
Nella trasmissione “In Onda” su La7 dello scorso 23 luglio, durante un dibattito sui dazi imposti all’Europa dal Presidente Donald Trump, la giornalista Marianna Aprile si è chiesta come sia mai possibile che l’Europa non reagisca tassando le big tech americane.
L’imposizione di tasse “pesanti” alle big tech americane da parte dell’Europa sarebbe un autogol clamoroso per svariati motivi. Come ha efficacemente spiegato Carlo Stagnaro in un post su X, “i dazi funzionano (nella logica protezionista) quando il prodotto estero può essere sostituito da uno nazionale, che grazie al dazio diventa competitivo. Per questo tassare import di servizi Usa (che poi incentiviamo per la transizione digitale) è un’idea singolarmente stupida”.
Proviamo a capire bene questo concetto tramite un esempio semplice ma concreto. Ipotizziamo che Meta generi in Europa 10 miliardi di euro di ricavi nell’anno corrente. Se l’Unione Europea introducesse una digital tax del 15 per cento sui ricavi digitali, Meta dovrebbe versare 1,5 miliardi di euro aggiuntivi nelle casse europee.
Quale sarebbe la reazione del colosso tech americano? In primo luogo, al fine di mantenere la propria redditività, Meta potrebbe aumentare i costi pubblicitari per le aziende europee. In secondo luogo, Meta potrebbe dirottare i propri investimenti in ricerca e sviluppo lontano dall’Europa. In terzo luogo, Meta potrebbe tagliare migliaia di posti di lavoro nei suoi uffici europei.
Gli effetti a catena per l’Unione europea sarebbero devastanti: le aziende europee pagherebbero pubblicità più cara, con conseguente aumento dei prezzi per i consumatori; inoltre, si registrerebbe una drastica riduzione degli investimenti privati nell’innovazione tecnologica.
Il risultato finale? L’Europa potrebbe aver conseguito una vittoria di Pirro sul piano fiscale, perdendo però sul fronte economico e rendendo le proprie aziende meno competitive a livello globale e i propri consumatori più poveri.
Ancora più grave sarebbe l’impatto sulla difesa europea. L’Europa dipende militarmente per il 70-80 per cento dalle importazioni (fonte: Ispi) e i suoi sistemi di difesa – comunicazione, intelligence, copertura spaziale, droni – dipendono fortemente dagli Stati Uniti in termini sia di hardware che di software. Di fronte ad un inasprimento fiscale, le big tech americane potrebbero reagire aumentando i costi dei contratti, riducendo gli investimenti in Europa e limitando l’accesso a tecnologie avanzate. Ciò comporterebbe ritardi nello sviluppo di sistemi d’arma autonomi e, paradossalmente, potrebbe spingere l’Europa verso una maggiore dipendenza da fornitori “nuovi”, con evidenti rischi per la sicurezza nazionale.
Restare indietro nella corsa agli armamenti hi-tech sarebbe un duro colpo, forse esistenziale, per l’Europa. Nel momento in cui l’Europa ha più urgente bisogno di sovranità tecnologica per la propria difesa, le tasse punitive verso le big tech americane rappresenterebbero l’epitome di una strategia miope che confonde il simbolico con l’efficace e potrebbero renderla ancora più dipendente e vulnerabile militarmente.
Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 11:35