Il XX secolo ha avuto il suo oro nero nella materia prima del petrolio, oggi sostituito nel XXI secolo dallo zero-uno dell’Ia, o Intelligenza artificiale. Con una differenza abissale tra i due, dato che mentre il primo all’epoca si trovava quasi esclusivamente concentrato nella regione del Medio Oriente, il secondo invece non solo non ha confini, essendo globale, ma sta in luoghi metafisici come i cloud (nuvole digitali) che contengono immensi big data, in cui è racchiuso l’intero scibile umano, passato, presente e futuro. Così, oggi il petrolio è stato sostituito dai semiconduttori, per cui chi mantiene il vantaggio sulla manifattura dei chip detiene il potere immenso del progresso, che oggi è uno e trino: politico, militare, economico. Ora, nella confrontation tra i numeri uno nel mondo, Cina e Usa, nel campo dei semiconduttori e dell’Ia, esiste un centro conteso, come l’Isola di Taiwan, in cui si trovano fisicamente tutte le manifatture d’avanguardia e le più avanzate del mondo nella produzione di microchip. Negli ultimi anni, però, altri Stati medio-grandi si sono aggiunti alla sfida investendo molti miliardi di dollari per la costruzione di fabbriche di semiconduttori, compresi incentivi fiscali a beneficio degli investitori internazionali per la realizzazione di mega data-center, in modo da sposare l’Ia con gli hub del mondo degli affari. Ovviamente, l’enorme energia (elettrica) necessaria a far funzionare la macchina digitale planetaria non solo non è gratis, ma ha il grande privilegio di rimodellare la geografia delle forniture elettriche, che hanno i loro moderni hub in Malesia, Marocco, Sud Africa e nell’Europa del Nord, che ha inventato le smart-grid.
Laddove quest’ultimo rappresenta un sistema di distribuzione elettrica avanzato, che utilizza tecnologie digitali per gestire l’energia in modo efficiente e bidirezionale. In particolare, le smart grid hanno le seguenti caratteristiche: monitorano e ottimizzano i flussi di energia; integrano fonti rinnovabili come il fotovoltaico; permettono ai consumatori di diventare anche produttori di energia (in qualità di prosumer). Ora, all’interno dei centri di comando delle major delle Silicon Valley cinese e americana, si pensa all’Ia come una “top-priority” (la massima priorità), per cui la parola d’ordine non sono le chatbox, ma i loro agenti, ovvero sistemi autonomi che pianificano, ragionano e agiscono in termini di innovazione. Tutto ciò ha serie implicazioni nello sviluppo economico mondiale, dato che, per il solo potenziamento dell’Ia, la spesa per la costruzione di data-center dovrebbe aumentare del 42 per cento nel 2025, mentre nel 2030 la domanda di elettricità per il funzionamento dei cloud rappresenterà ben il 4 per cento della domanda complessiva mondiale, per cui la “potenza computazionale” si sposterà in quelle regioni che offriranno energia elettrica più a buon mercato e smart-grid. Tornando ai due grandi player mondiali, c’è da dire che il famoso “Liberation day” tariffario, lanciato da Donald Trump lo scorso aprile, non ha ottenuto il doppio effetto sperato del de-coupling (disaccoppiamento), né del de-risking (diminuzione del rischio), in quanto impossibili da conseguire nel breve-medio termine, data la stretta interconnessione delle economie cinese e americana sui mercati mondiali.
Se la Cina, infatti, non acquista più la soia prodotta dagli agricoltori americani, ciò significa per Trump rischiare di veder franare la sua base elettorale. Così come l’embargo di terre rare cinesi (nei confronti delle quali la Cina rappresenta una sorta di Opec semi-monopolista) rischia di mettere in ginocchio l’industria avanzata degli armamenti e la stessa Silicon Valley, attuali roccaforti e finanziatori di Donald Trump. Quindi, i dazi sono un’arma a doppio taglio, perché non conta soltanto la quantità dei beni importati, quanto piuttosto avere a disposizione uno o più fornitori alternativi, che siano in grado di compensare, per qualità e quantità, le forniture strategiche mancanti. E c’è assai poco da fare, se il tuo avversario controlla il 90 per cento delle terre rare e per di più è il solo a produrne sei di quelle più pesanti, avendo per di più il monopolio dei magneti rari terrestri, che costituiscono materie prime vitali per il funzionamento dell’industria moderna. Senza quei materiali, infatti, si fermerebbero le fabbriche di droni, automobili, aerei e turbine e gran parte dell’industria degli armamenti. Basti pensare che nella costruzione di un solo sottomarino vengono utilizzate quattro tonnellate di terre rare! Quindi, semplice per la Cina affondare il suo avversario, regolando e restringendo a suo sfavore l’esportazione dei preziosi minerali.
Ma, anche Pechino è ben cosciente di non poter protrarre troppo a lungo il braccio di ferro con Trump, e questo per almeno due buoni motivi. Il primo, fondamentale, è di non poter rischiare di sopprimere la gallina dalle uova d’oro terremotandone l’economia e, di conseguenza, deprimendo il potere di acquisto delle famig∫lie americane. Pertanto, Pechino si è accordata con il suo rivale per la sospensione di un anno dei controlli sull’export di terre rare, che dà un certo margine di manovra a Xi Jinping, per evitare che Usa e Occidente facciano tutti gli sforzi possibili per rompere il monopolio cinese sui minerali rari. Anche se è vero che, volendo reagire collettivamente contro la strategia di Xi, a Trump e ai suoi alleati europei occorrerebbe mettere su un’iniziativa colossale, equiparabile a quello che fu il Progetto Manhattan per l’arma nucleare, in grado di sviluppare reali capacità di sfruttamento su larga scala dei giacimenti e della raffinazione (altamente inquinante!) delle terre rare, con risultati concreti che non potrebbero arrivare prima di cinque/sei anni. Perché come ebbe a dichiarare Sun Tzu 2.500 anni fa: “La perfezione non sta nel vincere tutte le battaglie, ma nel sottomettere il nemico senza combattere”. Vuoi vedere che Xi si riprenderà Taiwan senza sparare un colpo?
Aggiornato il 05 novembre 2025 alle ore 09:53
