Il recente vertice di Rabat sui bambini-soldato ha riportato al centro del dibattito africano una realtà drammatica e radicata: secondo le stime emerse durante la conferenza, oltre 120.000 minori sarebbero attualmente connessi a gruppi armati nel continente. Non si tratta di un fenomeno isolato o limitato a un solo conflitto, ma della somma di situazioni diffuse in aree instabili come il Sahel, il Corno d’Africa, i Grandi Laghi, il bacino del Lago Ciad ed i campi del Polisario in Tinduf.
Il vertice, promosso dal Marocco, ha visto la partecipazione di ministri africani, esperti di disarmo e rappresentanti delle Nazioni Unite con l’obiettivo di definire una risposta normativa più forte.
Al termine dei lavori è stata adottata la Dichiarazione di Rabat, documento che ridefinisce il fenomeno dei bambini-soldato non solo come conseguenza della guerra, ma come un indicatore strutturale dell’insicurezza nel continente. Il testo chiede la creazione di una convenzione africana vincolante: secondo i partecipanti, le attuali misure (protocolli nazionali, piani di disarmo ad hoc, iniziative di agenzie internazionali) sono frammentate e non sufficienti a garantire una protezione reale e duratura. Una convenzione obbligatoria potrebbe imporre obblighi chiari agli Stati per prevenire il reclutamento, liberare i minori e garantire un reinserimento efficace.
I dati presentati dalle delegazioni mostrano una situazione grave già nota, ma confermata dai rapporti internazionali più recenti. Il Rapporto annuale del Segretario Generale delle Nazioni Unite su Bambini e Conflitto Armato (2024) documenta 41.370 “gravi violazioni” contro i minori, il livello più alto mai registrato, con un aumento del 25 per cento rispetto al 2023. Tra queste, 7.402 casi riguardano il reclutamento o l’uso di bambini in conflitti armati. Verifiche Onu mostrano anche che 3.137 minori hanno subito violazioni multiple nelle stesse azioni di guerra (rapimento, reclutamento e violenza sessuale), un incremento rispetto all’anno precedente. Inoltre, circa 16.482 bambini liberati nel 2024 hanno ricevuto un qualche tipo di sostegno per il reinserimento.
Questi dati Onu confermano quanto sottolineato a Rabat: il reclutamento minorile non è più un fenomeno marginale ma una parte integrante di molti conflitti. In Africa, gruppi armati – sia statali che non statali – continuano a impiegare minori non solo come combattenti, ma in ruoli di portatori, messaggeri, sentinelle, informatori o per compiti di logistica, in aggiunta a casi di sfruttamento sessuale. Questo non è solo un problema umanitario: è una minaccia alla stabilità regionale.
Uno dei punti critici emersi a Rabat riguarda proprio il reintegro: molti programmi di smobilitazione restano superficiali. Non basta liberare i bambini: serve un sostegno sostenibile, che includa assistenza psicologica continua, istruzione, percorsi di formazione e strumenti economici per costruire un’alternativa duratura. In assenza di questi elementi, il rischio è che molti giovani tornino nei gruppi armati, spinti da povertà, esclusione sociale o mancanza di opportunità.
La proposta marocchina di istituire un “Gruppo degli Amici” permanente per il disarmo, il reinserimento e la protezione dei minori appare cruciale. Questa piattaforma dovrebbe tradurre in norme e azioni operative la Dichiarazione di Rabat: monitorare gli impegni, verificare i progressi e favorire la cooperazione tra Stati, Ong e organismi internazionali.
La conferenza di Rabat ha rappresentato un passo concreto nella lotta al reclutamento minorile in Africa. Il Marocco ha dimostrato leadership non solo convocando il vertice, ma anche proponendo strumenti operativi per trasformare gli impegni in azioni verificabili. La creazione della piattaforma permanente di monitoraggio e supporto al reinserimento dei minori offre un meccanismo concreto per coordinare governi, organizzazioni internazionali e Ong.
Grazie a queste iniziative, centinaia di bambini liberati dai gruppi armati potranno beneficiare di programmi di sostegno psicologico, formazione scolastica e reinserimento sociale, aumentando le possibilità di interrompere il ciclo della violenza. L’approccio marocchino mette in evidenza che la protezione dei minori non è solo un imperativo umanitario, ma una strategia efficace per stabilizzare le comunità e costruire sicurezza regionale duratura.
Con la Dichiarazione di Rabat e le azioni concrete annunciate, il Marocco si pone come punto di riferimento per la cooperazione africana, dimostrando che è possibile affrontare un problema complesso con strumenti concreti, coordinati e sostenibili. Questo vertice segna un inizio positivo: la strada è ancora lunga, ma l’impegno politico e operativo riscontrato a Rabat è chiaro, tangibile e misurabile.
Aggiornato il 25 novembre 2025 alle ore 09:46
