Un atto vandalico contro la libertà di ricerca

Nella notte del 21 giugno la minuscola parcella sperimentale in cui viene testata una varietà di riso ottenuta con Tea (Tecniche di evoluzione assistita) è stata gravemente vandalizzata da ignoti. Il deprecabile episodio, su cui indaga l’autorità giudiziaria, ha avuto vasta eco, suscitando l’unanime sdegno della comunità scientifica, del mondo agricolo e di ampi settori della politica e delle istituzioni, a cominciare dalla Regione Lombardia, che ha sostenuto l’avvio della sperimentazione dopo un severo processo autorizzativo. Come Società agraria di Lombardia abbiamo subito diramato un comunicato di ferma condanna dell’atto che qualcuno ha definito “ecoterroristico” e di piena solidarietà al pool di ricerca dell’Università degli Studi di Milano facente capo a Fabio Fornara e Vittoria Brambilla, che cura la sperimentazione.

Non è il caso di enfatizzare eccessivamente il “fattaccio”, anche per evitare il rischio di fenomeni emulativi e comunque per non dare soverchia “pubblicità” a un atto che definisce in modo inequivocabile la natura antidemocratica e la sconfinata stupidità di chi lo ha commesso. Esso comunque denota un preoccupante declino valoriale e culturale, per cui qualcuno vorrebbe far prevalere prepotenza, arroganza e intolleranza sulla ragione e sulla conoscenza.

Le Tea rappresentano come noto il più moderno sviluppo delle tecniche di miglioramento genetico delle colture, che da sempre costituisce il fondamento per aumentare gli standard quanti-qualitativi delle produzioni agrarie, e quindi della nostra stessa sicurezza alimentare. Esse prevedono, in estrema sintesi, la “correzione” mediante tecniche di biologia molecolare di “errori” presenti nel genoma delle piante coltivate, in modo da renderle più resistenti a stress abiotici (come siccità o temperature estreme) oppure all’attacco di patogeni e parassiti. Sono molto più “precise” e rapide dei tradizionali metodi di miglioramento mediante incrocio o ibridazione (per cui la “casualità” del risultato e le necessità di selezione impongono tempi tecnici nell’ordine di 8-10 anni per avere una nuova varietà), e non comportano l’introduzione nel genoma della pianta migliorata di Dna esterno, come accade per i cosiddetti Ogm. Le loro enormi potenzialità andrebbero verificate con attenzione e senza pregiudizi, anche per escludere eventuali “controindicazioni” e accertarne l’assoluta sicurezza.

Nel caso di specie, data la nota suscettibilità alle malattie fungine delle varietà italiane utilizzate tradizionalmente per la preparazione del risotto, il riso Tea testato dall’Università di Milano è potenzialmente in grado di limitare il fabbisogno di interventi con fungicidi a protezione della coltura, e quindi di consentire produzioni a basso impatto ambientale e ad elevato profilo qualitativo. Rappresenta quindi un contributo importante verso un’autentica “sostenibilità” dell’agricoltura di cui troppi parlano fuori luogo e senza competenza.

D’altro canto, superata la fase dell’indignazione, serve passare a quella della proposta. Il cammino delle nuove biotecnologie in agricoltura si presenta accidentato. Registrata con soddisfazione la coraggiosa apertura in materia da parte della Regione Lombardia, la comunità scientifica ed accademica e tutto il mondo agricolo dovrebbero lavorare per un rafforzamento ed ampliamento dell’attuale legislazione nazionale. L’articolo 9-bis del Decreto-legge 39/2023 consente la sperimentazione in campo di colture agrarie ottenute mediante Tea fino al 31 dicembre 2024. Di fatto, i complessi processi autorizzativi hanno consentito ad oggi solo l’impianto del campo sperimentale di riso che è stato danneggiato, per cui tutto rischia di essere vanificato dal gesto dei presunti “ecoterroristi”. In ogni caso, una sperimentazione biennale è tecnicamente insufficiente per ottenere risultati davvero significativi anche per colture erbacee. Per le colture arboree (e le potenzialità delle Tea su vite e fruttiferi sono davvero enormi) servono tempi molto più lunghi, perché le arboree vanno in produzione dopo tre anni dall’impianto.

Sullo sfondo, serve un’autentica apertura alla libertà di ricerca e innovazione a livello europeo. Al di là di alcuni slogan che volevano l’agricoltura “al centro” dell’agenda dell’Ue, il risultato delle recenti elezioni desta più di una preoccupazione. Il mondo agricolo italiano, interrompendo una lunga tradizione, non è riuscito a esprimere un solo europarlamentare (e su questo le rappresentanze sindacali dovrebbero interrogarsi). L’eventualità che si riproponga una maggioranza a trazione “pseudoambientalista”, che nell’ultima legislatura ha prodotto un impianto normativo di stampo fortemente “dirigista” in cui non mancano quelle che qualcuno ha definito “ecofollie”, rappresenta un rischio concreto. Non solo per l’agricoltura e gli agricoltori.

(*) Presidente della Società agraria di Lombardia

Aggiornato il 01 luglio 2024 alle ore 10:59