In questa terza puntata della riflessione sull’intelligenza artificiale, dopo l’inquadramento della problematica, e il cenno ai rischi di deformazione della funzione del giudice, si fa riferimento all’esigenza di certezza del diritto, cui mirava anche la codificazione, e si menziona l’esperienza avviata nel distretto giudiziario bresciano.
Fra i problemi del nostro sistema giudiziario vi è l’incertezza del diritto: le decisioni finiscono sono troppo spesso ingiustificatamente creative, e precludono la prevedibilità della sentenza. Gli antichi Greci si recavano a Delfi per avere responsi sul futuro dalla sacerdotessa Pizia, e il valore di queste predizioni ha influenzato la storia della Grecia classica: in continuità con questo tratto, noi cerchiamo nella giustizia predittiva qualche sicurezza su possibili scenari, ma tale tipo di predizione non è più il risultato di formule magiche o di fumi afrodisiaci; intende fondarsi su un logico utilizzo di algoritmi, che per taluni riporterebbe il diritto a garante di certezza nelle relazioni umane. Una simile esigenza nasce dal fatto che chi agisce all’interno di un ordinamento aspira a ricondurre il proprio comportamento nel quadro di una fattispecie normativa, e a prevedere le conseguenze delle sue azioni, sapendo in anticipo quali effetti giuridici potranno essere ricollegati al verificarsi di una determinata situazione.
Per raggiungere questo ideale di certezza del diritto molti studiosi hanno puntato sulla figura del giudice-robot, ispirandosi all’idea delineata da Montesquieu di giudice bouche de la loi come esprime nel libro XI dell’Esprit des Lois: “Ma i giudici della nazione sono soltanto, come abbiamo detto, la bocca che pronuncia le parole della legge, esseri inanimati che non ne possono moderare né la forza né il rigore. È dunque quella parte del corpo legislativo che, come abbiamo or ora detto, è, in un’altra occasione, un tribunale necessario, che deve esserlo pure in questo caso; spetta alla sua suprema autorità moderare la legge in favore della legge stessa, pronunciandosi meno severamente di essa”. Da tali parole la figura del giudice doveva limitarsi a essere un mero esecutore di quanto disposto dal legislatore: l’idea di giustizia era ottenuta proprio grazie all’impersonalità del giudicare, una figura che si presta a pennello al giudice robot.
L’aspirazione alla certezza del diritto è alla base di tutti i codici, che nella loro fase embrionale fissano principi volti a limitare il potere creativo dei giudici. Un esempio è l’articolo 12 delle Disposizioni preliminari al Codice civile, cosiddette pre-leggi: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento dello Stato”. Da questo articolo emerge l’intento di garantire un’uniforme applicazione della regola giuridica; l’esigenza di stabilire una disciplina legale dell’interpretazione dei testi normativi risponde a principi politici ed ideologici radicati nella nostra cultura quali la separazione dei poteri, la già richiamata certezza del diritto, la preminenza della funzione legislativa su quella giudiziaria, l’ostacolo all’arbitrio del giudice nell’applicazione della legge.
Si può in questo senso ipotizzare che un sistema di intelligenza artificiale riproduca le funzioni del giudice? Alla luce delle osservazioni appena fatte, la risposta non può che essere negativa; le funzioni del giudice danno vita a un meccanismo giudiziale complesso, composto da passaggi logici ed evolutivi che non solo analizzano il presente, ma guardano al futuro, andando quasi a creare una nuova norma attraverso la sua interpretazione. L’intelligenza artificiale basandosi sul precedente e arrivando a una decisione secondo schemi matematici impedirebbe il formarsi di differenti indirizzi interpretativi da parte dei tribunali. In Italia, anche se prevale un orientamento non favorevole all’utilizzo della giustizia predittiva, di recente sembrerebbe che parte della magistratura ne sponsorizzi una visione propositiva. Uno degli esponenti di questo filone filo-tecnologico è il presidente della Corte d’appello di Brescia Claudio Castelli che afferma: “Quello della giustizia predittiva è un terreno inevitabile che dovremo attraversare. E siamo già molto vicini (…) Ci sono molteplici aspetti positivi laddove si ritenga che la prevedibilità di un giudizio sia un valore per tutta la società. Da una parte potrebbe verificarsi un effetto virtuoso sulla domanda di giustizia, perché cadrebbe man mano quella pretestuosa. In secondo luogo, i magistrati potranno decidere con consapevolezza maggiore quando andranno ad assumersi la responsabilità di un cambio di giurisprudenza. I meccanismi predittivi sono l’unica risposta seria alla demagogia di cui spesso la magistratura è vittima riguardo agli errori giudiziari, alla detenzione ingiusta etc. (...) Sono processi a cui non è possibile sottrarsi”.
Castelli vede l’avvento di questo tipo di giustizia inevitabile e necessario e ribalta la prospettiva di utilizzo dell’intelligenza artificiale come opportunità di supporto per gli operatori del diritto e non di sostituzione di questi. È proprio Castelli che sta promuovendo un progetto pilota di sperimentazione per la realizzazione di un modello di giustizia predittiva applicabile che vede coinvolti dal 2018 la Corte di Appello, il Tribunale e l’Università di Brescia. Tale progetto ha lo scopo di fornire a utenti e avvocati due dati fondamentali per garantire una certezza non solo del diritto ma anche delle relazioni industriali e sociali: la possibilità di sapere quanto può durare un procedimento su una data materia; la possibilità di conoscere gli ordinamenti esistenti nei diversi uffici a partire dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Brescia. I passaggi per raggiungere questo obiettivo sono molti, ma sono tutti in corso di realizzazione, in particolare si sta lavorando sulla:
1) individuazione delle materie da cui partire. Per cominciare sono state privilegiate come materie quelle più rilevanti per gli agenti economici: tribunale delle imprese (societario, industriale), contratti bancari, licenziamenti, contributivo, infortunistica sul lavoro e appalti;
2) creazione di una banca dati per ogni materia; circolarità della giurisprudenza tra I e II grado, inizialmente tra Tribunale e Corte di Appello di Brescia, con la prospettiva di estenderla a tutti i Tribunali del distretto;
3) creazione di gruppi di lavoro dell’Università insieme a Corte di Appello e Tribunale per ogni branca di materie che prendano in carico i provvedimenti emessi e ne estraggano orientamenti e casistiche;
4) estrazione dei dati sui tempi medi di durata dei procedimenti materia per materia, depurati dall’arretrato in modo da poter dare una previsione sul tempo di durata. pubblicizzazione dei dati su tempi e orientamenti, in forma anonima, sul sito giustizia Brescia e su altri siti affini.
È il primo caso in Italia, che potrà essere soggetto a espansione, sia per quanto riguarda le materie di interesse, sia per l’applicazione territoriale. Dal contesto appena tratteggiato si rileva non soltanto che l’attività dell’interprete non può essere sostituita o condizionata da alcun automatismo ma che essa acquista altresì una nuova centralità. Si apre la questione della legittimazione sul piano tecnico-giuridico. Il giurista è chiamato a garantire non la certezza del diritto a discapito della giustizia e della funzione promozionale del diritto, bensì a valorizzare, con la sua la sensibilità e il suo bagaglio culturale, meccanismi e tecniche presenti nel sistema e a intuirne i nuovi orizzonti applicativi con un approccio metodologico inevitabilmente induttivo e deduttivo.
(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino
Aggiornato il 04 marzo 2022 alle ore 17:25