Il racconto sull’Intelligenza artificiale che trovo più interessante è L’uomo bicentenario, scritto nel 1976 da Isaac Asimov, adattato nel 1999 per il cinema e interpretato da un superlativo Robin Williams.
Diversamente dalle paranoie autorevoli che di questi tempi raccontano di scenari apocalittici, Asimov, che aveva inventato le banali leggi della robotica, immaginava una super intelligenza artificiale immortale, cioè Robin Williams, sempre “felice di servire”, ma che decideva di progettare e cambiare se stessa per cercare di diventare un esemplare della specie umana. In questi cambiamenti, che implicano assumere la biologia umana, l’uomo bicentenario è mosso dall’amore reciproco per Portia, una donna discendente dai primi proprietari, e solo nel momento in cui muore, insieme all’amata Portia, un consiglio degli umani lo riconosce come autentico umano. Incredibilmente ha quasi più senso il racconto di Asimov di quello che si legge sulle minacce dell’intelligenza artificiale. Chi scrive non è uno specialista di questa tecnologia, ma ne fa un certo uso ed è facile trovare punti di vista autorevoli ed epistemologicamente sensati.
Judea Pearl, vincitore del Premio Turing nel 2011 per avere rivoluzionato l’approccio probabilistico all’Intelligenza artificiale, pensa che gli algoritmi di Intelligenza artificiale (Ia) che usiamo per interrogare le banche di dati sono come gli uomini “nella famosa caverna di Platone, che esplorano le ombre sulla parete della grotta e imparano a prevedere con precisione i loro movimenti. Ma non capiscono che le ombre osservate sono proiezioni di oggetti tridimensionali, che si muovono in uno spazio tridimensionale”. Ne deriva, per il teorico dell’Ia basata su network bayesiani, che è ridicolo parlare di intelligenza quando si tratta di capacità di estrazione di informazione che non dipende in alcun modo dallo studio dell’intelligenza umana.
Pearl giudica sciocchezze la “singolarità” (la super intelligenza che prenderebbe il comando delle tecnologie), l’avvento di legioni di robot che ci schiavizzeranno o un Armageddon causato dall’Ia. L’Ia, oggi, è solo in grado, con molta ma molta più efficienza dell’uomo, di rilevare strutture significative all’interno di basi di dati anche molto ampie. Il fatto che vinca a scacchi o a GO, che sappia progettare farmaci a livello molecolare, o guidare auto o fingere di essere un servizio clienti umano, dimostra solo che la gamma di domini dove questa capacità di uso superficiale dei dati si può applicare in modi adattativi, è più estesa di quanto inizialmente si pensava. “Il giorno in cui – continua Pearl – l’Ia saprà approssimarsi all’intelligenza umana è vicino, ma le sue capacità vanno giudicate su tre livelli di abilità cognitive: vedere (associazione), fare (intervento) e immaginare (controfattuali). L’Ia oggi lavora solo al livello più basso, cioè vedere”.
(*) Membro del comitato editoriale di Ibl Libri
Aggiornato il 13 giugno 2023 alle ore 18:47