Nella cabala, il numero 111 (e Zohran Mamdani è il centoundicesimo sindaco di New York) si collega a significati esoterici profondi. È la somma del valore numerico della lettera ebraica Aleph (1+30+80=111), che rappresenta l’unità primordiale, la volontà suprema e una forza originaria. La tripartizione dell’unità (111) simboleggia quindi la pienezza e la completezza del principio creatore. Ma non ditelo a Donald Trump, altrimenti ne farebbe una malattia. Quindi, Mamdani farebbe bene a dare uno sguardo più da vicino all’ebraismo, per ridimensionare il suo profilo di filo-Hamas e guardare molto più in alto, verso le stelle del cielo e la Torah per divinare il suo futuro. Ora, bisogna solo stabilire se Trump è il Golia o il Davide della situazione, e questo dipenderà essenzialmente dal tasso di successo della sua iniziativa di demonizzare Zohran (il primo sindaco musulmano della Grande Mela nato nel Sud Est Asia), indicandolo come una minaccia per l’intera società, per immolarlo alla comunità Maga in qualità di nemico numero uno dell’America liberal. Così facendo, però, The Donald corre il rischio che i democratici ne facciano un martire ed elevino naturaliter Zohran a loro guida suprema, considerandolo un redivivo Barack Obama di questo terzo decennio del XXI secolo. E se così fosse, vista la giovanissima età di Mamdani, gli Usa (e non solo!) sarebbero confrontati a una guerra lunghissima di faide e di scontri feroci tra repubblicani e democratici, a tutto discapito delle politiche bypartisan di cui avrebbe disperatamente bisogno l’intero Occidente, per affrontare le immense sfide globali, presenti e future, che ci attendono!
E qui, per la verità, entrano in gioco ben altre componenti emotive, che non hanno granché a che fare con la politica, dato che per Trump New York è simbolicamente il suo primo amore, che ha bisogno quindi di essere protetto sotto ogni punto di vista. Ora, il problema è di capire quanto questa relazione speciale abbia un peso reale per i newyorkesi e per gli americani in generale. Ma le linee del fronte sono chiare fin da ora, e la vera battaglia sarà l’assedio finanziario-mediatico a New York nella sua qualità di Città-santuario (che limita la sua cooperazione con le autorità federali per proteggere gli immigrati irregolari dall’espulsione), in cui si profila durante l’amministrazione Mamdani il disastro di una spesa pubblica alle stelle, con l’aumento incontrollato sia dell’immigrazione illegale che del tasso di criminalità. L’avverarsi di questa infausta profezia dipende però da quanto il nuovo sindaco vorrà onorare sino in fondo le sue promesse elettorali, relative alla supertassazione per i contribuenti più ricchi, e all’imposizione di una corporation tax per le aziende americane che fanno profitti miliardari, in modo da poter finanziare con un adeguato aumento delle entrate le sue politiche sociali nei confronti dei meno abbienti. E, in merito, Trump ha promesso tuoni e fulmini, con il taglio alla nuova municipalità newyorkese dei fondi federali, che ammontavano a 8 miliardi di dollari nel 2024, ai quali vanno aggiunte altre donazioni per scolarità e servizi sociali vari. In caso di contenzioso legale, la città rischia addirittura una resa di conti in tribunale.
Ciò che più sorprende dell’elezione di Mamdani è il fatto che l’elettorato cittadino non abbia tenuto in alcun conto i moniti di liberal e repubblicani sul suo profilo di politico radicale, che ha promesso aumenti delle tasse e patrimoniali per i più ricchi, con lo scopo di finanziare, nell’ordine: l’intervento pubblico per calmierare il mercato immobiliare; asili nido e trasporti pubblici gratuiti; una rete di supermercati di proprietà pubblica, in cui vendere merci a prezzi controllati. Peccato che la Storia abbia già offerto modo di sperimentare, in mezzo secolo di Guerra fredda, il devastante impatto e il fallimento epocale delle follie economiche del socialismo reale, che nessuna persona di buon senso dovrebbe augurarsi di veder ripetere nella parte più progredita del mondo. Tra l’altro, per Zohran si pone il problema classico di chi non avendo nemmeno amministrato un modesto condominio si trova all’improvviso a gestire un budget annuale di 116 miliardi di dollari e un esercito di 300mila impiegati municipali. Allora, in base ai sondaggi pre-elettorali, come si giustifica il fatto che la maggioranza degli elettori, pur ritenendolo inadatto a svolgere le funzioni di sindaco, lo abbiano poi votato? La risposta sta nell’abilità tribunizia di Mamdani di utilizzare i social network per mobilitare il voto in suo favore, soprattutto tra le fasce più giovani.
Sono in molti a consolarsi, anche all’interno del Partito Democratico, sul fatto che Mamdani è destinato a rimanere un epifenomeno politico locale, dato che Zohran è ineleggibile alla Presidenza degli Stati Uniti, in quanto nato in Uganda. Malgrado che le cose formalmente stiano così, tuttavia la figura carismatica del neo sindaco è destinata a svolgere un ruolo non secondario alle elezioni presidenziali del 2028. Anche se i sostenitori del libero mercato hanno fallito nel promuovere la loro causa nel corso della campagna elettorale per la conquista della municipalità di New York, la vittoria di Mamdani suona come un campanello d’allarme per i democratici moderati, che non possono più limitarsi a vuoti anatemi sul socialismo, dichiarando che è quanto di meno adatto al sistema americano. Spetta infatti a loro trovare convincenti argomentazioni per dimostrare come il liberalismo economico comporti benefici per tutti, e perché, al contrario, l’intervento dello Stato in economia faccia più danni del libero mercato. Se vuole salvarsi dai suoi, Mamdani deve adottare un approccio graduale alle riforme promesse in campagna elettorale, varando programmi pilota, settoriali e limitati, piuttosto che imporre da subito le sue misure draconiane all’intera cittadinanza. Ma, il buon senso e il pragmatismo dimorano a sinistra?
Aggiornato il 10 novembre 2025 alle ore 11:03
