Il Venezuela sta con Donald Trump. Secondo María Corina Machado, premio Nobel per la pace e leader dell’opposizione venezuelana, la maggior parte dei cittadini del Paese sarebbe d’accordo con Donald Trump nel dare una spintarella al leader e presidente Nicolás Maduro, al potere dopo le elezioni di luglio 2024, messe in dubbio da molti governi e organizzazioni internazionali. “Il popolo venezuelano – ha detto – appoggia pienamente il commander-in-chief e la sua strategia perché lottiamo da 26 anni per liberare il nostro Paese. Ora abbiamo l’opportunità di fermare questa guerra”, ha aggiunto Machado nel corso dell’intervista rilasciata a Fox News e condotta da Lara Trump, nuora del leader americano. A distanza di poche ore, lo stesso tycoon, intervistato dalla Cbs, ha risposto con un laconico “direi di sì” alla domanda se i giorni di Maduro fossero contati, evitando però di commentare l’ipotesi di eventuali azioni militari contro il Venezuela.
Il silenzio non ha contribuito a placare le tensioni, alimentate dal massiccio dispiegamento di truppe e mezzi statunitensi nei Caraibi, dove i Marines hanno condotto nuove esercitazioni anfibie a Porto Rico, simulando sbarchi e operazioni di infiltrazione. Le immagini diffuse in rete mostrano veicoli corazzati e truppe supportate da elicotteri in una missione d’addestramento. “Le forze statunitensi – si legge nel post – sono schierate nei Caraibi a supporto della missione del Comando Sud, delle operazioni dirette dal Dipartimento della Guerra e delle priorità del presidente degli Stati Uniti per contrastare il traffico illecito di droga e proteggere la patria”. La dichiarazione ufficiale sottolinea dunque un intento di contrasto ai cartelli, ma la scala delle operazioni e la concentrazione di risorse fanno pensare a scenari più ampi. Secondo Reuters, Washington sta inoltre riattivando la base navale di Roosevelt Roads a Porto Rico, dismessa nel 2004 dopo decenni di utilizzo durante la guerra fredda. I lavori di riasfaltatura delle piste e di potenziamento logistico sarebbero iniziati il 17 settembre, accompagnati da interventi analoghi su infrastrutture aeroportuali civili a Porto Rico e nelle Isole Vergini americane, entrambe a circa 800 chilometri dal Venezuela. Una rete strategica che, secondo analisti, potrebbe preludere a una maggiore proiezione militare nell’area.
“Tutte queste mosse, credo, sono pensate per far tremare il regime di Maduro e i generali che lo circondano, nella speranza di creare delle fratture interne”, ha dichiarato alla Reuters Christopher Hernandez-Roy, senior fellow del Center for strategic and international studies di Washington. Diversi media statunitensi ipotizzano che l’obiettivo reale di Trump sia quello di spingere Maduro all’esilio o favorire una defezione all’interno del suo entourage. La situazione si inserisce in un contesto di crescente tensione anche con la Russia. Mosca, dopo il più imponente schieramento navale americano nei Caraibi dai tempi della crisi dei missili di Cuba del 1962, ha condannato “fermamente l’impiego di forza militare eccessiva nell’ambito di operazioni antidroga”, ma ha al tempo stesso minacciato “sorprese” per gli Stati Uniti e ventilato l’ipotesi di un invio di missili a Caracas.
Intanto, sul piano legale, il Dipartimento di Giustizia americano ha comunicato al Congresso che l’amministrazione può proseguire le operazioni contro i narcotrafficanti in America Latina senza violare la War powers resolution del 1973, che impone al presidente di ottenere l’autorizzazione parlamentare per proseguire azioni militari oltre i 60 giorni. Il termine scade lunedì, con il Pentagono che ha già condotto dal 4 settembre almeno 15 attacchi contro presunte imbarcazioni di trafficanti, causando la morte di 64 persone. Secondo Elliot Gaiser, capo dell’Ufficio del consulente legale del Dipartimento di Giustizia, queste operazioni non rientrano nella definizione di “ostilità” prevista dalla legge, poiché non comportano rischi diretti per i militari americani. Si tratterebbe, dunque, di un “conflitto armato non internazionale” finalizzato alla tutela della sicurezza nazionale. Tuttavia, se l’obiettivo dovesse realmente essere un cambio di regime, l’azione di Trump rientrerebbe nella logica della Dottrina Monroe, secondo la quale gli Stati Uniti si riservano il diritto di intervenire militarmente nel continente americano per “mantenere l’ordine” nel proprio “cortile di casa”.
Aggiornato il 03 novembre 2025 alle ore 17:23
