
In un panorama globale segnato dall’urgenza della transizione energetica, l’Islanda si propone come laboratorio d’avanguardia nella sperimentazione di fonti rinnovabili di nuova generazione. È proprio in questa cornice che prende forma l’Iceland Deep Drilling Project (Iddp), un’ambiziosa iniziativa volta a estrarre energia dalle profondità della Terra, dove si raggiungono temperature superiori ai 400-500 °C, a profondità che superano i 4 o 5 chilometri. Il progetto, attivo da circa due decenni, mira a sfruttare i fluidi supercritici presenti nel sottosuolo, una frontiera finora poco esplorata della geotermia.
Il ministro islandese dell’Ambiente, dell’Energia e del Clima, Jóhann Páll Jóhannsson, ha recentemente annunciato l’intenzione del governo di accelerare la terza fase del progetto Iddp-3, anticipandone l’avvio di un anno. In occasione di una conferenza a Reykjavík, il ministro ha sottolineato l’importanza strategica del programma, affermando che “lo stesso spirito che un tempo ha mandato l’umanità sulla Luna deve ora guidarci nelle profondità della Terra”. L’iniziativa vedrà, per la prima volta, la partecipazione diretta del governo islandese come partner strategico insieme alle principali aziende energetiche nazionali, tra cui Landsvirkjun, Reykjavík Energy e Hs Orka.
L’Islanda è da tempo leader nel settore della geotermia convenzionale. Oltre il 90 per cento delle abitazioni islandesi è riscaldato con calore geotermico, e gran parte dell’energia elettrica del Paese proviene da fonti rinnovabili. Tuttavia, con l’Iddp, l’Islanda punta a fare un salto tecnologico e strategico, cercando di trasformarsi in un innovativo hub internazionale per la geotermia profonda. Le risorse geotermiche tradizionali sono infatti spesso limitate dalla temperatura dei fluidi e dalle condizioni del sottosuolo. Il nuovo approccio, basato sull’estrazione di fluidi supercritici, promette efficienze energetiche superiori e una maggiore densità di energia, con un impatto ambientale minore grazie alla riduzione del numero di pozzi necessari. Il progetto ha già raggiunto traguardi significativi. Nella prima fase, l’Iddp-1, fu scoperto inaspettatamente del magma a soli 2,1 chilometri di profondità, dando vita a uno dei primi esperimenti mondiali di geotermia ad alta entalpia a contatto diretto con magma. Con l’Iddp-2, nella penisola di Reykjanes, i ricercatori sono riusciti a perforare fino a 4.659 metri, incontrando fluidi supercritici a circa 426 °C. Ora l’attenzione è tutta sul terzo pozzo, che si prevede ancora più ambizioso per potenza ed efficienza.
L’interesse per l’energia profonda non è soltanto scientifico o ambientale, ma anche geopolitico. Mentre l’Europa cerca alternative ai combustibili fossili, l’Islanda si candida a diventare esportatrice di know-how e tecnologie nel campo geotermico. Inoltre, la possibilità di ottenere grandi quantità di energia pulita e stabile rappresenta una leva importante per attrarre investimenti e collaborazioni internazionali. Naturalmente, non mancano le sfide. Le perforazioni a grandi profondità richiedono tecnologie avanzate e materiali resistenti a condizioni estreme. I costi sono elevati e il margine d’errore ristretto. Ma l’Islanda sembra pronta a scommettere su un futuro sotterraneo, spinta dalla convinzione che il cuore della Terra possa offrire risposte concrete alla crisi energetica globale. Con Iddp-3, l’isola del nord Atlantico lancia una concreta visione: per alimentare il mondo del domani, bisogna guardare in profondità, sia in senso letterale che strategico. La geotermia, da risorsa locale, potrebbe presto diventare un pilastro dell’equilibrio energetico globale.
Aggiornato il 22 ottobre 2025 alle ore 13:29