Il Vallo d’Occidente: Finis Europae?

Perché, come e quando, soprattutto, hanno avuto fine il Mondo di Amelie dell’irenismo europeo e la presunta superiorità dell’Occidente, fondata sul rispetto del multilateralismo e dello Stato di diritto, così come lo fu il Diritto e il Cives Romanus per l’Impero di Roma? La Finis Europae ha la stessa origine del suo inizio: l’emersione prima e la retrazione oggi, rispetto alla superficie della convivenza civile, del totem del diritto internazionale, il cui fondamento comune per tutti coloro che vi si vincolavano e si riconoscevano risiedeva nell’imperativo latino Pacta sunt servanda. E questo perché è venuto a mancare uno sceriffo planetario in grado di far rispettare i patti sottoscritti, nel caso che al tavolo degli accordi sieda l’uomo con la pistola che interpreta come debole chi, di fronte a lui, ha come sua sola arma “il Libro”, che sia la Bibbia o il Diritto moderno. Del resto, è del tutto evidente che, se lo Stato non avesse il monopolio della forza, il suo equilibrio sociale interno sarebbe del tutto compromesso, dato che i più forti imporrebbero sistematicamente la propria volontà ai più deboli. Ecco, fino a oggi il tutto si era retto sulla finzione che fosse l’America quello sceriffo, in grado di ripristinare la giustizia e disarmare i prepotenti del mondo. A forte complemento di quella sua figura di “giustiziere”, era stato edificato il sogno egalitario della globalizzazione dei commerci, affidando al libero movimento di merci, persone e idee l’interesse comune a mantenere la pace attraverso quegli scambi globali, che avrebbero garantito la divisione equa della ricchezza prodotta.

E tutto ciò ha parzialmente funzionato finché è esistita una sola superpotenza militare e tecnologica come gli Stati Uniti d’America che, nel caso dell’Alleanza Atlantica, si è fatta carico di sostenere i costi della pace e della difesa dell’intero Occidente. Ma, che cosa succede, come accadde all’epoca in cui scattò la Trappola di Tucidide tra Sparta e Atene, quando lo sceriffo (Usa) è costretto a restituire la stella per ristrettezze di bilancio, dovendo pensare alle cose di casa sua, perché i suoi vicini si sono fatti minacciosi e ingombranti? E che cosa dire quando il suo protettorato d’Europa, pur essendo più ricco ormai del suo protettore, si rifiuta di prendere in carico la propria sicurezza, pretendendo che lo sceriffo continui a stipendio zero a fare il suo mestiere a rischio? Allora è chiaro che la rottura tra i due quarti di sfera dell’emisfero chiamato “Occidente” non è un maleficio dovuto al putinismo della pistola puntata, ma semmai al clamoroso fallimento del principio della globalizzazione, che si voleva a somma positiva, in cui tutti i partecipanti avrebbero avuto qualcosa da guadagnare. Invece, il dogma globalista si è rivelato falso in tutti i suoi aspetti, perché non solo ha violato la fisica dei vasi comunicanti, ma ha aumentato per di più l’entropia del sistema complessivo. In questa dinamica perversa, alcune vaste aeree continentali sono emerse dal sottosviluppo e si sono immensamente arricchite in meno di tre decenni, grazie al progresso tecnologico.

Al contrario, altre regioni già ricchissime sono scivolate progressivamente nella depressione economica, con la perdita di molte decine di milioni di posti di lavoro nelle manifatture e nelle industrie ad alta densità di manodopera, le cui ricadute in Occidente si sono manifestate con il proliferare delle Rust Belt (“cinture della ruggine”) industriali. Inoltre, fuori del Vecchio Continente, digitalizzazione e green hanno creato dei veri e propri Re Mida planetari, che hanno concentrato su di sé la ricchezza mondiale, in cui tanto per dire le quotazioni dell’americana Nvidia (semiconduttori) hanno raggiunto i 5 triliardi di dollari di valore, pari a due volte il Pil italiano; per non parlare poi dei titani digitali della Silicon Valley. Nel contempo, la Cina ha di fatto acquisito a nostre spese il monopolio delle tecnologie green e delle terre rare, senza le quali né noi, né gli stessi Re Mida di oggi potremmo sopravvivere. Quindi, proprio colui che ha per primo fatto un dogma della conversione green, come l’Unione Europea, si è letteralmente suicidato e consegnato alla concorrenza nemica, trasferendole triliardi di dollari di ricchezza comune, per non aver “prima” sviluppato tutte le catene di valore della filiera green europea, come: semiconduttori avanzati; tecnologie di raffinazione (altamente inquinanti!) di terre rare e strategie di approvvigionamento delle stesse; motori elettrici ad alto rendimento e costi contenuti, e così via.

La fine dell’Europa è proprio da ricercare nella sua bulimia e schizofrenia regolatoria, la cui colpa storicamente imperdonabile è di regolamentare le cose degli atri, anziché favorire la nascita dell’high-tech e di hub tecnologici europei, oggi sviluppati in altri continenti e per di più in regime di monopolio. Un esempio per tutti è rappresentato dall’utilizzo delle grandi piattaforme digitali made in Usa, o dalla riconversione green dei processi industriali e produttivi in Europa, in merito ai quali si è scelto in modo astratto e velleitario di fissare normativamente tempi e termini assolutamente irrealistici, relativamente all’abbandono progressivo delle energie fossili non rinnovabili e altamente inquinanti. Il tutto, senza prima aver acquisito un ruolo leader nelle relative tecnologie di punta, per evitare il declino sempre più rapido delle manifatture d’eccellenza dell’Europa, come l’automotive tradizionale, e parimenti dell’industria degli armamenti, oggi in grandissima difficoltà dopo il passo indietro degli Usa sull’Ucraina. Fattori questi ultimi di estrema debolezza e dipendenza dai fornitori esteri, che hanno già prodotto il trasferimento in altre aree del mondo di triliardi di profitti, estratti dal continente europeo a causa del suo gap tecnologico e militare.

E nemmeno si è stati in grado di utilizzare l’enorme, ingombrante potere regolatorio di Bruxelles per costruire meccanismi protettivi del lavoro e della manifattura continentale, per mettere anche la nostra pistola sul tavolo della globalizzazione, in modo da arginare la sfida sleale che ci proviene soprattutto dalla Cina. Bastava dire che, a condizione di triplicare (almeno) gli standard di qualità delle merci cinesi, la differenza di costi sarebbe stata coperta da sussidi e finanziamenti comuni europei, stanziando adeguate risorse finanziarie a compensazione dei maggiori oneri sostenuti dalle relative filiere produttive, per riequilibrare con una politica oculata le pratiche commerciali di dumping e di sfruttamento illegale di lavoro, che caratterizzano quelle aree (soprattutto asiatiche) in cui l’esportazione è fortemente sussidiata da capitali e investimenti di Stato. Sì, cara Europa: è proprio ora di aprire un fuoco di sbarramento preventivo, per tenere a bada i nostri nemici reali e potenziali, facendo capire loro che non siamo “pecore” ma pastori di lupi!

Aggiornato il 09 dicembre 2025 alle ore 11:11