La demolizione incontrollata delle università inglesi

Le università inglesi? “Delle madrase woke”. La tocca pianissimo Matt Goodwin, commentatore politico e scrittore, che ha deciso di raccontare la sua esperienza di accademico e di denunciare il regresso culturale e sociale degli atenei dOltemanica. Altro che oasi libertarie.

La tesi di Goodwin nel suo Bad Education. Why our universities are broken and how we can fix them, è che le università inglesi, e anglosassoni in generale, siano sempre più politicizzate e governate da ideologie che non consentono voci dissonanti e soffocano ogni confronto. Quelli che un tempo erano i santuari della libera circolazione delle idee, ora sono istituzioni in decadenza che stanno deludendo una generazione di giovani. E lo dice uno che ha trascorso anni lavorando come docente e ricercatore nelle università di Manchester, Nottingham e Kent. E che ha avuto a che fare con tutor depressi e studenti disillusi, problemi di finanziamento, standard formativi in calo, guerre culturali e proteste. Praticamente, un mondo in rovina. I campus, sostiene, l’autore, sono sempre più politicizzati. I bastioni della libertà di parola, i forum per dibattiti aperti e incubatori di idee nuove e audaci, stanno diventando sempre più monoculturali, governati da un’ideologia che sta mettendo a tacere voci rispettate, soffocando la discussione e chiudendo violentemente la bocca alle opinioni diverse, tradendo la libertà intellettuale e non riuscendo a fornire le basi stesse di un’istruzione. Goodwin spiega come il vanto di una Nazione, l’istruzione superiore, sia ora diventato, per dirla con il direttore di The free speech union, Toby Young, un “incendio di cassonetti”.

L’impressione che emerge, leggendo Bad Education, è che le università inglesi somiglino sempre più alla Chiesa prima della riforma, con i professori assurti a nuovo clero, che esige la sottomissione all’ideologia dominante. I padroni del discorso però, annuncia un po’ troppo entusiasticamente lo scrittore David Goodhart, hanno incontrato in Goodwin il nuovo Martin Lutero che con le sue 95 tesi contemporanee metterà a tacere chi vuole mettere a tacere le vocicontro”, in una guerra culturale palese, che secondo molti osservatori, tuttavia, è solo guerra, e basta. Sono le simpatie culturali di sinistra del personale, studenti e burocrati, sostiene Eric Kaufmann, professore di politica all’università di Buckingham, che stanno uccidendo la gallina dalle uova d’oro dell'istruzione superiore in Occidente. Attivisti e amministratori intolleranti, sostiene, controllano i parametri del dibattito e cancellano i dissidenti, mentre correnti più sottili di discriminazione politica inducono autocensura e conformismo progressivo, strangolando la diversità politica. Solo un intervento democratico dall’esterno dell’università, si ritiene, può salvare una nobile istituzione che è stata al centro della civiltà occidentale.

L’autore, dunque, vuole una risposta muscolare affidata a decisori politici e regolatori. Solo l’interventismo statale, l’azione del governo e una nuova legislazione, o magari anche la pressione di ateneiconcorrenti”, rileva, possono cambiare invertire la tendenza politicamente corretta. Il che significa adottare una strategia tutt’altro che che passiva, chiarendo che la libertà individuale di studiosi e studenti è, in ultima analisi, più importante della libertà o dell’autonomia dell’università. Occorre garantire, dice Goodwin, che tutte le università siano regolarmente sottoposte a controlli per violazioni della libertà accademica e della libertà di parola, con multe per chiunque trasgredisca.

Secondo l’Higher education policy institute la critica dell’autore si fonda su un paradosso. Egli attribuisce i problemi che denuncia a difetti nel sistema, che per esempio avrebbe fatto aumentare rapidamente il numero di amministratori universitari, la burocrazia centrale delle istituzioni (e anche lo stipendio dei vice-cancellieri). Ma tali cambiamenti sono stati spesso la reazione, si legge in un lungo articolo non firmato sul sito dell’Hepi, alle influenze esterne, come l’aumento della regolamentazione dell’istruzione in risposta a scandali come il caso della Trump University (che secondo le accuse avrebbe frodato i suoi studenti utilizzando pratiche di marketing fuorvianti e impegnandosi in aggressive tattiche di vendita), alla necessità di avere statistiche lusinghiere (come quelle da presentare al Tesoro nella battaglia per le risorse pubbliche), e al riconoscimento che i vecchi metodi di lavoro non sradicheranno i comportamenti inappropriati (ad esempio, le molestie sessuali). Secondo Goodwin, rendere le università più responsabili nei confronti di regolatori e decisori politici le renderà di nuovo bastioni della libertà di parola, anche se il rischio è che possa burocratizzare ancora di più la vita degli accademici.

(*) Matt Goodwin, Bad Education. Why our universities are broken and how we can fix them, Transworld Publishers Ltd, 256 pagine, 25 euro

Aggiornato il 23 dicembre 2025 alle ore 10:29