Ma il presidente libertario ha ancora molta strada da fare per rendere l’Argentina di nuovo grande
Javier Milei, l’eccentrico presidente anarco-capitalista argentino, ha nuovamente sfidato ogni pronostico, ottenendo una sorprendente vittoria alle elezioni di medio termine del 26 ottobre scorso. Il partito del presidente, La Libertad Avanza (LLA), ha ottenuto un convincente 41 per cento dei voti, battendo facilmente la coalizione peronista avversaria Frente de Todos, che si è fermata al 32 per cento dei voti.
La vittoria triplicherà la presenza di LLA nel Congresso argentino. Milei ha ottenuto 64 seggi alla Camera dei Deputati, dove il suo partito ne detiene attualmente 28, e 13 seggi al Senato argentino, dove LLA ne detiene sei. Questi seggi aggiuntivi, insieme a quelli dei deputati di Propuesta Republicana (PRO), partito dell’ex presidente Mauricio Macri e partner della coalizione di LLA, saranno sufficienti per impedire al Congresso di annullare i decreti presidenziali di Milei o di ignorare i suoi veti. Si tratta di un passo importante per garantire il programma economico del presidente e implica che non c’è più alcuna possibilità che le politiche di Milei vengano revocate per via legislativa, un processo che l’opposizione aveva minacciato di attuare nel settembre scorso.
Milei non ha ancora la maggioranza in nessuna delle due Camere e avrà bisogno della collaborazione dei rappresentanti degli altri partiti per far approvare le leggi, ma il suo inaspettato trionfo ha consolidato il suo dominio politico e ha dato nuova vita a un movimento politico che solo poche settimane fa sembrava essere sull’orlo del baratro, poiché una serie di scandali e una devastante sconfitta nelle importanti elezioni provinciali di Buenos Aires avevano galvanizzato l’opposizione e intaccato l’immagine di Milei come forza politica inarrestabile.
Quell’immagine è stata notevolmente riabilitata, poiché La Libertad Avanza ha superato di gran lunga i sondaggi ottenendo uno dei migliori risultati di metà mandato degli ultimi 20 anni nella politica argentina. L’elettorato sembra più che disposto a ignorare le debolezze di Milei, dato il suo successo nel contenere l’inflazione e nel riportare il Paese su un piano fiscale più sostenibile, un cambiamento gradito dopo decenni di cattiva gestione peronista.
La vittoria è anche una conferma della controversa decisione dell’amministrazione Trump di sostenere in modo significativo la rielezione di Milei. Gli Stati Uniti hanno concesso all'Argentina una linea di swap in valuta da 20 miliardi di dollari per consolidare il precario mercato del peso (la moneta ufficiale dell’Argentina, N.d.T.), il segretario al Tesoro Scott Bessent ha sollecitato investimenti privati per i mercati argentini e Donald Trump ha personalmente appoggiato Milei e LLA. Trump è arrivato persino a minacciare implicitamente il Paese di perdere il sostegno degli Stati Uniti se Milei non fosse stato rieletto: “Se perde, non saremo generosi con l’Argentina”, ha detto Trump.
La tattica ha funzionato, e ora Milei deve al suo “presidente preferito” gran parte del merito per la sua elezione, cosa di cui entrambe le parti sono ben consapevoli. “Ha ricevuto molto aiuto da noi”, ha detto Trump ai giornalisti dopo aver appreso i risultati elettorali. “Ha ricevuto molto aiuto. Gli ho dato il mio sostegno, un sostegno molto forte”.
La palese ingerenza nelle elezioni straniere è insolita per gli Stati Uniti, ma l’amministrazione Trump sta portando avanti nuove strategie per esercitare il potere americano nell’emisfero occidentale. Washington ha utilizzato la minaccia di sanzioni economiche per ottenere concessioni da Messico, Panama e Colombia, e sta attualmente conducendo una massiccia campagna di pressione militare contro il governo Maduro in Venezuela. L’Argentina incarna l’altra estremità dello spettro diplomatico, che conferisce autorità ai governi amici e li premia per la cooperazione con gli interessi americani. (Tale rafforzamento, però, ha sempre un prezzo, e Milei può stare certo che prima o poi dovrà pagare il conto.)
La rafforzata posizione politica di Milei fa ben sperare per il futuro dell’Argentina, ma lui e i suoi sostenitori americani hanno ancora molta strada da fare per far uscire il Paese dalla sua lunga spirale economica. La sfida più grande che lo attende è il problema infinitamente irrisolvibile del peso. Milei è entrato in carica promettendo di abolire la Banca Centrale del Paese e di dollarizzare l’economia argentina, un approccio che potrebbe potenzialmente danneggiare la competitività del mercato delle esportazioni argentino, ma che porrebbe fine all’elevata inflazione cronica e all’instabilità monetaria che affliggono il Paese da decenni. Tuttavia, Milei ha scoperto rapidamente che l’Argentina non dispone di riserve in dollari sufficienti a sostenere l’economia del Paese.
La sua soluzione di compromesso è stata quella di eliminare la maggior parte dei controlli valutari, che stavano soffocando gli investimenti interni dell’Argentina e favorendo un enorme mercato nero per il cambio di valuta, e di passare a un regime di “fluttuazione controllata”. In base a questo sistema, la Banca Centrale stabilisce una fascia di prezzi in lenta espansione entro la quale il peso può essere acquistato e venduto liberamente, e interviene solo quando il peso raggiunge il limite massimo o minimo della fascia. Il peso, tuttavia, si trova al limite superiore della fascia dall’inizio di settembre e la Banca Centrale argentina è stata costretta a spendere le sue preziose riserve per sostenerlo. Ciò ha ridotto l’inflazione rafforzando artificialmente la valuta, ma le riserve valutarie del Paese, necessarie per ripagare i debiti, sono pericolosamente basse e non sarà in grado di sostenere la valuta ancora a lungo.
Per Milei non esistono soluzioni facili a questo dilemma. Svalutare il peso e consentire un vero mercato valutario fluttuante eliminerebbe la necessità di spendere le riserve rimanenti della Banca Centrale, ma potrebbe innescare l’inflazione che ha cercato con tanta fatica di contrastare. La dollarizzazione dell’economia non è possibile senza un significativo apporto di liquidità, e l’Argentina è già profondamente indebitata con il Fondo Monetario Internazionale. Gli aiuti americani potrebbero renderlo possibile, ma gli Stati Uniti sono disposti a investire altri miliardi nel Paese? L’unica altra opzione è il ritorno al controllo valutario, una prospettiva che equivarrebbe ad ammettere la sconfitta e che probabilmente porrebbe fine a qualsiasi prospettiva di un ulteriore governo libertario, come è avvenuto quando l’ex presidente Mauricio Macri fu costretto a reintrodurre i controlli sulle valute dopo un fallito tentativo di razionalizzare la politica monetaria argentina.
Milei ha molte altre leve economiche da azionare. La sua amministrazione ha grandi progetti per razionalizzare il complesso codice tributario argentino al fine di promuovere nuove imprese e attrarre investimenti stranieri, e ha anche espresso il desiderio di riformare le farraginose leggi sul lavoro del Paese: gran parte dell’attività economica argentina si svolge in nero per evitare di avere a che fare con il groviglio di regolamenti e diritti imposti dai governi peronisti che si sono succeduti nel corso degli anni. Il suo programma di riforma fiscale continuerà a ridurre i sussidi inutili e la spesa pubblica eccessiva che caratterizzano il sistema previdenziale argentino. Questi programmi sono molto promettenti per aumentare il dinamismo e l’efficienza dell’economia argentina e, tra le prospettive di attrarre investimenti stranieri e riformare l’industria nazionale, le previsioni di crescita appaiono rosee.
Ma finché Milei non riuscirà a trovare una soluzione definitiva ai problemi valutari del Paese, sarà troppo presto per dichiarare che ha reso di nuovo grande l’Argentina.
(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 05 novembre 2025 alle ore 09:57
