Confusione tra “buono” e “cattivo”: le proteste contro Israele in Occidente

Il conflitto tra Israele, Hamas e l’Iran, che domina ancora le notizie mondiali, rimane instabile. Negli ultimi 23 mesi, si sono svolte in molti Paesi manifestazioni di protesta contro Israele, spesso sfociate in violente rivolte. Alcune si sono addirittura svolte in concomitanza con il 7 ottobre 2023, o pochi giorni dopo, sostegno dei massacri perpetrati da Hamas in Israele. Ci sono state numerose iniziative e sui social media sono state pubblicate molte affermazioni che hanno finito per denigrare Israele e il popolo ebraico. Ma queste “iniziative” sono talmente troppe per essere ignorate. In qualità di accademico olandese, chiedo che si discuta di questo tragico conflitto con meno emotività e più obiettività, e che si cerchino soluzioni oneste per entrambe le parti.

A partire dal giugno di quest’anno, gli studenti dei Paesi Bassi hanno organizzato blocchi nei campus universitari per imporre un boicottaggio accademico e inserire nella lista nera le istituzioni israeliane. Gli studenti hanno esercitato pressioni sulle università affinché interrompessero la collaborazione con le università israeliane, un’iniziativa questa che tradisce la ricerca accademica e la libertà. Molti attivisti e manifestanti hanno affermato di essere stati “ispirati” nel corso dell’ultimo anno dagli studenti dei campus statunitensi. Anche la mia università, quella di Leiden, ha aderito all’iniziativa. Un “Comitato consultivo”, in quello che sembra essere un altro esempio di dimostrazione di virtù fuori luogo, ha esercitato pressioni sull’università affinché interrompesse i legami accademici con l’Università di Tel Aviv e l’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha sospeso tutti gli scambi accademici. Un boicottaggio di questo tipo è inaccettabile e, ovviamente, colpirà le persone sbagliate e non farà altro che sabotare la cooperazione scientifica. Inoltre, non aiuterebbe i palestinesi.

Inoltre, un portavoce del partito di opposizione in Parlamento (il partito socialista PvdA-Sinistra Verde) ha proposto lo scorso giugno una legge per vietare ai Paesi Bassi di esportare pezzi di ricambio utilizzati per il sistema antimissile israeliano Iron Dome, che protegge i propri cittadini. Non si può immaginare una proposta più perfida, presentata proprio nel momento in cui Israele era impegnato in un conflitto armato con l’Iran.

La Repubblica Islamica dell’Iran, guidata da un regime islamista-teocratico, è stata un problema per tutti i 46 anni della sua esistenza. Secondo il suo attuale leader, l’Ayatollah Ali Khamenei, il regime si è preparato per decenni ad annientare Israele e gli Stati Uniti, “non come slogan, ma come politica”. Il sistema antimissile preso di mira dai politici olandesi e di altri Paesi ha protetto i civili israeliani di ogni fede e provenienza dalle migliaia di razzi di Hamas lanciati contro Israele il 7 ottobre e in seguito, e da quelli lanciati da Hezbollah.

Mentre i palestinesi esprimevano le loro lamentele locali e perseguivano il loro programma anti-israeliano, la grande “ispirazione” per le recenti azioni di questi movimenti terroristici è stata apparentemente il regime teocratico iraniano, che ha una storia ben documentata di odio verso Israele e di abusi sui propri cittadini, decenni di terrorismo internazionale, e una repressione incessante, torture, incarcerazioni e omicidi di donne, bambini e minoranze, oltre alla soppressione di altre libertà civili. La politica dell’Iran sembra consistere nel continuare a perseguire il terrore e pianificare la distruzione di Israele (il “Piccolo Satana”), quella dell’America (il “Grande Satana”), l’infiltrazione in America Latina e l’obiettivo di uccidere cittadini americani. Non ci sono dubbi su questo. I mullah sembrano anche avere un obiettivo più ampio e a lungo termine, quello di infiltrarsi e trasformare il resto del pianeta:

“Esporteremo la rivoluzione in tutto il mondo. Finché il grido: ‘Non vi è altro Dio fuorché Allah’ non risuonerà in tutto il mondo, ci sarà lotta”. – Ayatollah Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran.

L’Iran si era già infiltrato e aveva preso il controllo di almeno quattro Paesi (Yemen, Libano, Iraq e Siria) almeno fino al novembre 2024, quando il regime di Assad è crollato. I manifestanti occidentali non sembrano mai preoccuparsene. Le proposte di rendere i cittadini israeliani indifesi contro i lanci indiscriminati di razzi equivalgono quindi a un invito al massacro. È profondamente preoccupante che, dallo scoppio del conflitto di Gaza, molti detrattori di Israele, come un parlamentare olandese, sembrino spesso sostenere l’Iran anziché Israele, e provino simpatia per Hamas inteso come presunta “resistenza” piuttosto che considerarne i miliziani come terroristi jihadisti quali sono, e mostrino più preoccupazione per i “civili innocenti” di Gaza che per le vittime e gli ostaggi rapiti da Israele. Spesso si sorvola sulle intenzioni di Hamas:

“Non c’è alcuna soluzione alla questione palestinese se non attraverso il Jihad. Le iniziative, le proposte e le conferenze internazionali sono tutte una perdita di tempo e vani sforzi”. — Statuto di Hamas, 1988, Articolo 13

Sembra quindi che ci troviamo di fronte a un grave caso di confusione tra “buoni” e “cattivi”. Sebbene in ogni guerra ci siano degli errori, Israele non può essere meramente etichettato come “cattivo”. A parte il fatto che qualsiasi Paese attaccato ha il diritto di agire con forza per difendersi, in nessun altro caso nella storia un Paese ha fatto tanti sforzi quanto Israele per non danneggiare i civili del proprio avversario. In nessun altro caso nella storia le persone sotto attacco hanno portato così tanti aiuti umanitari alla popolazione sottoposta a un regime che cercava di distruggerla. L’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee ha twittato quanto segue l’8 agosto:

“Quanto cibo hanno inviato Starmer e il Regno Unito a Gaza? @IsraeliPm ha già inviato 2 MILIONI DI TONNELLATE a Gaza e nessuna di queste è arrivata agli ostaggi. Forse il primo ministro britannico dovrebbe stare fuori da questa faccenda e seguire l’esempio della Lega Araba, che ha affermato che Hamas dovrebbe disarmarsi e rilasciare immediatamente TUTTIutti gli ostaggi”.

Migliaia di persone in Israele continuano ad essere sfollate, un fatto mai menzionato dalle Nazioni Unite né da chiunque altro. Inoltre, “un quinto degli israeliani costretti ad evacuare” a causa della guerra, circa 50 mila su 250 mila, ha perso la propria attività o i propri mezzi di sostentamento. Il terrore di massa, la violenza sessuale distruttiva, la tortura, il sadismo, il rogo di persone vive, la decapitazione e lo sterminio di intere famiglie durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 rivelano l’ideologia genocida, basata sull’odio del gruppo, già formulata nel suo statuto:

“Il Profeta [Maometto], le preghiere e la pace di Allah siano con Lui, dichiarò: ‘L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: ‘O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo...”. – Statuto di Hamas, 1988, Articolo 7

È quindi sconcertante assistere al “ribaltamento delle responsabilità” in molte manifestazioni di massa e nelle dichiarazioni di molti Paesi, tra cui Francia, Irlanda e Spagna, membri dell’Unione Europea. Essi attribuiscono la responsabilità del violento conflitto e di qualsiasi altra cosa a Israele, e non a Hamas.

Prima del 7 ottobre 2023, Israele aveva generosamente concesso, come gesto di buona volontà, quasi 20 mila permessi di lavoro ai cittadini di Gaza per consentire loro di recarsi quotidianamente in Israele, dove avrebbero potuto ricevere salari più alti rispetto a Gaza. Come hanno affermato alcuni commentatori, Israele è quindi accusato di essersi “causato tutto questo da solo”.

Prima della dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dell’8 agosto scorso, secondo cui Israele intendeva occupare la città di Gaza per sradicare ciò che rimane di Hamas, Israele era stato accusato di essere la potenza “occupante“ di Gaza. Non esattamente. Nel 2005 il governo israeliano rimosse ed espulse con la forza tutti gli ebrei da Gaza per dare ai palestinesi autonomia e la possibilità di costruire una “Dubai sul Mediterraneo“. Ciononostante, Israele è stato accusato di “prendere di mira i civili” a Gaza (purtroppo, come in ogni conflitto, i civili rimasero uccisi, ma Israele non li prese mai di mira come tali); di essere “genocida“, anche se da più di 70 anni, dalla guerra del 1948, Israele ha cercato di proteggersi dal genocidio; di aver “negato aiuti“ ai gazawi, sebbene fosse compito di Israele, e non delle Nazioni Unite, fornire aiuti umanitari ai suoi avversari in una zona di guerra, di aver commesso “pulizia etnica“ e così via.

Un’analisi approfondita di queste accuse dimostra che sono errate. Un esempio: la parola “genocidio” non è un termine qualsiasi, ma giuridicamente significa violenza letale di massa con “l’intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”. Israele non è coinvolto in questo: semplicemente non c’è alcun intento. L’unico obiettivo è sconfiggere Hamas, la forza terroristica islamista che ha massacrato, stuprato e rapito civili con l’intento dichiarato di uccidere quanti più ebrei e israeliani possibile. I terroristi di Hamas hanno persino scandito lo slogan ”Khaybar Ya-Yahood”, utilizzato ai tempi del profeta islamico Maometto durante la guerra di sterminio del 628 d.C. contro gli ebrei della città di Khaybar. Un altro esempio è la cosiddetta carestia, erroneamente definita a causa di gravi falle nella comunicazione e della manipolazione opportunistica della Corte Penale Internazionale da parte delle Nazioni Unite.

Per la cronaca, è sempre necessario smantellare tutte le accuse errate su qualsiasi guerra, così come denunciare errori ed eventi tragici. Eppure, le narrazioni malevoli su Israele continuano a prosperare nonostante questo sforzo. Quindi, parte del problema sta nel capire come queste narrazioni vengono prodotte e riciclate, e da chi, e serve un’analisi critica più ampia, piuttosto che una narrazione filoisraeliana di negazione, per quanto giustificata. In questo sforzo, i rapporti di Al Jazeera (un’organizzazione qatariota inaffidabile), dell’Ohchr delle Nazioni Unite, di istituzioni come il Parlamento Europeo o di Ong per i “diritti umani” come Amnesty International o Human Rights Watch, non possono essere considerati come prove decisive.

Fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1948, lo Stato di Israele ha dovuto sopravvivere in una regione ostile. Il Paese ci è riuscito con straordinario successo, nonostante i continui tentativi dei suoi vicini di distruggerlo. Si è difeso nelle varie guerre e ondate di terrorismo contro di esso e ha sventato i recenti sforzi dell’Iran e dei suoi proxies (Hamas, Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite) di sradicarlo.

Dal 2005, più di 20 mila razzi e mortai sono stati lanciati verso Israele, un Paese grande più o meno quanto il New Jersey, insieme ad almeno un centinaio di attentati suicidi. Quanti razzi, missili e attentati suicidi tollererebbero Francia, Inghilterra, Canada o Australia?

È sconcertante che dopo il violento assalto di Hamas del 7 ottobre, le ondate di odio ”antisionista” siano state dirette non solo contro gli israeliani, ma anche, sempre più, contro gli ebrei di tutto il mondo, inclusi quelli negli Stati Uniti, e spesso guidate da attivisti musulmani e individui dell’estrema ‘Sinistra’ e dell’estrema “Destra“ in una strana alleanza, che perlopiù non ha avuto successo, come nell’Iran post-1979.

Gran parte dell’agitazione anti-Israele/antisionista è stata accompagnata dalla frenetica negazione di essere “antisemiti”, ma è un “argomento” che non convince più nessuno. Le ondate di incitamento all’odio contro gli ebrei, infatti, sono iniziate ancora prima che Israele entrasse a Gaza e ormai sono diventate all’ordine del giorno. Persino i grandi sindacati degli insegnanti americani, con loro grande vergogna, hanno sprizzato odio antisemita. Questa dilagante denigrazione, già osservata in università come Harvard e Columbia, è diventata un problema serio. Questa denigrazione e questo boicottaggio si estendono ora anche al mondo culturale (musica, teatro, cinema) e devono essere affrontati con urgenza.

Israele è uno Stato ben fondato sul diritto internazionale. La sua esistenza non può essere seriamente oggetto di controversia. Israele ha sempre desiderato solo di essere lasciato in pace. Non aveva alcun bisogno di cercare la guerra con nessun vicino, e non aveva alcun bisogno di cercarla. Gli Accordi di Abramo, che stabilizzano politicamente e apportano benefici economici sia a Israele che a diversi Paesi arabi, dimostrano che è possibile raggiungere una pace stabile. È significativo che nei Paesi arabi non si siano viste manifestazioni di critica alla campagna di Israele contro il regime iraniano e i suoi proxies. Anzi, molti governi arabi, in particolare Emirati Arabi Uniti, Marocco ed Arabia Saudita, sembrano, dietro le quinte, piuttosto soddisfatti che il regime iraniano sia chiamato a rispondere delle proprie azioni.

Purtroppo, le politiche di Teheran non hanno aiutato i palestinesi e, ahimè, hanno peggiorato la loro situazione. La propaganda e il finanziamento di Hamas da parte dell’Iran, insieme a quelli del Qatar, sostenitore e sponsor di fatto di tutte le organizzazioni militanti islamiche, hanno creato un’infrastruttura del terrore che non solo ha rovinato i palestinesi e la società di Gaza, ma, come toccato con mano e osservato da Mosab Hassan Yousef, figlio di uno dei fondatori di Hamas, ha avvelenato con successo la sua giovane generazione.

Israele, uno Stato sovrano, non aveva bisogno del permesso di nessuno per cercare di neutralizzare le minacce di Hamas, di Hezbollah, degli Houthi e dell’Iran prima o dopo il 7 ottobre. Molti individui in Occidente a quanto pare amano negare o ignorare che queste gravi minacce non riguardano solo Israele, ma l’intera sicurezza globale.

I manifestanti anti-Israele nei Paesi Bassi e altrove, che spesso intimidiscono i passanti, bloccano le strade pubbliche, occupano edifici e campus, probabilmente sono pagati o credono di sapere tutto meglio di chiunque altro, o entrambe le cose, in un momento in cui i cittadini e le istituzioni civili israeliane sono presi di mira, insieme agli ospedali e agli istituti di ricerca. Gli ospedali israeliani, a differenza di quelli di Gaza, non ospitano centri di comando terroristici. Il Weizmann Institute, un rinomato centro di ricerca israeliano al servizio della scienza mondiale, ha visto 45 dei suoi laboratori distrutti da un missile iraniano.

È doloroso vedere che questi manifestanti e attivisti parlamentari accusano sempre Israele della violenza iniziata da Hamas. Perché si parla così poco di Hamas, Hezbollah, Iran e degli Houthi? La gente sembra rifiutarsi di riconoscere che la guerra è stata orchestrata congiuntamente dal repressivo regime islamista dell’Iran e dai suoi proxies (gli stessi Hamas, Hezbollah e Houthi) come una politica a lungo termine. L’esuberanza che questi manifestanti sembrano provare nel voler “mettere Israele al suo posto” e nel manifestare “perché i civili vengono uccisi nella guerra di Gaza” è distorta, faziosa e deplorevole. La morte dei gazawi è indubbiamente triste e la solidarietà con le vittime tra i civili non combattenti è del tutto comprensibile, ma ci sono state vittime tra i civili non combattenti da entrambe le parti. Hamas e molti gazawi ne hanno preso atto con soddisfazione e hanno immediatamente giurato di ripetere i massacri.

Purtroppo, nelle guerre si muore. Nel caso di Hamas: se non vuoi che il tuo popolo venga ucciso, non iniziare una guerra non provocata. Israele non può restare a guardare e rifiutarsi di difendersi. La risposta di Israele a un avversario estremamente violento e crudele è stata forte, ma Israele si è comunque sforzato di non “imitare” la violenza di Hamas e di non diventare come loro, anche a costo di esporre i propri soldati a grandi rischi.

A Gaza, la stragrande maggioranza delle vittime in realtà non sono state i civili, come Hamas ha cercato di sostenere. Persino l’Onu ha dovuto dimezzare le proprie statistiche sulle vittime.

Al contrario, Hamas, anziché cercare di impedire la morte dei propri cittadini, li mette volutamente in pericolo. Il gruppo terroristico continua a usare la propria gente come scudi umani e spara contro di loro se, su sollecitazione degli israeliani, cercano di mettersi in salvo o di ottenere gli aiuti umanitari destinati a loro. Lungi dal rammaricarsi per la morte di comuni cittadini di Gaza, Hamas si limita ad accusare Israele e falsifica i numeri per usarli come propaganda anti-israeliana. La vera natura della guerra non è rappresentata chiaramente dai media, che farebbero meglio a dare ascolto a veri esperti come John Spencer o Andrew Fox.

Il massacro genocida perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023 nel modo più barbaro è stato il culmine di innumerevoli demonizzazioni mediatiche, online e offline, nonché di continui atti di terrorismo, radicati nell’ideologia jihadista, contro Israele e gli ebrei nel resto del mondo. È sconcertante che il massacro di Hamas sia stato spesso “elogiato” dai simpatizzanti di tutto il mondo, non solo dagli islamisti più radicali, ma anche dagli “ambienti occidentali dell’estrema Sinistra“. Molti di questi critici hanno cercato ideologicamente, e a torto, di ridefinire Israele come un’entità “colonialista”, nonostante Israele fosse fortemente anticolonialista, intenzionato a opporsi alle fallimentari politiche britanniche nei confronti degli ebrei, molti dei quali condannati all’impiccagione, durante il Mandato britannico sulla Palestina, dal 1917 fino all’indipendenza di Israele nel 1948.

Visionando i video del 7 ottobre 2023, realizzati dagli stessi terroristi di Hamas con le videocamere GoPro, si può notare quanto fossero estremamente orgogliosi di ciò che avevano fatto. Di recente, un giovane palestinese che quel giorno era presente e aveva telefonato esultante ai suoi genitori per vantarsi di quanti ebrei avesse assassinato, è stato “neutralizzato” dalle Idf. Le immediate “dichiarazioni di sostegno” per le atrocità commesse nell’attacco del 7 ottobre, persino tra accademici di istituzioni occidentali, sono state sconvolgenti e inaccettabili.

Oggi gli ostaggi che sono ancora vivi vengono deliberatamente lasciati senza cibo, ricevono, solo occasionalmente, acqua contaminata, e sono costretti a scavare quella che potrebbe essere la propria tomba.

Già prima del 2023, i leader palestinesi e i loro sostenitori in tutto il mondo avevano respinto tutte le iniziative di pace, di reciproca accettazione e di divisione del territorio per la creazione di uno Stato palestinese, comprese le proposte più generose.

Dopo gli Accordi di Oslo, i palestinesi hanno ottenuto un’ampia autonomia e autogoverno nella maggior parte dei “territori” contesi. Finora è stato impossibile discutere soluzioni definitive poiché non ci sono state nemmeno controproposte serie da parte palestinese. Il rifiuto dell’ex presidente dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat dell’offerta più generosa mai fatta, per usare le parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Clinton, per uno Stato palestinese da parte dell’allora primo ministro israeliano Ehud Barak nel 2000 è solo uno degli esempi.

“Nel corso dell’ultimo secolo”, ha osservato il 10 agosto scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “[ai palestinesi] è stato offerto uno Stato tutto loro. E hanno rifiutato, perché il loro obiettivo non è quello di creare uno Stato per sé stessi, ma distruggere (...) lo Stato ebraico. Questo è il loro obiettivo nazionale. Quindi non (...) commetteremo un suicidio nazionale”.

I palestinesi, per chiarire quella che sembra essere una certa confusione, sono arabi che vivevano in Israele prima del 1947. Quando cinque eserciti arabi (di Egitto, Libano, Iraq, Siria e Transgiordania, ora Giordania) invasero Israele il giorno della sua nascita, il 21 maggio 1948, per cercare di distruggere il nuovo Paese prima che potesse iniziare a esistere, la maggior parte degli arabi presenti fu esortata dagli altri a fuggire per facilitare l’uccisione degli ebrei, per poi tornare “entro due ore“:

“Siamo partiti, o meglio, chi ci ha costretti ad andarcene è stato l’esercito giordano, perché stavano per scoppiare dei combattimenti e noi ci saremmo trovati sotto i loro piedi. Ci hanno detto: ‘Andatevene. Tra due ore lo libereremo e poi potrete tornare’. Siamo partiti solo con i vestiti che avevamo addosso. Non abbiamo portato nulla perché dovevamo tornare entro due ore. Perché portare qualcosa?”

— Fuad Khader, rifugiato di Bir Ma’in, Tv ufficiale dell’Autorità Palestinese, 15 maggio 2013

Gli arabi persero e ora chiamano questa sconfitta e le sue conseguenze naqba (la “Catastrofe”). Quando gli arabi che erano fuggiti (e in alcuni casi erano stati cacciati nel bel mezzo della guerra) cercarono in seguito di tornare, Israele rifiutò di accoglierli per motivi di sicurezza. Anche i loro fratelli arabi si rifiutarono di accogliere i rifugiati arabo-palestinesi che erano fuggiti dalla Guerra d’Indipendenza nell’ex territorio del Mandato, costringendoli invece a rimanere nei campi profughi.

Gli arabi in Israele che non sono fuggiti costituiscono attualmente il 20 per cento della popolazione e sono cittadini con pari diritti agli ebrei israeliani, ad eccezione del servizio militare obbligatorio, dal quale sono esentati, se lo desiderano. Molti arabi israeliani sono leader nell’ambito della medicina, della politica e del governo, nel mondo degli affari, nelle Forze di Difesa Israeliane (su base volontaria) e persino nella Corte Suprema.

In particolare, Zohair Mohsen, uno degli ex alti funzionari dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fondata nel 1964 e precursore dell’Autorità Palestinese, ha ammesso pubblicamente nel 1977 che i palestinesi sono un popolo inventato che in realtà “non esiste“:

“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo Stato di Israele per la nostra unità araba. In realtà, oggi non c’è alcuna differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni politiche e tattiche oggi parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese, poiché gli interessi nazionali arabi esigono che si postuli l’esistenza di un ‘popolo palestinese’ distinto per opporsi al sionismo. Sì, l’esistenza di un’identità palestinese separata esiste solo per ragioni tattiche”.

— Zuheir Mohsen, alto funzionario dell’Olp, intervistato da James DorseyTrouw (un quotidiano olandese), 31 marzo 1977.

Ora, dopo decenni di violento rifiuto e terrorismo, lo slancio palestinese sembra essere svanito. I palestinesi, e meno che mai gruppi come Hamas, non hanno espresso un chiaro desiderio di riconoscere e vivere in pace con uno Stato ebraico entro i confini.

Al momento, soprattutto dopo il massacro del 7 ottobre 2023, uno Stato separato per i palestinesi è più lontano che mai, nonostante il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron di tenerlo in vita artificialmente. Egli sembra ritenere che riportare al confine di Israele uno Stato terrorista, apertamente dedito a cancellare Israele dalla mappa, porterà a una “pace giusta e duratura“, o forse a qualche “altra” soluzione.

Ciò che è chiaro è che il suo annuncio è riuscito a far naufragare tutti i negoziati di cessate il fuoco, precedentemente in corso, e a infliggere un colpo mortale all’accordo sulla restituzione degli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas. Macron, seguito da altri leader europei, come il primo ministro Keir Starmer nel Regno Unito e il primo ministro Bart De Wever in Belgio, potrebbe aver di fatto firmato la condanna a morte degli ostaggi.

“I colloqui con Hamas sono falliti il giorno in cui [il presidente francese Emanuel] Macron ha preso la decisione unilaterale di riconoscere lo Stato palestinese”, ha affermato il segretario di Stato americano Marco Rubio. “(....) Se fossi Hamas, direi che non conviene raggiungere un cessate il fuoco, possiamo essere ricompensati e possiamo considerarlo una vittoria”.

“Una mossa del genere”, ha risposto il primo ministro Netanyahu a Macron, “premia il terrorismo e rischia di creare un altro proxy iraniano, proprio come è diventata Gaza. Uno Stato palestinese in queste condizioni sarebbe un trampolino di lancio per annientare Israele, non per vivere in pace al suo fianco”.

Ora si scopre inoltre che il mediatore “utile” dell’amministrazione Trump, il Qatar (sostenitore di quasi tutti i gruppi terroristici islamici) invece di ordinare ad Hamas di rilasciare gli ostaggi, gli ha intimato di non rilasciarli.

Il punto di vista dell’Amministrazione statunitense emerge chiaramente da quanto dichiarato dall’ambasciatore Usa Mike HuckabeeFox News, il 31 maggio scorso:

“Se la Francia è davvero così determinata a vedere uno Stato palestinese, ho un suggerimento per loro: dovrebbe ritagliarsi un pezzo della Costa Azzurra e creare uno Stato palestinese. Sono liberi di farlo, ma non sono liberi di imporre questo tipo di pressione su una nazione sovrana”.

Il fatto che non vi sia ancora una volontà dimostrabile da parte palestinese di accettare uno Stato ebraico e di convivere pacificamente con esso è dimostrato anche dal programma di sostegno finanziario “pay-for-slay“ (“pagare per uccidere”) ancora in vigore dell’Autorità Palestinese (Ap) di Mahmoud Abbas. Ogni anno, l’APp ricompensa i parenti dei terroristi che uccidono ebrei israeliani con fondi per un totale di centinaia di milioni di dollari. Chi paga per questo? L’Unione Europea, accompagnata da Abbas che trasferisce l’operazione ai “servizi di sicurezza” dell’Autorità Palestinese per nascondere ciò che sta finanziando, così come altri membri della comunità internazionale. Anche la Corte Federale canadese aveva già condannato questa politica dell’Ap in una sentenza del 2020.

La leadership palestinese insiste altresì da tempo su un futuro “senza ebrei“ per lo Stato palestinese, anche a Hebron, una delle quattro città ebraiche più antiche, dove gli arabi sterminarono la comunità ebraica nel 1929. Il gesto di Macron è distruttivo, se non addirittura infido.

Gran BretagnaCanada e di recente Australia e Belgio hanno seguito l’esempio, sebbene con delle condizioni preliminari, e la Gran Bretagna con un pizzico di ricatto. Un riconoscimento unilaterale è anche in contraddizione con gli Accordi di Oslo del 1993 e del 1995 e presenta altri problemi. Uno Stato palestinese ora non sarebbe solo una ricompensa de facto per il terrorismo, ma ispirerebbe anche altri movimenti terroristici a intensificare la loro violenza. La lezione che i terroristi trarrebbero sarebbe sicuramente: “Il terrorismo funziona, quindi continuiamo a praticarlo”.

Chi, inoltre, guiderebbe uno Stato del genere? Quali sarebbero i suoi confini? Il punto che questi Paesi occidentali non colgono è che il 7 ottobre non è avvenuto a causa della mancanza di uno “Stato palestinese”, ma a causa della sua esistenza: dal 2005 Gaza è sottoposta completamente al controllo palestinese e dal 2007 sotto il pieno controllo di Hamas. Non c’è stata pace.

La maggior parte dei manifestanti anti-Israele nei Paesi Bassi e altrove sono probabilmente animati da buone intenzioni, preoccupati per la perdita di vite umane a Gaza. Quindi, sebbene questa presunta causa sia giusta, come la compassione e la richiesta di porre fine all’uccisione dei civili di Gaza, non può andare a discapito di un’altra causa: fermare la violenza terroristica omicida di Hamas e delle entità correlate contro Israele e gli ebrei e la vittimizzazione del proprio popolo a Gaza. È necessario rivolgere un appello serio ai palestinesi, a Hamas, all’Autorità Palestinese, all’Iran e agli imam islamici radicali affinché pongano fine alla politica della violenza, di cui i palestinesi sono ugualmente vittime. I manifestanti non lo fanno mai. Le folle filopalestinesi e pro-Hamas non mostrano mai la minima preoccupazione per gli ostaggi israeliani. Quarantotto di loro sono ancora detenuti nei tunnel di Hamas, in condizioni peggiori delle segrete medievali, e subiscono abusi, torture, fame, mentre una trentina di loro potrebbero essere già stati uccisi o morti. Se tutti gli ostaggi fossero stati rilasciati, il conflitto a Gaza sarebbe potuto finire molto tempo fa. Nessun palestinese, membro di Hamas o civile, si è mai fatto avanti per aiutare a trovarli e fornire informazioni sulla loro sorte.

Per la maggior parte dei manifestanti nei Paesi Bassi e in altre parti dell’Occidente, nulla sembra avere importanza se non incolpare Israele e gli ebrei ed esprimere indignazione e odio, apparentemente per una sorta di superiorità morale autoattribuita. Molte proteste sembrano anche essere finanziate e organizzate da attori esterni. Dal 2023, la sola Europa ha donato più di 13 milioni di euro per danneggiare Israele. I civili di Gaza hanno bisogno di attenzione e protezione, ma non saranno minimamente aiutati dalle faziose manifestazioni di “preoccupazione” pro-Hamas. Tali preoccupazioni eccessive non elimineranno né Hamas né i suoi abusi, in particolare quelli nei confronti del proprio popolo. Paradossalmente, le eccessive preoccupazioni servono solo a rafforzare la violenza: la pubblicità sembra irresistibile.

Perché la preoccupazione reale e concreta per i palestinesi che soffrono non è prioritaria tra i manifestanti? Basta guardare le reazioni dei media globali e delle Ong alla recente istituzione della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) che dal maggio 2025 fornisce aiuti umanitari alimentari alla popolazione di Gaza per aggirare i canali di Hamas che li rubano. Hamas si è appropriato di tutti gli aiuti umanitari per poi rivenderli a prezzi esorbitanti alle persone a cui erano destinati gratuitamente. Secondo quanto riferito, Hamas avrebbe guadagnato più di mezzo miliardo di dollari dagli aiuti rubati. Queste “acquisizioni” non solo hanno generato maggiori entrate per Hamas, ma sarebbero state anche utilizzate come esca per reclutare nuovi jihadisti affamati da mandare a combattere. La Ghf è stata istituita in parte per integrare e anche aggirare la lentezza delle Nazioni Unite (ancora attive, ma che collaborano con Hamas) al fine di spezzare la morsa di Hamas. L’Onu ha ammesso che il 90 per cento di ciò che ha cercato di consegnare è stato intercettato da “attori armati“ prima di raggiungere la sua destinazione. La Ghf è stata denigrata e falsamente accusata di uccidere i gazawi, molto probabilmente per inerzia: perché le sue azioni sono state compiute da Israele e dagli Stati Uniti. Nonostante i gravi incidenti mortali verificatisi nei punti logistici e di distribuzione, dovuti principalmente al sabotaggio e alle uccisioni da parte di Hamas, ma anche ad alcuni iniziali e insufficienti incidenti di “controllo della folla” da parte dell’Idf, la Ghf è riuscita a fornire generi alimentari alla popolazione. È inquietante vedere i media globali rifiutarsi di ammettere che la Ghf sta spezzando la morsa di Hamas, sostenuta dall’Onu, sugli aiuti in arrivo, che ha ritardato la corretta consegna delle forniture alla popolazione di Gaza. Le scorte sono sufficienti; il problema è la distribuzione, a causa dei furti da parte di Hamas e dell’incapacità delle Nazioni Unite di consegnare gli aiuti in modo tempestivo e adeguato. Alcuni media evidentemente non hanno ravvisato alcun problema nel diffondere notizie sui “massacri tra i palestinesi in fila per gli aiuti” perpetrati dagli israeliani, mai avvenuti.

In gran parte dell’informazione mondiale, non solo c’è stata un’indebita condanna di Israele, ma anche tracce del vecchio odio antisemita, spesso basato, a quanto pare, in gran parte sulla propaganda sovietica e sulla cultura teologica islamica, o meglio sul suo abuso. In essa gli ebrei vengono denigrati, e queste denigrazioni vengono reiterate nelle scuole, nelle moschee, nei libri di testo, nei campi estivi, nei social media, in televisione e persino nei cruciverba, che le mantengono attuali. Per Hamas, Hezbollah, gli Houthi e l’Iran, è una pratica abituale.

Stranamente, la maggior parte degli attivisti occidentali non ha mai dimostrato di conoscere realmente i retroscena storici del conflitto, come ha ammesso un attivista di recente “convertito”. Forse non c’è alcun interesse. Di certo non c’è una seria comprensione o compassione per i cittadini israeliani uccisi, abusati e feriti, siano essi ebrei, drusi, cristiani o musulmani, né per gli studenti africani in visita o i lavoratori thailandesi che sono stati anch’essi vittime dell’assalto del 7 ottobre. Anche loro sono stati presi in ostaggio, torturati, bruciati vivi o massacrati. Nessuna parola nemmeno sui 12 bambini drusi uccisi in un attacco missilistico di Hezbollah su un campo di calcio a Majdal Shams, il 27 luglio 2024.

E che dire delle persone che sono morte a Gaza? Sì, migliaia di gazawi sono tragicamente diventate vittime della guerra. Una guerra, tuttavia, non può essere giudicata solo dai suoi effetti. L’intenzione di Hamas, che ha dato inizio al conflitto, era quella di compiere un massacro e una distruzione di massa, qualunque ne fossero le conseguenze. Ci sono state molte vittime civili a Gaza, ma il gruppo più numeroso di chi ha perso la vita nella Striscia era costituito da terroristi e miliziani di Hamas. Hamas prende di mira i civilicompresi i propri. Nessuno può affermare che la politica di Israele sia quella di colpire i civili. Un’analisi dei suoi metodi di guerra rivela molteplici avvertimenti ai civili prima della battaglia, come milioni di telefonatevolantinimessaggi di testo, nonché l’utilizzo della tecnica di “bussare” sui tetti delle case con missili depotenziati e un lento avanzamento casa per casa e di tunnel in tunnel. Anche in questo caso, purtroppo, come è inevitabile in tutte le guerre, occasionalmente vengono commessi degli errori.

Hamas, d’altra parte, ha una politica chiara finalizzata a colpire i civili israeliani, distruggere le comunità israeliane e usare la propria popolazione come scudi umani, mettendola in pericolo. Hamas ha costantemente collocato i propri centri di comando, le armi, i lanciarazzi e altre armi nelle aree civili di Gaza, così come nel suo sofisticato e vasto sistema di tunnel sotto edifici residenziali, moschee, ospedali, scuole e via dicendo. Hamas uccide anche i gazawi che contestano il suo regno del terrore (si veda qui e qui) e intimidisce violentemente e spara in modo selettivo contro coloro che distribuiscono e accettano aiuti umanitari dalla Gaza Humanitarian Foundation. Numerosi discorsi online dei portavoce di Hamas confermano il loro assoluto cinismo nei confronti dei cittadini comuni di Gaza che, ai loro occhi, sembrano essere nient’altro che scudi umani. Tutti i civili uccisi nel fuoco incrociato vengono letteralmente dichiarati ”utili alla causa”. Anche quando, come ora, Hamas perde il sostegno dei cittadini di Gaza, cerca comunque di mantenere su di loro una presa salda e tenace.

Le recenti manifestazioni pubbliche nei Paesi Bassi e altrove mostrano soprattutto una “indignazione selettiva”, moralmente e politicamente sbilanciata. Sembra esserci scarso interesse per la riconciliazione o per gli sforzi di dialogo, e piuttosto una tendenza a tollerare o fomentare l’antipatia nei confronti di Israele. Come già osservato, questa visione sembra spesso influenzata dal discorso propagandistico islamista e (post-)sovietico che prende di mira gli ebrei e Israele (come specificato da Izabella Tabarovsky). Anche i media olandesi fanno del loro meglio per alimentare questa narrativa faziosa (come già analizzato nel 2019 nello studio di Els van Diggele The Deception Industry (De Misleidingsindustrie).

È doloroso vedere tanta falsa retorica prodotta nelle manifestazioni pubbliche e nelle fuorvianti iniziative di boicottaggio nei Paesi Bassi e altrove. Il 21 giugno 2025, la risoluzione del Congresso del Partito PvdA-Sinistra Verde olandese ha adottato un “embargo totale sulle armi” nei confronti di Israele, compresi i pezzi di ricambio per il suo sistema di protezione Iron Dome. L’8 agosto, anche il nuovo governo tedesco ha votato a favore dell’embargo sulla vendita di armi a Israele. E il peggiore di tutti è stato il governo spagnolo, guidato dal rabbioso primo ministro antisraeliano P. Sánchez, che, oltre alla sua esagerata retorica anti-Israele, a settembre ha dichiarato un boicottaggio totale delle importazioni e delle esportazioni di armi da e verso Israele e la chiusura di tutti i porti spagnoli a qualsiasi nave diretta in Israele. Questi embarghi, che ricordano quelli degli anni Trenta, non solo consegnano la popolazione civile israeliana nelle mani di terroristi letali, ma dimostrano anche la mancanza di sensibilità di persone che non hanno idea del tipo di guerra in corso e che apparentemente non sono nemmeno interessate a scoprirlo. Persino i manifestanti israeliani che protestano contro le politiche del primo ministro Netanyahu a Gaza non sono d’accordo con tali proposte che mettono in pericolo la loro patria.

Certo, le sofferenze a Gaza sono reali. C’è scarsità di cibo, morte e disperazione. Tuttavia, cosa si può fare realisticamente per sconfiggere e neutralizzare Hamas, compreso gli abusi dei propri civili? Hamas ha iniziato la campagna genocida il 7 ottobre 2023 e ha ripetutamente affermato che intende ripetere il massacro più e più volte “fino a quando Israele non sarà annientato”. I membri di Hamas sacrificano il “proprio” popolo, talvolta facendo riferimento al Corano, e rifiutano ogni accordo per il rilascio degli ostaggi e per il cessate il fuoco, come è avvenuto più di recente il 24 luglio e il 9 settembre scorsi. C’è un rifiuto categorico di consegnare i 48 ostaggi rimasti, di cui solo 20 si ritiene siano ancora vivi. È una guerra impossibile e inutile, iniziata da un movimento islamista, Hamas, che è violento per natura. Dal 2005, Hamas controlla interamente un territorio indipendente e non occupato, Gaza, sostenuto dall’Iran, definito dal Dipartimento di Stato americano il “più grande Stato sponsor del terrorismo“.

Pochissimi, se non nessuno, dei manifestanti, sono mai scesi in piazza a sostegno delle vittime del 7 ottobre in Israele, 1200 persone uccise nel modo più atroce e 251 ostaggi rapiti, o hanno mostrato particolare preoccupazione per i cittadini iraniani bendati e impiccati alle gru dei cantieri edili. Questi manifestanti non hanno mostrato particolare preoccupazione nemmeno per gli yazidi, i curdi, i drusi, gli alawiti, o i comuni cittadini siriani uccisi dagli estremisti islamici, né per le migliaia di cristiani massacrati in Africa e in Medio Oriente (si veda quiquiqui e qui). Nella maggior parte delle manifestazioni pubbliche sul Medio Oriente, solo gli israeliani vengono presi di mira. Purtroppo, le frequenti menzogne e false accuse hanno delle conseguenze. Gli attacchi antisemiti contro gli ebrei in tutto il mondo sono aumentati, soprattutto in Occidente, e la vita degli ebrei lì è diventata meno sicura. Casesinagoghe e attività commerciali sono state vandalizzate e alcune qualcuno è stato ucciso solo perché ebreo.

La grave negligenza di quei “nobili” manifestanti nei confronti di altri conflitti violenti di lunga data nel mondo al di fuori del Medio Oriente, dove vengono uccisi anche decine di migliaia di civili, è davvero sbalorditiva: SudanUcraina-RussiaMyanmarRepubblica Democratica del CongoSomalia, la guerra civile siriana, la dura repressione dei musulmani uiguri in Cina (più di mezzo milione nei campi) e la grave repressione e la cancellazione dei diritti delle donne in Afghanistan, che ha sconcertato persino l’Onu. Eppure, da nessuna parte si sono svolte manifestazioni pubbliche su questi temi.

I media nei Paesi Bassi e nel mondo spesso sembrano disinformati, e forse non se ne rendono conto. Non presentare le notizie in modo equilibrato e minare l’onestà e l’integrità nel riportarle è una mancanza di professionalità. Di recente, c’è stato un gran clamore mediatico su un bambino di Gaza tra le braccia di sua madre (in una posa simile alla Pietà) come presunta vittima della fame. In realtà, il bambino è affetto da fibrosi cistica, anche se la malnutrizione potrebbe aver aggravato la sua condizione, ed è stato portato in Italia per essere curato. Le rettifiche degli errori (o delle notizie palesemente false) vengono raramente pubblicate dai media; se lo sono, di solito si trovano solo nell’ultima pagina. Nei Paesi Bassi, sapevamo già che i quotidiani olandesi NrcVolkskrant, per non parlare di alcuni settimanali di opinione olandesi, attaccano costantemente Israele. Gli attacchi spesso non sembrano essere “critiche legittime”, che sarebbero appropriate, ma piuttosto demonizzazioni, alimentate da malevolenza e da un’omissione apparentemente accurata di tutti i fatti rilevanti. Inoltre, il quotidiano olandese Trouw (in origine di orientamento cristiano) si è schierato apertamente contro Israele e il popolo ebraico, unendosi al coro di disinformazione e critiche fuorvianti, spesso basate su un giornalismo scadente, insieme a delegittimazioni e palesi doppi standard. Come nel quotidiano Nrc, l’etichetta “genocida” viene applicata in modo sconsiderato e subdolo alle azioni di Israele, ignorando il suo esatto significato nel diritto internazionale. Anche citare “esperti“ discutibili in materia non è di alcun aiuto.

Ultimamente è diventato sistematico accusare Israele di causare morti per fame. Nell’agosto scorso, un rapporto dell’Ipc ((acronimo di Integrated Food Security Phase Classification ossia Iniziativa per la Classificazione Integrata delle Fasi della Sicurezza Alimentare, N.d.T.) delle Nazioni Unite ha dichiarato lo stato di “carestia” a Gaza. L’accusa è giustamente contestata. Questa mossa apparentemente politica è stata fatta pochi giorni dopo che Israele aveva annunciato che sarebbe entrato a Gaza City, l’ultima roccaforte delle forze di Hamas. L’Ipc, basando il suo rapporto in gran parte su dati inaffidabili forniti da Hamas, ha anche abbassato alcuni dei suoi criteri abituali per concludere che si era raggiunta una situazione di carestia. Questa iniziativa errata ha minato ancora una volta l’autorità e la credibilità delle Nazioni Unite. La situazione a Gaza è grave, ma la colpa va attribuita alle Nazioni Unite per aver rifiutato di fornire gli aiuti e ad Hamas per averli rubati e poi venduti alla popolazione di Gaza a prezzi gonfiati.

Non è necessario sacrificare la verità per ammettere tali fallimenti, né trascurare completamente la sofferenza causata dalla morte, dai traumi e dagli sfollamenti all’interno dello stesso Israele. Le tendenze dei media stranieri rivelano che molti sembrano felici di incolpare Israele senza preoccuparsi di verificare i fatti. La Bbc, ad esempio, che da tempo presenta un grave problema di parzialità, è stata ripresa decine di volte per i suoi servizi spesso intenzionalmente fuorvianti. Sullo sfondo, l’Onu e i suoi rapporti inaffidabili e spesso diffamatori hanno avuto, come probabilmente previsto, un impatto distorsivo sui media [1]. La Commissione per i Diritti umani delle Nazioni Unite, composta da Paesi che violano sistematicamente i diritti umani e guidata dal suo strano e spesso fuori tema presidente Volker Turk, da anni ha fatto dell’accusa contro Israele il suo lavoro quotidiano. Insieme alla cosiddetta relatrice speciale delle Nazioni Unite “per i Territori palestinesi occupati”, Francesca Albanese, una persona poco professionale che spesso si è lasciata andare a commenti antisemiti, hanno tutti causato danni enormi, come probabilmente previsto. I loro rapporti non sono affatto guide affidabili per valutare qualsiasi aspetto del Medio Oriente. Israele, che non andrà da nessuna parte, sta combattendo per il suo popolo, per la sua sopravvivenza e per quella dell’Occidente.

Come Stato, Israele è ben radicato nel diritto internazionale, contrariamente a quanto sembrano pensare molti critici occidentali disinformati. A loro piace citare quella che molti chiamano la “frangia di Sinistra” in Israele (come il quotidiano Haaretz: decenni fa era un giornale valido e rispettabile, ma da allora (si veda qui e qui) pubblica articoli discutibili ed è ormai relegato ai margini. È letto da appena il 16 per cento della popolazione, ma è adorato da chi nei media cerca materiale con cui demonizzare Israele (“Lo dicono anche gli ebrei!”), o da sedicenti “portavoce ebrei” in Occidente per criticare le politiche e gli sforzi di autodifesa di Israele. Mi vengono in mente. Peter Beinart o, di recente, Omer Bartov, che ha falsamente accusato Israele di “genocidio”.

I principali mezzi di informazione non sembrano consapevoli delle sottigliezze dei dibattiti interni israeliani né del fatto che essi stessi spesso perpetuano gli stereotipi, i pregiudizi, l’odio e le “calunnie di sangue” nei confronti degli ebrei che hanno attraversato più di 3000 anni di storia. Anche potenze esterne interferiscono nella politica interna israeliana, ossia finanziando gli oppositori del governo. Ad esempio, dal 2023, la sola Europa ha donato loro più di 13 milioni di euro.

I media trascurano, o negano, anche la diffusa umiliazione e persecuzione degli ebrei nel mondo arabo e musulmano a partire dal VII secolo, e il fatto che gli arabi fossero i principali mercanti di schiavi e lo siano ancora oggi (si veda qui e qui). La storia araba e musulmana può aver avuto episodi di reciproca tolleranza e cooperazione, ma è stata anche costellata di imprevedibili esplosioni di violenza. Nel XV secolo, in Nord Africa, nella regione del Sahara, solo per citare un esempio, ebbe luogo lo sterminio della comunità ebraica di Tamantit, presumibilmente motivato dalla teologia islamica. Più recentemente, il Farhud del 1941 a Baghdad, in Iraq, fu un raccapricciante massacro di ebrei.

Vedendo il grave pregiudizio dei media, la distorsione e le menzogne orchestrate nella copertura giornalistica e l’ipocrisia dei cosiddetti progressisti, da (ex) membro della Sinistra non ebrea, ho aperto, per così dire, gli occhi nonostante le mie attitudini socio-economicamente di centro-sinistra. Il “progressismo” politico di Sinistra su questo conflitto è falso e spesso completamente sbagliato. È importante comprenderne le origini. La persistente propaganda sovietica è una di queste. Sì, anche le chiacchiere della Destra sugli ebrei, Israele e il Medio Oriente sono odiose (mi viene in mente il commentatore statunitense Tucker Carlson), e il sostegno a Israele non è, né dovrebbe essere, solo una causa della “Destra”. I cosiddetti progressisti di oggi, tuttavia, hanno un’inclinazione ideologica immune alla storia e sembrano disposti a svendere gli ideali dell’Illuminismo: l’emancipazione femminile, l’evidenza empirica, la ragione, la giustizia e la compassione, quando questi si scontrano con la loro simpatia per certi gruppi di vittime, in questo caso, “i palestinesi”. I palestinesi sono davvero delle vittime, ma dei loro stessi leader corrotti e aggressivi, generosamente finanziati dal Qatar, dall’Iran e dall’Europa, non di Israele o degli ebrei. Sembra che i sedicenti progressisti amino le “vittime” accuratamente selezionate, che non vengono mai biasimate e alle quali viene solitamente negata qualsiasi capacità di agire. Naturalmente, i palestinesi meritano davvero sostegno e una migliore opportunità di vivere la loro vita, il che include la possibilità di lasciare Gaza se lo desiderano. Tuttavia, appoggiando Hamas e altri radicali jihadisti violenti, i sostenitori dei terroristi in Occidente, un numero considerevole dei quali sembra appartenere al mondo accademico, non danno ai palestinesi la possibilità di una vita, una carriera o un governo migliori. Questi attivisti rovinano l’ambiente universitario senza alcun scopo utile e fomentano l’odio verso Israele e gli ebrei, anche se lo negano con veemenza: “Siamo solo antisionisti”, cosa che non ha prodotto assolutamente nulla e non fa che perpetuare la rovina dei palestinesi.

Le parti in causa in questo conflitto mediorientale dovrebbero, ovviamente, tornare all’equilibrio, alla ragione e alla compassione; chi commenta la situazione dovrebbe abbandonare la propaganda sia su Israele che sul Medio Oriente. Non possiamo sfuggire alla necessità di un dibattito più basato sui fatti. Anche i simpatizzanti di gruppi come Hamas farebbero bene a studiare un po’ di storia. Molti non si rendono conto che la mentalità evoluta del Medio Oriente è molto diversa da quella occidentale. L’islamismo espansionista e violento del regime iraniano, degli Houthi, di Hamas e di Hezbollah (e, sullo sfondo, del Qatar) affonda le sue radici nell’odio teologico dogmatico, non nella “giustizia sociale” o nei “diritti universali”, se non come definiti dalla legge della sharia. Questa visione ha portato solo repressione, miseria e morte. La comunità drusa nel sud della Siria è stata attaccata dalle forze del nuovo regime siriano, in particolare dalle milizie jihadiste ad esso associate, in quella che sembra una terribile “epurazione” e uno sterminio di massa. I drusi e le altre minoranze in Siria sono ancora sotto minaccia diretta. Il mondo, a quanto pare, se ne cura ben poco, men che meno i manifestanti “pro-Palestina”.

Solo Israele ha promesso di proteggere i drusi. Lo ha fatto nonostante fosse già stato attaccato su più di sette fronti, se si considerano la diplomazia internazionale e i rischi di un’escalation. Nel resto del mondo non sono state organizzate manifestazioni a sostegno della comunità drusa, di certo non in Occidente, né vi è stata alcuna risposta da parte di organizzazioni come il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Amnesty International, Icg, Human Rights Watch o tutte le cosiddette Ong “interessate”.

Finora la mediazione internazionale non ha avuto successo, forse perché è stata eccessiva, come ad esempio un’ingerenza occidentale inadeguata. Troppo spesso, inoltre, “l’aiuto” è stato fornito da mediatori problematici, come il Qatar (che, dietro le quinte, sembra aver ordinato ad Hamas di resistere). Per risolvere la questione sono necessarie più iniziative e dialoghi a livello locale, anche se tali proposte devono prima essere elaborate all’interno della stessa società palestinese. Un’iniziativa lodevole è stata anche quella degli imam europei in visita in Israele nel tentativo di costruire ponti. I governi e i parlamenti europei non hanno dato alcun seguito a questa iniziativa.

È possibile che in conflitti come quello di Gaza, una delle parti debba vincere e l’altra essere completamente sconfitta, come nella Seconda guerra mondiale, per evitare che la disputa continui a covare sotto la cenere all’infinito. Solo uno scossone di questo tipo potrebbe indurre all’autoriflessione, all’ammissione degli errori passati, al cambiamento di mentalità, al rispetto “dell’altro” e alla ricerca di una sorta di un nuovo accordo.

Non si può negoziare quando la controparte vuole la morte della propria popolazione. Finora questa è stata la posizione dell’Autorità Palestinese, di Hamas, dei jihadisti, di molti altri palestinesi e dell’Iran nei confronti di Israele e degli ebrei. Come sembra aver concluso Israele, non si può permettere che questo obiettivo persista.

Lo sviluppo più positivo sarebbe quello di lavorare per un futuro comune basato sul riconoscimento reciproco dell’esistenza, sugli scambi economici e sull’integrazione, come previsto dagli Accordi di Abramo. Anche un cambiamento radicale del regime in Iran rappresenterebbe un progresso importante. Tuttavia, potrebbe essere irrealistico aspettarsi che il popolo iraniano tenti di nuovo una rivolta senza coordinamento e aiuto dall’esterno, ma l’uscita di scena dei bellicosi mullah sarebbe certamente d’aiuto, così come lo sarebbero lo smantellamento di Hamas, la rimozione dell’Autorità Palestinese corrotta e violenta e l’eliminazione del movimento terroristico Hezbollah dal panorama politico e militare libanese.

Manifestazioni e proteste pubbliche sono, ovviamente, diritti fondamentali in Occidente. Nei conflitti mediorientali, tuttavia, sono state sbilanciate a favore dei movimenti terroristici e dei loro sostenitori, e persino basate in gran parte su disinformazione finanziata (si veda quiqui e qui). I conseguenti boicottaggi contro Israele in corso in Germania, Spagna, Regno Unito e Canada non sono minimamente utili; servono solo a distruggere completamente ogni possibilità di negoziare il rilascio degli ostaggi rimasti di Hamas, oltre a esercitare pressioni negative sui governi (di recente quello olandese) affinché adottino politiche anti-israeliane a vicolo cieco e faziose.

Infine, subito dopo che Francia e Regno Unito si sono uniti ad alcuni Paesi europei nell’annunciare la loro intenzione di “riconoscere” uno “Stato palestinese“, Hamas ha pubblicato video di ostaggi israeliani decisamente emaciati e affamati, uno dei quali, Evyatar David, è stato fotografato mentre scavava la propria tomba. È abbastanza chiaro chi sia “il cattivo”, indipendentemente dal riconoscimento europeo. Purtroppo, ma com’era prevedibile, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi il 12 settembre scorso ha seguito l’esempio, approvando nuovamente la cosiddetta “soluzione a due Stati”. Allearsi con persone dedite a sostenere movimenti terroristici, se non addirittura a sovvertire il diritto internazionale e a smantellare gli standard di civiltà come sembrano ora fare alcuni governi occidentali, potrebbe essere un segno di imminente collasso politico. La legittima difesa di Israele e la più ampia sicurezza geopolitica in Medio Oriente non ne trarranno alcun vantaggio. È necessario ridefinire il quadro.

[1] Per inciso, gli stessi meccanismi mediatici distorti sono stati utilizzati nel conflitto in Etiopia del 2020-2022. In quel caso, i cosiddetti media globali autorevoli hanno preso le parti di un violento movimento insurrezionale che ha dato inizio a una guerra contro il governo federale etiope con un massacro durato un giorno nel novembre 2020. Sebbene anche le forze governative etiopi abbiano successivamente commesso crimini di guerra, negli ultimi anni le affermazioni e le accuse dei media sui gravi abusi degli insorti sono state smontate e dimostrate errate. Nessuno ha chiesto conto ai media e alla loro informazione faziosa. Lo scetticismo nei confronti di questi “media tradizionali” è quindi del tutto giustificato, ancora di più nel caso del Medio Oriente, e in particolare di Israele.

(*) Tratto dal Gatestone Institute

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 11 ottobre 2025 alle ore 09:51