Iran, crisi idrica gravissima: il territorio sprofonda

La fine del regime degli ayatollah potrebbe arrivare non da una rivolta di piazza o da una bancarotta economica, come avvenne al sistema sovietico, che ha potuto sopravvivere per decenni solo grazie al colonialismo in Asia centrale ed Est Europa, nonostante la sua cultura antieconomica. Una leggenda olandese racconta la storia di un bambino che salvò con un dito la diga di Haarlem, il quale si era accorto di una piccola falla nella parete della struttura. I cittadini erano preoccupati e non sapevano che fare, ma il piccolo Hans Brinker vide che la perdita consisteva in un piccolo foro che si sarebbe presto allargato per la pressione dell’acqua. Mise il suo dito nel foro per tutta una notte, impedendo all’acqua di fuoriuscire e mantenendo la diga in sicurezza fino all’arrivo dei soccorsi. La leggenda è istruttiva, peccato che le narrazioni fiabesche siano quasi morte, perché erano utili e affascinanti, certo più dell’ultimo James Bond targato Amazon, in cui Daniel Craig non usa più le armi, beve aranciata e insomma è – come dicono a Roma – ‘na palla politicamente corretta.

Middle East report riporta una situazione esattamente opposta, uno stato di “permanente situazione di siccità e carenza di acqua” (Iran has entered a state of permanent water bankruptcy). In questo caso però non ci sono bambini in grado di salvare il problema idrico, e anzi gli iraniani sono degli incatenati che non possono rovesciare una tirannia incompetente e odiata da tutti. Il rapporto The thirst of a Nation parla di “fallimento dello Stato iraniano” esponendo in dettaglio una situazione gravissima, che non ha per niente cause naturali, come la mancanza strutturale di piogge, ma è il prodotto di errori politico-ideologici e di ingegneria. Le colpe vanno ascritte a tutto il sistema di potere, incluso l’Islamic revolutionary guard corps (Irgc). Si è così giunti alla “bancarotta idrica”, con una domanda cui non c’è sufficiente risposta. Il settore agricolo consuma circa il 90 per cento delle risorse disponibili ed è al collasso, con conseguenze facilmente immaginabili: le falde sono esaurite e vi sono 1,3 milioni di agricoltori senza lavoro né reddito, col rischio di una crisi alimentare che colpirebbe circa 40 milioni di persone.

È sceso anche il livello di acqua nelle dighe che producono energia idroelettrica, col risultato che sono spariti 12,500 megawatt di disponibilità e vi sono blackout elettrici ormai cronicizzati. Danni anche ai trasporti e agli acquedotti. Le riserve di Teheran sono in esaurimento e il “day zero” idrico è ormai lontano non più mesi ma giorni. Si prevedono in Iran circa 1,35 milioni di morti per malnutrizione, caldo, malattie. Si prevedono anche 18 milioni di rifugiati (3,5 milioni all’estero) a causa della mancanza di acqua in diverse regioni. Vi sarebbero soluzioni di partner internazionali in grado di risolvere il problema: Israele per la tecnologia e l’organizzazione del sistema idrico nazionale; l’Australia per la raccolta di dati e la gestione economica del problema; Singapore per la gestione della crisi a livello urbano; Arabia e il Gulf cooperation council (Gcc) per le risorse finanziarie. Ma vi sono troppi problemi politici a rendere inaccettabile l’acquisto di tecnologie performanti.

Il problema si è sviluppato e cresciuto da decenni. Si è passati da una disponibilità per ogni utente di 5,845 metri cubici (circa 206,000 cubic feet) annui nel 1961 ad appena 1,484 nel 2019. Adesso si sta arrivando a 1.000 metri cubici annui. Per 3.000 anni l’Iran ha potuto combattere la mancanza di piogge col sistema dei Qanat, i canali sotterranei scavati nell’antichità, che portavano l’acqua dalle falde sotterranee alle campagne e nelle città. Il sistema funzionava e ha contribuito alla ricchezza degli imperi persiani. La megastruttura dei Qanat è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, avendo garantito una fiorente agricoltura in un ambiente da sempre desertico, grazie a un sistema sostenibile e ottimizzato (i canali di superficie avrebbero – tra gli altri svantaggi – un’alta dispersione termica).

Una delle cause dell’attuale disastro è la costruzione di una insana “resistance economy” e la ricerca dell’autosufficienza nel settore agricolo. Così si è arrivati a una dispersione delle risorse idriche pari al 70 per cento. La legge del 2010 è populista e ha portato ad amnistiare 30.000 pozzi illegali, che hanno contribuito a prosciugare le falde. Sono stati superati i limiti ecologici delle canalizzazioni storiche. Si tratta quindi di una crisi non dovuta al clima ma a una pessima amministrazione, dato che la metà dei Qanat è stata distrutta negli ultimi 50 anni, sostituita da pozzi meccanizzati che pescavano al di sotto dei Qanat. La distruzione di opere storiche ricorda quella talebana delle grandi statue di Buddha in Afganistan. L’incapacità di affrontare i problemi infrastrutturali con politiche efficienti ricorda in peggio i piccoli disastri dell’acquedotto pugliese e del sistema idrico siciliano. Ma qui si tratta di una crisi nazionale, aggravata dal fatto che gli ayatollah non possono certo ricorrere alla tecnologia israeliana, che aveva reso Gaza una terra fertile e ricca, con serre e un sistema idrico moderno ed efficiente. Purtroppo, le serre e le canalizzazioni idriche israeliane sono state distrutte subito dopo che Hamas, lo spin off economico e militare dei Fratelli musulmani e dell’Iran, ha preso il potere dopo la donazione della Striscia da parte di Gerusalemme.

L’ultimo disastro è il continuo sprofondare del territorio iraniano. Lo sfruttamento selvaggio delle falde acquifere ha generato il fenomeno della subsidenza, l’abbassamento del suolo come avviene a Pozzuoli (per cause vulcaniche, il bradisismo). L’abbassamento del terreno iraniano è tra i più rilevanti nel mondo: circa 90mila chilometri quadrati del territorio è colpito da subsidenza (quasi un terzo della superficie dell’Italia). Il terreno in molte aree scende di 35 centimetri ogni anno. Chi se ne frega, dirà qualche filo hamasiano, ma il fenomeno non riguarda solo lande desertificate. Riguarda la stessa Teheran, dove l’Imam Khomeini International Airport e 14 stazioni del metrò sprofondano di 2 centimetri ogni anno, rendendo obbligatori controlli e interventi continui. E i palazzi dove vivono gli iraniani?

Aggiornato il 13 novembre 2025 alle ore 11:04