Il manufatto umano più distante dal nostro pianeta, la sonda Voyager 1, continua a stupire e a esplorare lo spazio interstellare oltre i confini del nostro sistema solare, a circa 24 miliardi di chilometri dal nostro pianeta. Lanciata nel 1977, la sonda continua a comunicare con la Terra, grazie anche alla delicata operazione di scambio di propulsori da poco effettuata.
I suddetti propulsori sono essenziali per la comunicazione perché vengono utilizzati per mantenere l’antenna della sonda puntata verso la Terra. Un tubo del carburante all’interno dei propulsori si era ostruito con biossido di silicio, un sottoprodotto che deriva dall’invecchiamento di un diaframma di gomma nel serbatoio del carburante. A causa di questa ostruzione, si era ridotta l’efficienza dei propulsori nel generare la spinta necessaria.
Il team di ingegneri del Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha scelto di passare a un set diverso di propulsori, nonostante i rischi derivanti dall’età avanzata della sonda e dalla temperatura dei propulsori alternativi (che erano freddi, perché spenti, per poter conservare meglio l’energia elettrica).
L’audace piano ha previsto di spegnere temporaneamente uno dei riscaldatori principali della sonda per un’ora, liberando abbastanza energia per accendere i riscaldatori dei propulsori.
La project manager della missione Voyager, Suzanne Dodd, ha sottolineato la crescente complessità di queste operazioni: “Tutte le decisioni che dovremo prendere d’ora in avanti richiederanno molta più analisi e cautela rispetto al passato”.
Eppure, questa volta il rischio ha pagato. Voyager 1, infatti, insieme alla sua gemella Voyager 2, sta esplorando regioni dello spazio mai visitate prima, dove probabilmente nessun’altra sonda arriverà nel prossimo futuro: i dati che continua a inviare sono preziosi per la nostra comprensione dell’universo.
E proprio perché lo spazio ha un fascino così particolare vale la pena segnalare anche la prima passeggiata della storia compiuta ieri durante una missione privata: a raggiungere questo importante traguardo è stata la navetta Crew Dragon di SpaceX, che si trova ora a circa 700 chilometri di altitudine dalla Terra, 300 chilometri più in alto rispetto alla Stazione Spaziale Internazionale.
Due membri dell’equipaggio di Polaris Dawn, il comandante Jared Isaacman e la specialista di missione Sarah Gillis − sempre attaccati alla Crew Dragon tramite cavi lunghi circa 3,5 metri, che forniscono ossigeno, energia e comunicazioni −, hanno effettuato una serie di movimenti pianificati per testare le nuove tute pressurizzate progettate da SpaceX, destinate ai futuri astronauti civili che voleranno sulla Luna o su Marte. “L’idea è quella di imparare quanto più possibile su questa tuta e restituirlo agli ingegneri – afferma Isaacman, che è anche il finanziatore del progetto Polaris – per informare le future evoluzioni del suo design”.
La missione vanta anche un record: a poche ore dal lancio dal Kennedy Space Center in Florida, i quattro passeggeri a bordo della navetta Crew Dragon di SpaceX hanno raggiunto l’altitudine di 1.400,7 chilometri, spingendosi più in là di qualsiasi altro equipaggio negli ultimi 50 anni dopo la fine del programma Apollo. Si tratta della quota più alta dai tempi della missione Gemini 11, che nel 1966 raggiunse i 1.369 chilometri di altezza.
Missione compiuta per Elon Musk, quindi, che da anni volge lo sguardo al cielo nella speranza di raggiungere obiettivi ancora più azzardati. Obiettivi che lo hanno portato, tra l’altro, a commentare il dibattito televisivo dell’altro giorno tra Trump e Harris in modo perentorio: “Trump vuole una commissione governativa sull’efficienza per consentire che vengano fatte grandi cose, Kamala no. Non raggiungeremo mai Marte se Kamala vince”.
Aggiornato il 13 settembre 2024 alle ore 11:30