Porre fine all’impunità russa

Dopo secoli di violenza e quasi quattro anni di guerra totale, l’idea che un accordo negoziato possa, da solo, garantire una pace duratura in Ucraina è un’illusione pericolosa. Il nodo non è la grammatica diplomatica delle clausole, ma la sintassi profonda che regge l’aggressività russa, un’ideologia imperiale che considera l’Ucraina non un Paese sovrano ma un errore storico da correggere con la forza.

La nuova iniziativa del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rimesso in moto la diplomazia globale: incontri, bozze di garanzie di sicurezza, manovre incrociate tra Washington, Kyiv, Mosca e i governi europei, ma il rischio, ancora una volta, è fermarsi ai dettagli del cessate il fuoco senza affrontare il vero ostacolo strutturale, l’impunità dell’impero, l’incapacità della comunità internazionale di imporre a Mosca un ripudio ideologico prima ancora che legale o militare. Perché l’invasione del 2022 non è stata un’improvvisa eccezione della storia, ma l’ennesima espressione di un progetto coerente e ripetuto, un filo diretto che da Pietro il Grande passa per Iosif Stalin fino a Vladimir Putin, generazioni di leader russi che hanno condiviso la stessa ossessione, russificare, assimilare, sradicare.

La guerra non è iniziata nel 2022, né nel 2014, quando Mosca occupò la Crimea inaugurando otto anni di combattimenti nel Donbas. La Corte europea dei diritti delluomo ha riconosciuto l’esistenza di operazioni militari russe continuative in Ucraina almeno dal 2014, ma la genealogia della violenza che stiamo vedendo oggi a Kyiv, Kharkiv, Mariupol, Odesa, Zaporizhzhia e Kherson affonda in un passato molto più antico, nei divieti linguistici dell’Impero, nella repressione del clero e degli intellettuali, nelle deportazioni, nelle prigioni, nella negazione programmatica di ogni impulso all’autonomia nazionale ucraina. E soprattutto nell’atto simbolo dell’ingegneria politica sovietica, l’Holodomor, l’omicidio tramite la fame, la carestia artificiale progettata dal regime staliniano negli anni Trenta per spezzare la resistenza nazionale ucraina e ridurre in cenere l’idea stessa di autodeterminazione, un crimine che sterminò almeno quattro milioni di ucraini in meno di due anni. Il mondo conobbe la parola “genocidio” grazie al giurista Raphael Lemkin, che indicò nell’Holodomor l’esempio più classico di genocidio sovietico, ma quella diagnosi non si tradusse mai in un processo globale capace di incrinare l’architettura imperiale che l’aveva generata. Per decenni la Russia non ha dovuto rispondere alle conseguenze del proprio disegno di dominio e questa impunità non ha cancellato l’ideologia imperiale: l’ha resa praticabile ancora e ancora, lasciandola rigenerare, più forte e più spietata.

In questo scenario di atrocità a ciclo continuo, arrivano conferme schiaccianti dall’osservazione internazionale. L’Ambassador-at-Large for global criminal justice, un funzionario del dipartimento di Stato Usa incaricato di definire e promuovere la politica estera americana in materia di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e altre atrocità internazionali, ha parlato di atrocità sistematiche, documentate ovunque siano passate le truppe russe, ma la procura generale ucraina ha dato forma concreta a questa cartografia morale dellorrore: 178.391 crimini di guerra emersi e documentati, sui quali la procura ucraina ha avviato indagini ufficiali. Non è un numero astratto, ma evidenza concreta di ciò che l’impero produce: la mappa viva della disumanizzazione, la fotografia numerica di un’ideologia mai processata dalla storia.

Nel corso degli anni, anche le Nazioni unite hanno raccolto prove schiaccianti che confermano come le forze russe abbiano commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità su vasta scala. La Commissione internazionale indipendente dinchiesta sullUcraina – istituita dal Consiglio per i diritti umani nel marzo 2022 – ha documentato, già nel suo primo rapporto del 18 ottobre 2022, che in diverse regioni (tra cui Kyiv, Chernihiv, Kharkiv e Sumy) la “grande maggioranza” delle violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani a carico di civili era attribuibile alle forze russe. Rapporti successivi, aggiornati al 2025, ampliano l’indagine a centinaia di testimonianze dirette, immagini satellitari, video, siti di distruzione, fosse comuni, luoghi di detenzione e tortura, e concludono che le atrocità – omicidi intenzionali, torture e trattamenti inumani, sparizioni forzate, deportazioni, trasferimenti coercitivi di popolazione, attacchi deliberati con armi esplosive su aree civili, uso della violenza sessuale come arma di guerra – non sono casi isolati ma parte di una strategia sistematica.

In particolare, gli attacchi con droni e le bombe su infrastrutture civili nella regione di Kherson risultano da dieci mesi come “sistematici e diretti contro la popolazione civile”, configurando, secondo la Commissione, un crimine contro l’umanità. Le conclusioni della Commissione non lasciano spazio a dubbi: non si tratta di conseguenze impreviste della guerra, ma di un disegno pianificato, di repressione, deportazione e distruzione su vasta scala, con l’obiettivo di cancellare l’identità, la popolazione, la vita civile.

Kyiv resiste non solo per difendere linee di confine ma per dimostrare che l’identità di un popolo non è un incidente amministrativo dell’impero, né una postilla geomilitare nell’agenda del Cremlino. Tuttavia la questione oggi non è soltanto come fermare i crimini di guerra: è come disinnescare il presupposto che li trasforma in strumenti ritenuti accettabili. Senza un ripudio chiaro, aperto, unanime e internazionale della pretesa imperiale russa, resteremo perennemente nel tempo sospeso della tregua, mai in quello definitivo della pace, perché l’impunità non costruisce accordi, li divora, e perché la storia, quando nessuno la giudica, non passa. Ritorna.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 26 novembre 2025 alle ore 10:30