Riuscirà la sinistra democrat neo-socialista a far fallire New York, come ha fatto Nicolás Maduro con il ricchissimo Venezuela? Beh, state pur tranquilli che il deputato Zohran Mamdani, neo sindaco della città che non dorme mai, ce la metterà veramente tutta in tal senso per combinare guai, emulando qualcun altro qui da noi che, per missione di vita (politica), sceglie di essere ferocemente “anti” (anti Trump, anti Meloni, e così via), senza mai produrre una semplice parvenza di proposta politica che non sia demagogica. Chi pensa che il centro degli affari di Manhattan possa diventare la culla dell’assistenzialismo sociale di massa e un laboratorio sperimentale di social democrazia, di certo non può dirsi vero cittadino americano di una Nazione liberal che non ha alcuna intenzione di divenire illiberal. Del resto, la Grande mela ha iniziato da tempo il suo decadimento, a partire dalla scadenza del mandato di Mike Bloomberg, che mise fine a due decenni di buon governo. Dopo di lui, con Bill de Blasio è risalito nettamente il tasso di criminalità, e i vari governatori che si sono susseguiti da quella data in poi non hanno trovato di meglio che aumentare di continuo le tasse ai newyorkesi. Oggi i senzatetto affollano le gallerie della metro e gli angoli delle strade, mentre gli affitti sul mercato libero sono improponibili per i giovani che cercano casa, e l’equo canone rende antieconomico il rinnovamento e la manutenzione degli immobili da parte dei proprietari.
Per inciso: a New York le case a equo canone, con diritto al rinnovo del contratto, sono appartamenti in edifici con sei o più unità, costruiti prima del 1974, e protetti da aumenti di affitto significativi, il cui tasso di adeguamento al costo della vita è stabilito annualmente dalle commissioni locali. La differenza tra questo mercato protetto e quello libero è davvero notevole, visto che l’affitto di un bilocale a Manhattan supera i 5.000 dollari al mese. Per tutte le suddette ragioni Mamdani ha vinto, dato che i democratici di lungo corso non sono stati in grado di trovare una risposta concreta ai seri problemi che affliggono la metropoli. La sua vittoria rappresenta una severa lezione per chi ha fallito nella governance della città: fatto politico del tutto evidente quest’ultimo, di fronte al quale però i democratici si ostinano a negare le loro responsabilità. E sono proprio le politiche progressiste ad aver contribuito a creare l’attuale caos nella gestione pubblica, facendo salire vertiginosamente il costo della vita a New York. Malgrado tutto ciò, nota Wall Street Journal (Wsj), la Grande mela continua ad attrarre i giovani alla ricerca di successo, e molti di loro (per Mamdani ha votato un’altissima percentuale di under 30) scelgono il socialismo, pur di farla finita con lo status quo. La vittoria di Mamdani, quindi, rappresenta la speranza di cambiamento che, però, potrebbe rivelarsi ben peggiore rispetto alla situazione attuale, qualora dovessero essere varate misure demagogiche, come trasporti pubblici gratuiti, limiti all’attività di polizia, affitti calmierati e tasse più alte per i più ricchi. Misura quest’ultima destinata a mettere in serio imbarazzo i parlamentari democrat dello Stato di New York, considerato che il top dei contribuenti, pari all’un per cento della popolazione newyorkese, paga il 40 per cento dell’Irpef locale. Quindi, una fuga in massa di questi privilegiati potrebbe condurre alla bancarotta cittadina, e a rimetterci sarebbero proprio i più poveri!
Mamdani, per di più, rappresenta una vera sfida a livello nazionale per i democratici, fungendo da attrattore e modello per i candidati più a sinistra, che si vedono favoriti nelle primarie, dando così l’assalto alle roccaforti tradizionali del potere progressista, anche se per loro sarà piuttosto difficile spuntarla nelle circoscrizioni elettorali. L’altra sfida di Mamdani riguarda il nuovo tipo di messaggio e di immagine derivanti dalla sua elezione, destinati a cambiare la percezione del Partito Democratico nella pubblica opinione. Il suo grande difetto rimane quello di essere un populista, che finora si è occupato soltanto di politica (al contrario di gente concreta che milita nell’Amministrazione Trump), e non ha dimostrato grande talento per la mediazione. Come fa notare Wsj, Mamdani ha un sorriso disarmante, ma le “sue idee sono armate fino ai denti”! Al di là della sua personalità, rimane comunque il fatto di un risultato locale molto positivo per il Partito Democratico (e, quindi, indirettamente negativo per Donald Trump), ottenuto in contee operaie della Virginia rurale e nei quartieri operai dei distretti periferici di New York. Quest’ultima tornata elettorale ha visto premiati i candidati democratici moderati, come è accaduto per l’elezione dei giudici della Corte suprema della Pennsylvania, e per il rinnovo dei governatori sia della Virginia, dove ha vinto Abigail Spanberger (un ex funzionario della Cia), sia del New Jersey, che ha visto vincitrice la democratica Mikie Sherrill, ex pilota di elicotteri dello Us Army. Politicamente, Mamdani dovrà smentire con il suo operato le voci che lo danno vicino ad Hamas, rassicurando la comunità ebraica newyorkese sul fatto che il suo governo si comporterà come tutti quelli che lo hanno preceduto, contrastando ogni forma di antisemitismo.
Pur provenendo da diversi settori del Partito Democratico, esponenti come Mamdani, Spanberger e Sherrill hanno argomenti “forti” in comune, come la lotta al caro vita e l’aumento del potere di acquisto dei salari. E qui, in effetti, arrivano le note dolenti per Trump, dato che gli elettori americani non hanno visto finora realizzarsi le sue promesse elettorali per ridurre l’inflazione e aumentare il reddito dei cittadini, dato che la crescita economica di questo primo anno di presidenza è stata trainata dal boom dell’Intelligenza artificiale (Ia), di cui ha beneficiato solo una minoranza di americani. E qui la sfida politica lanciata dalla democratica Nancy Pelosi è chiara: “La democrazia si salva sul tavolo della cucina”. Lì dove i democratici vincono, lo fanno sfruttando alti livelli di entusiasmo liberal, che attirano i voti degli indipendenti e dei repubblicani “non-Maga”, dato che i primi rispondono all’allarme sollevato dalle tendenze autoritarie di Trump, mentre i secondi sono mossi dalla convenienza. Come sottolineato, molti dei candidati risultati vincenti in questa settimana di voto in America sono volti giovani, che si sono fatti largo in un Partito dominato da leader anziani che, spiega il Financial times, farebbero bene a passare alla svelta il testimone. Come dargli torto?
Aggiornato il 07 novembre 2025 alle ore 12:08
