L’approccio del premio Nobel, Francis Crick, riguardo lo studio della coscienza si è mosso in due direzioni. Prima di tutto è stato quello di identificare le proprietà della coscienza, e il secondo è stato trovare le strutture cerebrali che potessero spiegare quelle proprietà. Francis Crick e il suo collega Christof Koch hanno notato che una caratteristica chiave delle nostre esperienze coscienti è che tutti i componenti sono integrati in un tutto unificato: l’aspetto, l’odore e la sensazione di una rosa sono tutti legati insieme alla nostra esperienza emotiva della rosa. E dato che questi differenti aspetti dell’esperienza sono collegati all’elaborazione neuronale dentro circuiti cerebrali distinti – e spesso ampiamente separati (i responsabili della vista, dell’olfatto, della sensazione somatica, insieme all’amigdala e ad altri centri coinvolti nell'emozione) – questa unificazione delle nostre componenti esperienziali implica una sorta di coordinamento tra le diverse aree cerebrali.
Nella loro indagine sulle varie nozioni sulla coscienza, Crick e Koch hanno osservato che il filo conduttore in tutto il pensiero sulla coscienza è quello del riconoscimento della necessità di unire le informazioni che provengono da molte parti – separate – del cervello. Francis Crick ha scritto: “In biologia, se si cerca di capire la funzione, di solito è una buona idea studiare la struttura”. Conseguentemente, ha adottato un approccio fondamentalmente strutturale alla coscienza: quali regioni del cervello, si è chiesto, hanno proprietà che si adatterebbero esse stesse alla raccolta di informazioni e all’analisi che è al centro dell’esperienza cosciente?
Crick aveva una sensazione molto definita, che rasentava la convinzione, cioè che la struttura alla base della coscienza sia il claustro. Cos’è il claustro e perché sceglierlo come chiave per comprendere la coscienza? Il claustro è un sottile foglio di materia grigia che risiede parallelamente e al di sotto di una parte della corteccia (la corteccia è la copertura di materia grigia del cervello che esegue i calcoli coinvolti nel sentire, vedere, udire, parlare e decidere cosa fare). Il claustro è presente in tutti i mammiferi, ma è stato poco studiato e la sua funzione non è nota. Ciò che è noto, tuttavia, è che ci sono connessioni a due vie tra il claustro e la maggior parte, se non tutte, le parti della corteccia, nonché le strutture sottocorticali coinvolte nell’emozione. Quindi, il claustro non è solo una sorta di ombra della corteccia, ma piuttosto un circuito neurale con input sovrapposti da varie regioni corticali e uscite di ritorno alla corteccia. A causa delle sue connessioni diffuse, Crick e Koch hanno paragonato il claustro al direttore di un’orchestra, che è responsabile di legare insieme le esecuzioni dei singoli musicisti in un tutto integrato, che diventa molto di più della somma delle singole parti. Le connessioni neuroanatomiche del claustro, quindi, corrispondono semplicemente al “conduttore” necessario per legare insieme le varie componenti – disparate e separate dell’esperienza cosciente che si producono in molte diverse regioni del cervello. Bisogna oggi studiare il claustro combinando approcci neuroanatomici, elettrofisiologici e biologici molecolari innovativi. Alcune di queste idee per lo studio del claustro, come l’utilizzo di metodi biologici molecolari per interrompere in modo specifico la funzione claustrale, sono abbozzate in questo scritto. Non tutti comprenderanno l’idea di Crick e Koch che il claustrum sia la sede della coscienza. Ad esempio, il fatto che tutti i mammiferi abbiano il claustro potrebbe essere un argomento contrario per coloro che non possono immaginare la coscienza senza linguaggio e ragionamento del tipo specificamente umano.
Può uno strato sottile ed enigmatico di cellule nervose essere una componente chiave delle reti che generano l'esperienza cosciente? Se si indica un organo qualsiasi del corpo, i medici sanno e possono dire tutto su cosa fa e cosa succede se quell’organo viene ferito per incidente o malattia o viene rimosso chirurgicamente, che si tratti di una ghiandola, di un rene o dell’orecchio. Tuttavia, come i punti vuoti sulle mappe geografiche dei tempi passati, ci sono strutture le cui funzioni rimangono sconosciute nonostante l’imaging dell’intero cervello, le registrazioni elettroencefalografiche che monitorano i segnali elettrici del cervello e tutti gli altri strumenti avanzati del nostro secolo. Il claustro è un sottile foglio di cellule irregolari, nascosto sotto la neocorteccia, la materia grigia che ci permette di vedere, ascoltare, ragionare, pensare e ricordare. È circondato su tutti i lati dalla materia bianca: fasci di “fili” che collegano le regioni corticali tra loro e con altre regioni del cervello. I claustri – perché ce ne sono due, uno sul lato sinistro del cervello e uno sul destro – giacciono sotto la regione della corteccia insulare, sotto le tempie, appena sopra le orecchie. Hanno una forma lunga e sottile che è facilmente trascurata quando si ispeziona la topografia di un’immagine cerebrale. Tecniche avanzate di imaging cerebrale, che osservano le fibre di materia bianca che corrono da e verso il claustro, hanno rivelato che si tratta di una sorta di “grande stazione ferroviaria” neurale. Quasi ogni regione della corteccia invia segnali al claustro. Tali connessioni sono ricambiate da altri segnali che si estendono dal claustro alla regione corticale di origine. Studi neuroanatomici sui topi hanno rivelato una asimmetria unica: ogni claustro riceve input da entrambi gli emisferi corticali, ma si proietta solo verso la corteccia sovrastante sullo stesso lato. Accade lo stesso nelle persone, nei nostri cervelli.
A differenza della maggior parte delle altre parti del cervello, non esistono folti studi su casi di pazienti con distruzione selettiva di uno o entrambi i claustri da ictus, infezione virale o altri accidenti. Lesionare la struttura in animali da laboratorio è impegnativo, data la natura sottile e allungata dei claustri. Per lo stesso motivo, l’imaging cerebrale non è stato molto utile: le più piccole caratteristiche spaziali distinguibili attraverso la tomografia a emissione di positroni o la risonanza magnetica funzionale – due delle tecniche di imaging più utilizzate – sono larghe da due a tre millimetri, più grandi della larghezza del claustro. Poiché è “incorporato” nella sostanza bianca e inserito tra due tessuti neuronali molto attivi – sotto la neocorteccia e sopra il putamen posti in profondità nel cervello – è problematico individuare in modo chiaro i cambiamenti nel flusso sanguigno verso il claustro. E non confonderli con queste grandi strutture vicine.
Così come nel 1954 Francis Crick e James Watson hanno dedotto la funzione chiave del Dna, la molecola dell’eredità – vale a dire immagazzinare e copiare informazioni genetiche – dalla sua struttura chimica a doppia elica, mezzo secolo dopo Crick, all’epoca lo scienziato più capace della biologia, si è cimentato nello stesso “gioco”, collegando una struttura – il claustro – a una funzione, l’emersione di un’esperienza integrata e cosciente. Mentre gli studiosi della coscienza erano e sono anche oggi in disaccordo su molti aspetti di questo fenomeno misterioso, fondamentalmente tutti concordano sul fatto che una delle proprietà che definisce ogni esperienza soggettiva è che è unificata. Nessuna esperienza può cioè essere ridotta a componenti indipendenti. Ogni esperienza è irriducibile, ed è unificata. Quando si guarda il viso di un congiunto, non si vedono due occhi in un’immagine in bianco e nero con uno strato di incarnato sovrapposto sopra. Percepiamo i suoi occhi come un tutto integro e senza soluzione di continuità. Né vediamo il nostro cane muovere il muso mentre un forte rumore riempie l’ambiente circostante: lo sentiamo abbaiare. Sappiamo che diversi gruppi di neuroni si attivano in fase – in gruppi, all’unisono – in risposta a caratteristiche comuni come i colori e il movimento, i volti e i cani, le parole, i suoni e via dicendo. Queste cellule sono disperse tra i sedici miliardi di neuroni che compongono la nostra corteccia cerebrale umana. Insieme le cellule attive e inattive danno luogo a un’esperienza cosciente. Inoltre, sappiamo dall’introspezione che ciò di cui siamo consapevoli è in continuo mutamento.
Distratta dalla vista fuori dalla finestra, sto per tornare a scrivere quando improvvisamente ricordo di avere promesso di dover fare qualcosa, e poi la mia attenzione si sposta senza preavviso sulla musica alla radio. Ognuna di queste immagini, suoni, ricordi e pensieri richiede che l’attività elettrica e chimica sottostante di un insieme privilegiato di neuroni sia rapidamente incanalata a dare origine a un’esperienza cosciente integrata che dura solo un attimo, fino a quando il successivo assemblaggio neuronale viene in essere e una nuova esperienza sostituisce quella vecchia. Le lontane connessioni a due vie tra il claustro e la corteccia indicano l’esistenza di una sorta di “superhub” – un grande centro di coordinamento – dell’attività neuronale fondamentale per la coscienza. Ogni regione della corteccia si proietta sulla sua area claustrale associata e questo hub di comunicazioni neurali “ricambia” la connessione: il claustro serve da integratore per segnali elettrici incrociati, a condizione che tutte queste informazioni possano essere mescolate liberamente all’interno della struttura. Si tratta della connessione del claustro alla coscienza.
Utilizzando microelettrodi che registrano l’attività elettrica nelle scimmie, gli scienziati hanno confermato che parte del claustro tendeva a rispondere maggiormente agli stimoli visivi, mentre una delle sue regioni vicine era sensibile ai toni. Ma nessun singolo neurone ha risposto a eventi insieme visivi ed uditivi, non sembrando svolgere cioè il claustro un ruolo multisensoriale. Questa apparente impasse è stata smentita in seguito da un drammatico caso clinico. Una donna di cinquantaquattro anni con crisi epilettiche incontrollabili cui erano stati impiantati degli elettrodi in profondità nel cervello per individuarne l’esatta origine delle crisi (gli elettrodi possono triangolare l'area focale in cui ha origine la crisi in modo che possa essere rimossa chirurgicamente): la stimolazione elettrica di un singolo sito con una corrente abbastanza ampia ha improvvisamente compromesso la coscienza in dieci prove su dieci. La paziente osservava con lo sguardo fisso davanti a sé, non rispondeva ai comandi e smetteva di leggere. Non appena la stimolazione veniva interrotta, la coscienza tornava, senza che la paziente ricordasse alcun evento durante il periodo in cui era in atto la procedura. Da notare che non era diventata incosciente nel senso usuale del termine, perché in grado di continuare a eseguire comportamenti semplici per alcuni secondi una volta cominciati prima dell’inizio della stimolazione, comportamenti come fare movimenti ripetitivi della lingua o delle mani o ripetere una parola.
Gli scienziati sono stati attenti a monitorare l’attività elettrica in tutto il cervello per confermare che gli episodi di perdita di coscienza non accompagnassero una crisi. Due aspetti del caso di questa paziente non erano mai stati visti né verificati prima: non erano state mai precedentemente segnalate cessazioni e riprese di coscienza improvvise e specifiche, nonostante decenni di stimolazione elettrica del proencefalo di pazienti svegli in sala operatoria. A seconda della posizione dell’elettrodo, i pazienti di solito non sentono niente di particolare. In sparuti casi, i pazienti possono riferire lampi di luce, odori o sensazioni corporee difficili da spiegare, o forse anche un ricordo specifico di molto tempo prima che la corrente elettrica evoca. Oppure il paziente contrae un dito o un muscolo. Ma questo caso della paziente cinquantenne non si era mai verificato. Qui la coscienza nel suo insieme pareva essersi spenta e poi riaccesa. In secondo luogo, era accaduto solo in un determinato punto, nella sostanza bianca vicino al claustro e alla corteccia. Poiché non è noto che la stimolazione elettrica dell’insula vicina provochi una perdita di coscienza, gli scienziati hanno identificato il claustro. È importante effettuare molti altri esperimenti per confermare l’esistenza e le proprietà di qualsivoglia interruttore on/off del claustro.
L’idea più promettente oggi è quella dello studio delle proteine espresse specificamente nelle cellule del claustro ma non in altre strutture cerebrali. La conoscenza del “codice” molecolare di queste cellule può essere sfruttata con strumenti di biologia molecolare per spegnere e riaccendere rapidamente e transitoriamente l’attività elettrica dei neuroni nel claustro. Capire la struttura, il funzionamento e la dinamica del claustro è cominciare ad identificare la probabile “impronta” della coscienza sulla nostra materia.
Aggiornato il 29 ottobre 2020 alle ore 10:59