Quanto credito resta a Putin?

Per anni il Cremlino ha fatto credere che la guerra fosse sostenibile, quasi una parentesi costosa ma controllata. Ora il prezzo arriva sul tavolo con tutta la sua violenza. Il carburante scarseggia, le entrate crollano, il malcontento cresce. Vladimir Putin può continuare a far finta di nulla, però il conto sta bussando alla porta. La sua macchina bellica potrebbe davvero essere sul punto di rimanere senza carburante. Malgrado per anni Mosca abbia dato l’impressione di riuscire ad aggirare l’impatto delle sanzioni occidentali e di mantenere una crescita economica sufficiente a sostenere la transizione verso l’economia di guerra, ora le crepe appaiono sempre più difficili da nascondere. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy prevede per il 2026 un deficit di bilancio russo senza precedenti, vicino ai 100 miliardi di dollari, e persino il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che l’economia russa “crollerà” se Putin non interromperà l’invasione dell’Ucraina.

Già dal 2022 il Cremlino ha dovuto affrontare gravi problemi di bilancio, ricorrendo a misure di emergenza come imposte straordinarie sui settori energetico e bancario, mentre l’aumento dei prezzi delle materie prime ha temporaneamente tamponato la crescita delle spese militari. Tra il 2023 e il 2024 la mobilitazione militare è stata finanziata soprattutto con fondi locali e regionali e piccoli incrementi fiscali, ma la pressione sta aumentando e si fa sentire anche tra i cittadini. A complicare il quadro contribuiscono i continui attacchi a lungo raggio dell’Ucraina contro infrastrutture petrolifere e del gas russe, una campagna intensificata dall’agosto 2025 che ha colpito raffinerie, impianti, depositi e oleodotti provocando un drastico calo delle esportazioni energetiche e un’esplosione dei prezzi del carburante interni. Le carenze di benzina segnalate in varie regioni, con automobilisti costretti a lunghe attese ai distributori, mostrano quanto il sistema sia sotto stress.

Secondo una recente valutazione dell’Agenzia internazionale per l’energia, i danni causati dai droni ucraini bloccheranno la capacità di raffinazione russa almeno fino alla metà del 2026 e, mentre Kyiv prepara una nuova generazione di missili nazionali, è probabile un’ulteriore escalation dei bombardamenti. Per sostenere la guerra e coprire il deficit, Putin punta ora ad aumentare l’Iva dal 20 al 22 per cento e a irrigidire il regime fiscale per le piccole imprese, misure che i critici considerano un modo per sottrarre denaro direttamente a cittadini e imprenditori per finanziare l’invasione. È un equilibrio sempre più instabile: la combinazione tra le difficoltà economiche interne e il continuo supporto occidentale all’Ucraina potrebbe presto tradursi in problemi sul campo di battaglia per l’esercito russo, mentre la prosecuzione della guerra farà peggiorare ulteriormente le condizioni economiche del Paese. Nel frattempo, nuove sanzioni e nuovi attacchi all’energia alimentano il malcontento interno. Con un fronte militare sostanzialmente immobile da due anni, la vera partita potrebbe giocarsi sul piano economico.

Non a caso il ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski ha ricordato che “Putin fermerà questa guerra solo quando penserà di non poterla vincere, e affinché giunga a questa conclusione, è necessario esercitare maggiore pressione sull’economia russa e più aiuti per gli ucraini”, aggiungendo che “la guerra probabilmente finirà come finì la Prima guerra mondiale. Una parte o l’altra esaurirà le risorse per continuare”. Per l’Occidente l’obiettivo dichiarato è fare in modo che sia la Russia a cedere per prima. Mosca tenta intanto di ridurre la propria dipendenza da petrolio e gas, impostando il bilancio 2026 su prezzi del greggio più bassi e su maggiori entrate fiscali interne, con l’obiettivo di portare la quota degli introiti energetici dal 40 per cento attuale a circa la metà. Tuttavia, un inasprimento delle sanzioni al momento giusto potrebbe far crollare questo piano, innescando inflazione e ulteriori rallentamenti dell’attività economica.

Alcuni segnali di una maggiore durezza occidentale sono già visibili: i dazi proposti da Trump su chi compra petrolio russo hanno incrementato la diffidenza nei confronti del commercio con Mosca, mentre l’Ue e il Regno Unito hanno ampliato le sanzioni includendo nuove navi della “flotta ombra” russa, e persino il porto cinese di Qingdao ha introdotto restrizioni tecniche che di fatto escludono molte petroliere russe. I profondi attacchi ucraini hanno messo in luce il vero tallone d’Achille dell’economia del Cremlino e dimostrato che la sua resilienza era sopravvalutata. Per i partner occidentali di Kyiv questa è l’occasione per sfruttare la pressione economica e convincere Putin che proseguire la guerra rischia di tradursi in una sconfitta non solo militare ma anche economica.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 27 ottobre 2025 alle ore 10:01