Belgio: arrivano gli imam

Sans papiers, senza stipendio, padri, maestri, consulenti (coniugali), psicologi, leader spirituali, ideologi. E soprattutto “non riconosciuti”, nella stragrande maggioranza. Comunque, da monitorare. E rispedire al mittente, se il mittente non è gradito. Il ministro del lavoro delle Fiandre, Zuhai Demir, ha chiesto al ministro degli esteri, Maxime Prevot, di tenere gli occhi molto bene aperti sui cosiddetti “passaporti verdi” concessi alla Turchia. La signora Demir, del partito N-Va (Nuova alleanza fiamminga, centro destra) accusa, infatti, Ankara di sfruttare questo sistema dei passaporti per inviare imam in Belgio che sostengono il regime del presidente Recep Tayyip Erdogan, con l’obiettivo, quindi, ben definito di influenzare la terza e quarta generazione di fiamminghi di origine turca.

Il passaporto verde esenta i cittadini turchi dall’obbligo di ottenere un visto, normalmente richiesto per entrare in Europa, e consente loro di risiedere sul territorio belga fino a 90 giorni. Li esenta inoltre dall’obbligo di richiedere un permesso di lavoro nelle Fiandre, obbligatorio dal 2019 per i rappresentanti delle comunità religiose riconosciute. “Da allora, queste regole sono state ulteriormente inasprite per impedire a potenze straniere di influenzare le comunità locali”, ha sottolineato il ministro in un comunicato, come riporta il quotidiano Le Soir.

Nel 2024, fa sapere Demir, “sono state presentate 18 domande di permesso di lavoro, 17 delle quali sono state respinte per questi motivi” di contiguità con il governo. Tuttavia, avverte il ministro, la Turchia sta aggirando le regole e invia imam incaricati dal Diyanet, l’amministrazione turca responsabile della gestione della fede islamica, “che ricade direttamente sotto la giurisdizione del presidente Erdogan". Il Diyanet conta più di sessanta moschee in Belgio, di cui 43 nelle Fiandre. Il governo fiammingo rileva che il sistema dei passaporti verdi sta sollevando interrogativi “anche tra i nostri vicini tedeschi, francesi e olandesi”.

In Germania, per esempio, 19 imam sono stati indagati per spionaggio, il che ha creato tensioni diplomatiche tra Berlino e Ankara. E la Francia, si fa notare, “ha avviato riforme sotto la presidenza di Emmanuel Macron per limitare l’influenza degli imam del Diyanet”. Sono tutti segnali, rileva Demir, che devono spingere il ministero degli esteri ad aprire un’indagine a livello federale. Zuhai Demir è sul “pezzo” da tempo. Un anno fa ha ritirato il permesso di lavoro a 5 imam che ha scoperto essere finanziati dalla Turchia, e in quanto “finanziamento di un governo estero”, il governo fiammingo lo considera una minaccia d’ingerenza. Non potendo agire sui loro permessi di soggiorno, che è responsabilità federale, il ministro ha fatto uso dei suoi poteri regionali di ministro del lavoro per rifiutare il rinnovo dei loro permessi di lavoro. L’obiettivo, per le Fiandre, è riprendere in mano le proprie responsabilità e di gestire la questione religiosa, e più specificamente quella islamica, per promuovere una religione che faccia parte della realtà belga ed evitare dinamiche radicali e pericolose.

La Turchia ha reclutato, formato e inviato imam nei Paesi in cui si trova la diaspora musulmana turca e li ha compensati tramite Diyanet per il loro lavoro come ministri di culto, il che è considerato molto specifico delle moschee turche, in termini di organizzazione, gerarchia e centralizzazione. Non c’è, infatti, equivalente in altre comunità, se è vero che, per esempio, i sermoni del venerdì sono scritti in Turchia e inviati a tutte le moschee, a dimostrazione di quanto sia centralizzato il sistema. Questo perché la Turchia spera di mantenere un rapporto forte con i suoi cittadini musulmani. Il finanziamento, spiegano gli analisti, può diventare un problema a diversi livelli, se per esempio, arrivando dall’estero esso impone all’imam di riferimento una sottomissione a quel Paese, e se oltre al suo ruolo religioso l’imam fa della propaganda politica.

Nel caso degli imam pagati dal Diyanet, il sospetto del governo fiammingo è che gli imam svolgano illegalmente un ruolo politico, oltre a quello religioso, per garantire che i fedeli votino per il regime di Erdogan nelle elezioni a cui partecipano gli espatriati. In Belgio la maggior parte delle moschee non è riconosciuta. Secondo i dati del 2023, si contano circa 300 moschee, di cui meno di 100 riconosciute. E dei 600 imam presenti nel territorio, solo un centinaio sono riconosciuti.

In questa incertezza che tuttavia non è di illegalità diffusa, poiché la mancata richiesta di riconoscimento ufficiale deriva dalla libertà di organizzare il culto, un diritto tutelato dalla Costituzione belga, possono svilupparsi contesti decisamente opposti ai valori del vivere insieme. Ci sono moschee, avverte il Mouvement Reformateur (MR) che promuovono discorsi radicali, e che sono monitorate. Ma rimangono principalmente luoghi di culto, e la maggioranza dei musulmani, secondo il partito liberale vallone, non rappresenta un problema. La vera piaga, si fa notare, “è sui social media”. Molte moschee sono sotto osservazione, conferma l’N-Va, anche a Bruxelles. Nelle Fiandre, dicono, è stato avviato un sistema di controllo per verificare i finanziamenti di tutte le religioni, poiché c’è bisogno di maggiore trasparenza. Soprattutto a Bruxelles, rileva il centro destra fiammingo, dove le attenzioni dell’autorità pubblica sembrano essere un po’ meno rigorose.

Aggiornato il 21 ottobre 2025 alle ore 10:34