,9% del Pil, contro il tetto minimo del 2% che la Nato richiede ai
paesi aderenti), 3,2% per la giustizia e la sicurezza pubblica,
8,7% per l'istruzione e la cultura, 16,3% per il sociale, 7,2% per
interventi in campo economico e appena lo 0,3 per il
territorio.
E quanto (raramente) si taglia qualcosa, si comincia sempre da
qui.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:37