Russia-Usa: l’asse che mescola le carte della geopolitica

Lo storico e professore della Sorbona Jean-Baptiste Duroselle (1917-1994) sosteneva che anche se gli imperi si dissolvono lasciano nella memoria dei loro eredi una nostalgia di potere e dominio. L’irriducibilità di questi ricordi, anche se tradotti con una fisionomia politica non più tipicamente imperiale, continua ad essere un orizzonte verso il quale chi detiene il potere modella le proprie azioni. Non casualmente i “detentori” perseverano con ogni mezzo per restare dominus del proprio Paese. Quindi le modalità operative della loro politica risaltano in ogni aspetto del loro percorso sia economico che sociale. Una delle peculiarità è quella di ricercare le “sponde” del passato perimetro geografico imperiale, e in modo complementare tratteggiare politiche economiche che mettono al centro le colonne portanti dell’idea imperialista ovvero l’industria militare. Questi atteggiamenti influiscono chiaramente sull’aspetto dell’educazione sociale basata sulla sacralità della nazione ed anche di chi la conduce.

Pratiche di potere che pensano ad un mondo non stabile, con Nazioni dai confini o sovranità effimeri. È questa tipologia di visione politica che sta mettendo in discussione gli assetti geopolitici nati alla fine della Grande guerra con la dissoluzione di quattro imperi: Zarista, Ottomano, Germanico e Austro-Ungarico, poi con la dissoluzione dell’Unione sovietica (1991). Proprio Vladimir Putin, ex “mediocre agente del Kgb”, appena salito sullo scranno della presidenza della Russia nel 2000, si pronunciò rinnegando l’operato dei suoi predecessori, sia per la donazione della Crimea all’Ucraina voluta da Nikita Krusciov nel 1956, sia per non avere impedito la fine dell’Urss. È su queste basi che l’architettura di una relativa pace internazionale vede le sue fondamenta fatte tremare da leader nostalgici con le ambizioni di plasmare un nuovo ordine mondiale basato su una visione neoimperialista.

Quindi, “sfogliando” le carte della geopolitica attuale e interpretarle con lo strumento della visone neoimperialista, si possono comprendere meglio le attuali dinamiche geostrategiche e le ambizioni dei nuovi aspiranti imperatori. Così l’asse Xi Jinping-Vladimir Putin, come il peso di potenze nucleari come l’India, ma anche le ambizioni represse, fino ad ora, di un nuovo impero ottomano con Recep Tayyip Erdoğan come neo sultano, e poi con le grandi agglomerazioni economiche correlate a queste realtà, Brics+ in testa, e non ultime le ambizioni di semi onnipotenza di una tipologia contemporanea di imperialismo espressa da Donald Trump, possono farci vedere come la tendenza sia anche quella di escludere da queste dinamiche altre tipologie di unioni nazionali come quella europea. Un’Europa che ricordo, né presidenti repubblicani democratici statunitensi hanno mai voluti si allargasse nella “grande Europa” con annessa Russia.

Tutto ciò è finalizzato a rendere fluidi i confini nati da varie dinamiche storiche, ad esempio la Cina vede Taiwan nel suo mirino imperialista. Il tutto conduce alla rinascita delle questioni territoriali e alla ricerca del controllo delle risorse naturali, nonché del dominio delle principali tratte di comunicazione. Ad oggi forse la massima espressione di un articolato neo imperialismo è proprio la proposta di accordo Trump-Putin per il cambiamento sulla “carta geografica” dei confini della Russia e di conseguenza dell’Ucraina. Così i negoziati di Washington con Mosca stanno innescando turbolenze che sottopongono, come mai accaduto prima, ucraini ed europei a forti pressioni. Quindi, una proposta modificabile ma che parte dando concessioni territoriali alla Russia, una contrazione dell’esercito ucraino e dei suoi armamenti, tradotto un drastico ridimensionamento della forza difensiva e offensiva; l’esclusione dell’ingresso di Kiev nella Nato, e un conseguente dispiegamento di truppe Nato in Ucraina.

Una proposta di piano di tregua reso noto alla stampa mercoledì scorso, ma con caratteristiche russocentriche, quindi che favorisce quasi completamente le richieste di Putin. Ma il fattore più destabilizzante è che il piano Usa-Russia al momento non da prospettiva, dopo quasi quattro anni di guerra, che le ostilità possano cessare. Anzi, l’esercito del Cremlino strategicamente spinge sull’acceleratore dei bombardamenti per mettere meglio all’angolo un Volodymyr Zelensky già notevolmente stordito. Ritengo che l’appellativo di “Taikun” dato a Trump, termine giapponese – il Giappone ha un imperatore, Naruhito – nel suo significato più appropriato di “grande signore” anche se non di stirpe nobile, delinea forse non casualmente il profilo di un personaggio dal potere e dagli atteggiamenti non dissimili da quelli di un imperatore. Un modus operandi, quello di The Donald, da “inedito imperialista”, che in specifici contesti storici, come quello attuale, non può essere considerato un incidente sociologico ma una necessità sociologica.

Aggiornato il 24 novembre 2025 alle ore 10:25