Futuro digitale: la burocrazia fa muro

Futuro digitale: i numeri dicono che gli italiani non si tirano indietro quando lo Stato promette di rendere più semplice il rapporto con il cittadino. Quasi 100 milioni i pagamenti tramite pago-Pa nel 2020, 170 milioni le fatture elettroniche verso la Pubblica amministrazione, oltre 15 milioni le credenziali per l’identità digitale Spid (triplicate nel 2020) e 18 milioni le Carte d’identità elettroniche rilasciate. E poi, più di 9 milioni i download della app “Io” e 10 di Immuni. Una ricerca condotta da Censis e Tim, nell’ambito dell’Operazione risorgimento digitale, ha dimostrato che, per far fronte al lockdown forzato, otto italiani su 10 hanno acquisito competenze digitali, il 75 per cento della popolazione utilizza internet con regolarità e quasi nove italiani su 10 hanno potuto continuare la propria attività a distanza grazie alla connessione internet.

Eppure, l’indice Desi della Commissione europea, un complesso sistema di misurazione dei rapporti virtuali (telematici e on-line) tra economia, società e Pubblica amministrazione, assegna all’Italia il venticinquesimo posto su 28 Paesi. Perché? Il problema, dunque, non sono i cittadini: è la Pubblica amministrazione. Come ha riportato l’Osservatorio sui conti pubblici (20 novembre 2020) su dati Istat, la produttività della Pubblica amministrazione è scesa del 5,7 per cento fra il 2010 e il 2019, poi è crollata in questo periodo di pandemia, durante la quale essa si è rifugiata nello smart working.

Dal 28 febbraio 2021 è scattato l’obbligo per le Amministrazioni pubbliche di utilizzare le identità digitali e la Carta di identità elettronica ai fini dell’identificazione dei cittadini che accedano ai propri servizi in rete. Ebbene, a fine gennaio 2021 sono risultati pronti al passaggio appena 5.737 Enti pubblici su 23mila. Si registra anche il flop della Carta di identità elettronica (Cie): soltanto 42 Enti l’hanno adottata come chiave di accesso. Ma quanti erano i soldi disponibili per questo fondamentale passaggio? Quarantatré milioni presso il ministero dell’Innovazione tecnologica, che divisi per 23mila Amministrazioni fa 1870 euro a testa. Oppure divisi tra 7.903 Comuni fa 5.440 euro per ciascuno: Spid 15 milioni, Cie 18 milioni, ma i cittadini sopra i 14 anni sono 52 milioni. Questo comporta che coloro tra questi che non hanno i mezzi per accedere o che non intendono accedere ai servizi digitali, cioè la gran parte, saranno presto praticamente esclusi dalle prestazioni della Pubblica amministrazione. Le norme digitali del Decreto semplificazioni appaiono più una “dittatura digitale” incentrata sul controllo dei cittadini, che una reale semplificazione delle loro esigenze. E non sono le sole regole che vanno in quel senso: si considerino a questo proposito gli effetti della nuova legge sulle intercettazioni a strascico e la sostanziale liberalizzazione dell’utilizzo dei trojan sugli smartphone, entrata in vigore dal primo settembre 2020.

Il lavoro agile ha riguardato l’86 per cento degli Enti della Pubblica amministrazione. A maggio lavoravano da casa l’87 per cento dei dipendenti, da settembre vi lavorano in media il 70 per cento. Si discute se d’ora in poi non sia il caso di far lavorare da casa tra il 50 e il 60 per cento dei dipendenti pubblici. Ma si tratta di un “working” per modo di dire. Per colpa della burocrazia, in Italia le infrastrutture digitali e i data center della Pubblica amministrazione si sono affastellati disordinatamente e oggi consistono in 11mila data center per 22mila Enti in tutta la Penisola. E il 95 per cento di questi presenta carenze nei requisiti minimi di sicurezza. È inaccettabile che questa Torre di Babele comporti una spesa di manutenzione annua di 7,5 miliardi.

Spesso ci si trova di fronte a rendite di posizione che non si vogliono adeguare all’evoluzione dei tempi. Un esempio può essere un organismo apparentemente impeccabile, l’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato spa che opera in regime di monopolio nella produzione della Carta di identità e di altri documenti elettronici di identità, delle targhe automobilistiche e dei bollini sui farmaci nonché dei contrassegni di Stato sui vini. Un organismo che svolge un ruolo centrale nel processo di digitalizzazione dei rapporti Pubblica amministrazione-cittadini, perché destinato a fornire supporti e programmi. Eppure, negli ultimi cinque anni molti osservatori – e anche il Parlamento – hanno evidenziato aspetti problematici dell’attività dell’Istituto, lamentando costi, ritardi nel rilascio e imperfezioni della Cie, contestando il costo e la qualità dei bollini farmaceutici o la falsificazione dei contrassegni dei vini nonostante i vini Docg (Denominazione di origine controllata e garantita) siano elemento centrale del made in Italy. L’Antitrust ha inoltre evidenziato la dannosità del monopolio della produzione dei bollini per i farmaci, con un onere implicito sui prezzi dei farmaci per i cittadini pari a 250 milioni di euro l’anno. La situazione di monopolio genera soprattutto nella tecnologia e nel digitale – in termini di costi e prezzi – inefficienza delle soluzioni, ritardi e lentezze.

In Italia chi deve aprire un bar ha oggi bisogno di 72 autorizzazioni, mentre sono 65 per un parrucchiere. E per aprire una attività di autoriparatore occorrono 86 autorizzazioni e 19.700 euro di spese burocratiche. Nella pandemia, tre imprese su quattro hanno segnalato difficoltà ad accedere ai servizi pubblici gestiti in smart working. Nelle raccomandazioni all’Italia del 20 luglio 2020, il Consiglio dell’Unione europea ha invitato l’Italia a realizzare “un’infrastruttura digitale rafforzata per garantire la fornitura dei servizi essenziali, nel quadro di una Pubblica amministrazione efficiente, digitalizzata, sburocratizzata e al servizio del cittadino”. Solo a dicembre con l’emanazione del Piano organizzativo lavoro agile (Pola), si è stabilito che sarà necessario dare indicazioni di performance più serrate per i dipendenti pubblici in smart working. Ma i tempi sono rimasti nel vago.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina ben 9,45 miliardi alla digitalizzazione e modernizzazione della Pubblica amministrazione. Vediamoli questi progetti: 1.250 milioni per i servizi di cloud e la realizzazione di data center, 1.100 milioni per consentire alle Amministrazioni ad accedere a questi servizi secondo il principio dell’once only, in linea con la Eu data strategy. E poi 1.500 milioni per l’aggiornamento, l’adeguamento del personale e lo smart working. Venendo al nocciolo duro della questione, cioè la richiesta Ue di usare il Recovery per semplificare i rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione, e ridurre il costo degli adempimenti burocratici, tra i progetti troviamo: 480 milioni per la semplificazione delle procedure amministrative, tramite l’interoperabilità dei flussi documentali tra Amministrazioni e 5.560 milioni per sfruttare le tecnologie digitali al servizio dei cittadini e delle imprese, ma solo se questi sono “abilitati” all’utilizzo di servizi digitali.

Tuttavia, di questi 5,5 miliardi ben 4,7 – peraltro già stanziati dall’articolo 73 del Decreto agostosono destinati al progetto Italia Cashless, cioè al Cashback per coloro che fanno almeno 10 pagamenti con carta di credito dopo essersi registrati sulla app “Io”. Programma rispetto al quale la Banca centrale europea ha già avuto modo di osservare che non è conforme al diritto europeo, in quanto altera le regole sulla neutralità del corso della moneta. Insomma, non solo il Recovery è usato per recuperare i soldi stanziati per il Cashback, che non è conforme al diritto europeo, ma addirittura al “nocciolo duro” dei rapporti Pubblica amministrazione-cittadini vanno solo 1.275 milioni, pari allo 0,57 per cento del totale delle risorse del Recovery, distribuiti su tre anni. Si confronti questo dato con il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la Pubblica amministrazione, il cosiddetto “costo della burocrazia”, valutato dagli istituti di ricerca (Ambrosetti, Confartigianato Mestre) in 57,2 miliardi.

Ma non c’è solo il Recovery. Nel Decreto semplificazione (numero 76 del luglio 2020), ci sono numerose norme in materia di digitalizzazione della Pubblica amministrazione, ma le uniche vere semplificazioni che riguardano cittadini e imprese sono riferibili alle gare d’appalto (conferenza servizi più veloce e innalzamento dei limiti per le aggiudicazioni semplificate) e alla possibilità di presentare autocertificazioni, istanze e dichiarazioni direttamente da cellulare tramite app “Io”. A fronte del disastro generale dell’economia, (le Pmi hanno perso, nel 2020, 420 miliardi di euro di fatturato) con la legge di Bilancio 2021 è salito a 3,8 miliardi l’importo a disposizione del fondo per il nuovo contratto di lavoro degli statali, che salgono a 6,7 se si considerano i dipendenti delle Amministrazioni periferiche: il 26 per cento in più di quanto erogato al pubblico impiego nell’ultimo rinnovo firmato nel 2018. Se si rispettasse un criterio di proporzionalità, lo Stato dovrebbe conferire agli imprenditori messi a terra dal Covid… 250 miliardi di euro, cioè più dell’intero Recovery fund che ci spetta.

Aggiornato il 02 marzo 2021 alle ore 10:10