
Generalmente quando una guerra si interrompe senza che nessuno dei due contendenti sia stato nettamente sconfitto, il conflitto è solo sospeso e la ripresa delle ostilità, anche se ad intervalli, è solo questione legata al tempo. Questo sta accadendo nella guerra tra l’esercito di Israele e le milizie terroristiche di Hamas non sconfitte, ma anche per la questione che vede antagonisti Israele e Iran. Infatti, la guerra dei 12 giorni, iniziata il 13 giugno con l’aviazione israeliana che ha bersagliato i siti nucleari iraniani, e interrotta prematuramente dopo un passaggio dei bombardieri statunitensi con obiettivo di distruggere le più protette basi dove veniva arricchito l’uranio, non ha definito né un vincitore netto, né un perdente convinto.
Tale risultato si è notato immediatamente dalle prime dichiarazioni del governo degli ayatollah quando è stato annunciato, a fine giugno, che l’Iran non avrebbe mai rinunciato al suo programma nucleare. Un programma ostentato come progettato per il nucleare civile, ma che maschera grandi impegni per quello nucleare a scopo militare, anche alla luce del sistema economico iraniano che è legato quasi totalmente “all’economia di guerra”. Adesso, a 10 anni dall’adozione della Risoluzione 2231 – sancita dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e conosciuto come Pacg (Jcpoa), ovvero, Piano d’azione congiunto globale, siglato a Vienna (15 luglio 2015), tra Iran, i P5, “cinque membri permanenti” (Cina, Russia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, più Germania e Unione europea) – il ministro degli Affari esteri iraniano Abbas Araghchi, in una dichiarazione rilasciata sabato scorso, ha affermato che le restrizioni sul programma nucleare sono terminate con la scadenza dell’accordo, quindi alla data del 18 ottobre 2025.
Tale patto prevedeva la revoca delle sanzioni internazionali contro l’Iran in cambio di limitazioni e controlli sul suo programma nucleare. Un patto estremamente travagliato, costellato da sabotaggi da parte iraniana riguardo alle ispezioni dell’Aiea, Agenzia internazionale energia atomica, sui siti nucleari, ma soprattutto segnato nel 2018 dall’abbandono unilaterale da parte di Washington del patto Pacg, durante il primo mandato del presidente Donald Trump, che ha condotto al ripristinato delle sanzioni verso Teheran. Inoltre Teheran, paese non nucleare, ha continuato a fare funzionare le sue centrifughe per l’ottenimento dell’uranio arricchito che sembra, da fonti Aiea e da vari servizi di intelligence, siano arrivati al 60 per cento. Vicino al raggiungimento dei parametri per la realizzazione dell’ordigno nucleare cioè la soglia tecnica del 90 per cento necessaria per la fabbricazione di una bomba atomica.
Quindi, sabato l’Iran ha così confermato di non essere più vincolato a nessun accordo sul nucleare, facendo intuire che continuerà il processo per il suo programma atomico. Durante il mese di agosto, Germania, Regno Unito e Francia hanno dato avvio al meccanismo “snapback”, che ha condotto al ripristino delle sanzioni Onu, ma ad oggi tale azione si è dimostrata nuovamente fallimentare. La realtà è che i colloqui sul nucleare tra l’Iran e le sedicenti potenze mondiali sono attualmente congelati; Teheran non ha fiducia sull’utilità di un dialogo costruttivo con gli Stati Uniti, visto quanto accaduto in dieci anni con il presidente Donald Trump, che prima è uscito dall’accordo (2018), poi ha fatto bombardare il Paese (giugno 2025), causando oltre mille morti e miliardi di dollari di danni. Tuttavia, in questo scenario Washington continua a cercare un accordo di massima. Su questa linea, lunedì The Donald ha affermato di voler raggiungere un intesa di pace con l’Iran, ma ha sottolineato che “le carte” sono in mano al governo iraniano.
Il governo degli ayatollah, finché sarà al potere, non farà mai a meno di cercare di ottenere l’ordigno nucleare, è nella propria prospettiva militare, politica e geopolitica. Tuttavia, nello scenario del potere all’interno della Repubblica islamica non c’è condivisione sul da farsi. Infatti esistono divergenze tra chi auspica negoziati con gli Stati Uniti, ritenuti necessari, come sostiene la Guida suprema Ali Khamenei, nonostante l’interlocutore sia Trump, e chi invece giudica insostenibile l’attuale situazione, ipotizzando che lo Stato ebraico sia in attesa di una motivazione per terminare il lavoro interrotto a giugno. Va considerato inoltre che l’Iran ha bisogno di una tregua economica in quanto la società iraniana è in fibrillazione, per ora controllata; ma attualmente il governo degli ayatollah è seduto su una bomba a orologeria, e che è solo questione di tempo la sua deflagrazione.
La realtà, è che la guerra dei 12 giorni non avendo sconfitto l’Iran, ha solo condotto il Paese fuori dal controllo internazionale sul nucleare, legittimando adesso il proseguimento della ricerca per l’ottenimento dell’ordigno atomico. Ma essendo per Israele il nucleare militare iraniano un tabù, non è improbabile un nuovo intervento dei bombardieri israeliani e statunitensi sulle basi atomiche di Teheran.
Aggiornato il 23 ottobre 2025 alle ore 09:42