
Stiamo entrando in una nuova era: lo spazio, un tempo sinonimo di sogni e scoperta, oggi si sta trasformando nel campo silenzioso, di future guerre. Una corsa agli armamenti fuori dall’atmosfera che viene condotta dai giganti geopolitici: Stati Uniti, Cina, Russia.
All’inizio di giugno, nel quartier generale del Comando Spaziale Usa a Colorado Springs, l’atmosfera è tesa. Piani una volta riservati a missioni scientifiche ora sono dedicati a difese satellitari, droni autonomi e satelliti che si muovono in orbita non per esplorare, ma per combattere. I generali americani prevedono che un conflitto con la Cina potrebbe coinvolgere direttamente lo spazio entro il 2027, soprattutto a causa delle tensioni crescenti legate a Taiwan. Satelliti che si inseguono e manovre orbitanti coordinate, i cosiddetti “dogfights”, segnano la trasformazione di un dominio pacifico in un teatro bellico strategico.
La Cina ha annunciato di dotare la propria stazione Tiangong di droni difensivi in grado di espellere o agganciare veicoli molesti. Il messaggio è chiaro: anche oltre l’atmosfera, Pechino vuole poter difendere i propri asset orbitali. Una dichiarazione forte, che rompe l’incantesimo dello spazio “protetto” dall’umanità. Nel frattempo, la Russia ha ribadito una postura aggressiva: nel 2021 ha abbattuto un suo satellite, Kosmos‑1408, generando una nube di detriti che ancora imperversa in orbita e ha costretto la Iss a manovre di emergenza. Più inquietante è il sospetto che Mosca stia preparando dispositivi nucleari in orbita, una minaccia rafforzata dalla presenza di veicoli in sospetto “inseguimento” di satelliti occidentali. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno riproposto il progetto “Golden Dome”: un sistema super tecnologico di difesa missilistica in orbita, stimato ben 175 miliardi di dollari. L’idea inquieta gli analisti, che temono che aprirebbe una “Pandora in orbita”, spingendo le superpotenze rivali ad una risposta simmetrica.
Dietro questi piani si muove un mercato in ascesa: nel 2023 la militarizzazione dello spazio ha generato circa 56 miliardi di dollari, con previsioni di crescita annua dell’8 per cento fino al 2032. Non si tratta solo di strumenti militari: laser, contromisure elettroniche, jamming, satelliti spia, tecnologie dual use, tutto si mescola in un cocktail pericoloso. Il rischio maggiore però non riguarda solo il confronto diretto tra potenze.
I detriti, generati da test antisatelliti e da satelliti distrutti, stanno trasformando l’orbita in un campo minato invisibile: un solo impatto può generare una cascata di frammenti, rendendo l’intero ecosistema orbitale inutilizzabile per decenni. Le regole in vigore non bastano più. Il Trattato del 1967 vieta armi di distruzione di massa nello spazio, ma nulla dice di satelliti aggressivi, droni orbitanti, laser o jammer elettronici. Le normative internazionali, nate nell’epoca delle prime esplorazioni lunari, rischiano di rimanere carta straccia di fronte alle nuove tecnologie. Un’ombra di tensione silenziosa attraversa il cielo: nessun boato di missile, ma movimenti orbitalmente ostili. Il generale Steve Whiting, comandante dello Spacecom, ha detto che lo spazio “potrebbe diventare il dominio decisivo di futuri conflitti”: una corsa che si gioca nella fredda quiete delle orbite, ma con conseguenze che risuonano fino a terra. Ora la domanda è: riusciremo a fermare questa escalation prima che si apra un conflitto “invisibile”?
Occorrono trattati aggiornati, trasparenza, controllo internazionale e un’idea condivisa di gestione responsabile dello spazio. Ma le potenze sono già in marcia: urlano paventando minacce, scavano bunker orbitanti, spargono detriti come polvere letale. E mentre le stelle restano immobili, sotto di loro si scrive una guerra che potrebbe cambiare il gioco per l’intera umanità. Ma, per ora, nessuna tregua è scritta nei cieli.
Aggiornato il 20 giugno 2025 alle ore 12:02