Le elezioni di metà mandato che si sono svolte questa domenica in Argentina restituiscono un quadro inequivocabile, lontano dalle ricostruzioni giornalistiche degli ultimi mesi. I cittadini della Repubblica sudamericana hanno scelto con convinzione di rinnovare la loro fiducia a Javier Milei, proseguendo il cammino della libertà iniziato quando l’economista di simpatie rothbardiane ha varcato la soglia della Casa Rosada nell’ottobre 2023. La strepitosa vittoria de La Libertad Avanza, che si è imposta nelle urne con il 40,84 per cento dei consensi superando di 9 punti la coalizione kirchnerista Fuerza Patria, ferma al 31,7 per cento, smentisce clamorosamente le profezie di chi vagheggiava un insuccesso del primo presidente libertario e auspicava il suo ritiro dalla scena politica. Il trionfo di Milei non era affatto scontato, se si considera che le cure liberiste portano pochi voti nel breve periodo e risultano meno attrattive degli slogan gridati dai predicatori del posto fisso, dell’assistenzialismo e della rivalsa sui ricchi. In un Paese tormentato dall’instabilità cronica come l’Argentina, poi, il pericolo del ritorno al socialismo è sempre dietro l’angolo.
Javier Milei sembrava aver subito una momentanea battuta d’arresto dopo la sconfitta alle elezioni provinciali di Buenos Aires dello scorso 7 settembre, nelle quali il fronte peronista del governatore Axel Kiciloff è prevalso con il 47 per cento. Con l’imprevista rimonta dell’opposizione, l’indice della Borsa Merval di Buenos Aires è crollato del 13 per cento in una sola seduta, confermando una tendenza fortemente ribassista registrata già a partire da agosto. Un altro elemento di grande preoccupazione è stato il crollo del peso che, nel lunedì successivo alla tornata elettorale, ha perso il 7 per cento del proprio valore sul dollaro statunitense, scendendo fino a un cambio di 1.450 pesos per dollaro, ben al di sotto della soglia critica di 1.700 pesos. Sempre a settembre, la Camera dei deputati aveva ribaltato il veto presidenziale sulle leggi che avrebbero aumentato il finanziamento delle università pubbliche e delle strutture ospedaliere. Fortunatamente, la rapidità con cui alleati e oppositori hanno approfittato della fine dei poteri straordinari di Milei per cercare di ristabilire il caos non ha sortito gli effetti sperati. Il 21 ottobre il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha annunciato ufficialmente lo swap pari a 20 miliardi di dollari raggiunto con l’Argentina, sottolineando che questo strumento di stabilizzazione economica mira a sostenere le riforme strutturali volute dal ministro dell’Economia, Luis Caputo, e del ministro della Deregolamentazione, Federico Sturzenegger.
Anche prima di Milei i campioni della libertà hanno dovuto superare delle disavventure simili. All’inizio degli anni Ottanta Ronald Reagan, seguace di Milton Friedman e promotore della supply-side economics, era intenzionato ad applicare alla lettera la curva di Laffer, ritenendo che la riduzione delle imposte per le fasce di reddito medio-alte avrebbe incrementato il gettito fiscale. Ma il presidente americano si rese presto conto che la resistenza dei dipartimenti governativi a smettere di interferire nell’economia era forte come la tentazione di regolamentarla. Il temporaneo impasse della Reagan Revolution dipese dal rifiuto degli organismi ministeriali e dei legislatori di Capitol Hill di tagliare la spesa pubblica – un fattore che si univa alle grandi, imprevedibili oscillazioni dell’offerta monetaria in seguito all’aumento dei tassi d’interesse stabilito dal capo della Federal Reserve, Paul A. Volcker. Reagan annotò nel suo diario un’immagine metaforica molto efficace per descrivere lo stallo che caratterizzò il primo anno del suo mandato presidenziale: “Il Congresso premeva sull’acceleratore dell’economia ma, al tempo stesso, Volcker schiacciava bruscamente il freno. All’Amministrazione, cui spettava il compito spaventoso di tenere il volante di quel rottame sbandato, veniva una gran voglia di mollare tutto e coprirsi gli occhi”.
La situazione non fu più rosea per Margaret Thatcher, che dovette affrontare la crescente impopolarità della sua leadership proprio mentre si impegnava a combattere la stagflation, privatizzando le imprese statali e riducendo le dimensioni dell’apparato burocratico. Il primo ministro inglese fu determinato a ridurre la pianificazione centralizzata e impose dei limiti di spesa ai dipartimenti governativi. La linea thatcheriana, improntata alla responsabilità fiscale e a un self-restraint caro all’etica vittoriana, alimentò l’opposizione feroce e spesso aprioristica dei colleghi conservatori, costretti a individuare ulteriori tagli nei servizi pubblici che furono invisi ai cittadini. Nel tentativo di introdurre un po’ di realismo di mercato nella gestione dell’economia, Thatcher abbandonò gli sforzi del governo per regolare i prezzi e abolì il dispendioso controllo dei cambi valutari. Ma quando si trattò di frenare l’inflazione, volle monitorare l’offerta di moneta tenendo in considerazione un parametro fortemente volatile e capriccioso. Il Cancelliere dello Scacchiere Geoffrey Howe, la cui conoscenza delle leggi economiche della Scuola di Chicago era di recente acquisizione, fu lasciato in balia del suo destino a inseguire ciò che un membro del gabinetto, Ian Gilmour, definì “l’incontrollabile nella ricerca dell’indefinibile”.
Ritorniamo a Buenos Aires. In vista delle elezioni di metà mandato, la Corte Suprema ha ordinato la diffusione del conteggio provvisorio dei voti per provincia anziché a livello nazionale, in risposta a un appello di Fuerza Patria. Per la prima volta dopo la revisione del codice elettorale nazionale approvata il 1° ottobre 2024, i cittadini hanno ricevuto la Boleta Única Papel (BUP) come strumento di voto. Si tratta di una scheda elettorale cartacea che include in un unico foglio tutti i candidati, le categorie di cariche e i partiti politici eleggibili per favorire la trasparenza nelle operazioni di scrutinio. In un’intervista del 23 ottobre a Las Mañanas con Andino l’ex vicepresidente Carlos Ruckauf, noto per l’infallibilità dei suoi pronostici elettorali, ha dichiarato senza scomporsi che La Libertad Avanza avrebbe vinto con un ampio margine le sfide nei collegi, e così è stato.
La carta geografica dell’Argentina è attraversata da una valanga di viola, con l’opposizione capace di rimediare solo qualche macchia azzurra nella cintura periurbana bonaerense, nei distretti di Catamarca, Santiago Del Estero e Tucumán. Erano in palio 127 deputati su 257 in tutte le circoscrizioni del Paese e 24 seggi senatoriali su 72 in 7 province e nella città autonoma di Buenos Aires, dove il ministro della Sicurezza Patricia Bullrich ha ottenuto la cifra record del 50,3 per cento. L’area metropolitana della Capitale è generalmente favorevole alle forze politiche liberal-conservatrici, ma stavolta anche le zone confinanti hanno conosciuto una tendenza analoga. L’ex vicecapo di gabinetto Diego Santilli, candidato alla Camera dei deputati nel distretto di Buenos Aires, ha guidato il recupero di LLA nello storico bastione peronista (41,45 per cento contro il 40,91 per cento dell’avversario kirchnerista Jorge Taiana), ribaltando il distacco di 14 punti delle provinciali di settembre. Il ministro della Difesa Luis Petri ha dominato nella circoscrizione di Mendoza con il 53,63 per cento delle preferenze; i candidati mileiani hanno performato meglio del previsto persino nei distretti settentrionali di Salta (38,36 per cento), Jujuy (37,22 per cento) e Misiones (37,08 per cento), nonostante la competizione dei movimenti localisti. La Libertad Avanza ha conquistato 64 deputati ed è arrivata prima in 6 delle 8 circoscrizioni che eleggevano nuovi senatori, eleggendone 14 in totale.
Non appena sono stati resi pubblici i primi dati ufficiali, Milei ha pronunciato un solenne discorso nel quartier generale del suo partito: “Gli argentini hanno dimostrato di non voler tornare al modello del fallimento, dell’inflazione, dell’emissione monetaria, dello Stato inutile, dell’insicurezza. Gli argentini hanno detto basta al populismo, mai più! In definitiva, come nel 2023, sono moltissimi di più gli argentini che desiderano andare avanti rispetto a quelli che preferiscono tornare indietro. L’intero Paese, da Quiaca a Ushuaia, ha confermato la sua vocazione a cambiare in modo irreversibile il destino della patria. Questo è un giorno storico per l’Argentina. Il popolo argentino ha deciso di lasciarsi alle spalle cento anni di decadenza e di proseguire il cammino della libertà, del progresso e della crescita. Oggi abbiamo superato un momento cruciale. Oggi comincia la costruzione di una grande Argentina”. È facile scorgere, nelle parole di Milei, un’eco del glorioso incipit dell’inno nazionale argentino: “O mortali, ascoltate il grido sacro: libertà, libertà, libertà”.
Aggiornato il 27 ottobre 2025 alle ore 17:58
