Il fenomeno del nomadismo digitale

Dopo lo smart working il fenomeno del lavoratore itinerante, il cosiddetto “nomade digitale”, ha assunto dimensioni importanti, rispetto a chi pensava potesse essere una propensione passeggera o una mera conseguenza della globalizzazione.

Infatti, sono sempre di più le persone che lavorano on the road, connessi da remoto sempre da una meta diversa, conciliando l’attività lavorativa come forma di sostentamento, al bisogno di godersi la propria libertà alla scoperta di nuovi luoghi abbinata all’esperienza del viaggio.

“Capire che tecnologia e umanità non sono in competizione, ma in cooperazione, ci permette di liberarci dal sospetto che nutriamo nei confronti dell’innovazione e valutare il progresso con chiarezza mentale. L’aspetto centrale dell’essere umano è quello di innovare, scoprire, conoscere e ribellarsi allo status quo” ha ribadito in una recente intervista Gianluca Salvemini, presidente dell’Italian Hotel Group, che sta proponendo alcune delle proprie strutture come luogo ideale per i nomadi digitali e per il workation – neologismo che fonde work e vacation – al fine di poter lavorare mentre si fa vacanza, godendo dei migliori comfort.

Alla base della scelta di vita del nomade digitale c’è una filosofia netta: un nuovo modo di concepire il valore del tempo destinato al lavoro e la sensazione che le ore passate a lavorare in certi modi e in certi contesti siano “vita perduta” e privazione di una esistenza di qualità dove il concetto chiave è “lavorare per vivere e non vivere per lavorare”.

Questa tendenza in Italia si è manifestata prepotentemente nel corso dell’anno 2022 con l’aumento degli abbandoni di posti fissi e dei licenziamenti da aziende. Chi si licenzia non vuole più avere a che fare con capi che dettano l’agenda e che impongono modi di lavorare statici, ripetitivi, caratterizzati da un monte ore settimanale predefinito, dalla presenza fisica sul luogo di lavoro, da pause brevi, orari fissi e, in generale, poco tempo e poca libertà per dare spazio ai propri hobby e alle proprie passioni.

Tutte queste caratteristiche, vieppiù tipiche di un impiego di lavoro “tradizionale”, che dovrebbe comunque essere improntato ad un work life balance rispettoso delle esigenze dei lavoratori, sono esattamente ciò da cui rifugge la filosofia del nomadismo digitale che invece considera il lavoro come mezzo per raggiungere l’obiettivo di una vita dove cultura, socialità e scoperta del mondo siano al primo posto.

Nella cultura del professionista nomade e digitale vi è l’idea di un guadagno caratterizzato dal fatto che i costi di lavoro sono destinati ad appagare il desiderio del nomade di vivere a contatto con culture diverse, luoghi ed esperienze sempre nuovi, è alla base dell’accettazione del compromesso che caratterizza questo modo di lavorare. Tant’è che indipendentemente da quanto portano a casa, la maggior parte di questi lavoratori è soddisfatta o molto soddisfatta dei propri guadagni e l’88 per cento degli intervistati nel 2022 ritiene che la scelta del nomadismo digitale abbia avuto un effetto molto positivo sulla propria vita.

Un fenomeno che potrebbe innescare una concorrenza alla digitalizzazione e ai servizi turistici per i piccoli borghi della nostra penisola. Le aree interne e le realtà periferiche italiane potrebbero proporre e lanciare pacchetti digitali e d’intrattenimento paesaggistico per attirare i nomadi digitali e capitalizzare questa fascia sociale alla ricerca di libertà, relax e di nuove modalità di concepire la vita e il lento ma inesorabile scorrere del tempo.

Aggiornato il 19 settembre 2023 alle ore 11:12