Dopo la Corea del Nord, Mosca punta su Cuba

La Russia sembra fare sempre più affidamento su combattenti stranieri per sostenere il proprio sforzo bellico in Ucraina, un segnale evidente di difficoltà a mantenere un esercito nazionale stabile e sufficientemente numeroso. Decine di migliaia di cittadini cubani sarebbero stati reclutati, attratti da stipendi fino a cento volte superiori al salario medio locale, una cifra che rende l’offerta irresistibile per molti in un contesto di grave crisi economica a Cuba. Durante un briefing al Congresso Usa, il portavoce dell’intelligence militare ucraina (Hur), Andriy Yusov, ha dichiarato che il numero di cubani già “reclutati e con i documenti pronti” si aggira intorno ai 20mila, ma potrebbe salire fino a 25mila se si considerano i reclutamenti ancora in corso e le operazioni già avviate da Mosca. Tra coloro che hanno firmato contratti ufficiali, il numero individuato dagli ucraini tra giugno 2023 e febbraio 2024 era di circa 1.038 persone. Il compenso offerto ai mercenari cubani è di circa 2mila dollari al mese, un importo che equivale a cento volte la media mensile di 20 dollari a Cuba, evidenziando come la Russia stia giocando sulla disperazione economica di un Paese in difficoltà per reclutare combattenti.

L’età media dei mercenari cubani è di circa 35 anni, un dato che suggerisce una selezione di uomini già adulti, con una certa esperienza lavorativa ma anche più esposti ai rischi fisici di un conflitto intenso. Le autorità ucraine hanno documentato almeno 39 cubani deceduti, pur precisando che si tratta di una stima parziale: il numero reale potrebbe essere molto più alto. Il governo cubano nega qualsiasi coinvolgimento diretto, pur ammettendo che alcuni cittadini possano essere stati coinvolti in attività di arruolamento illegale. Tuttavia, secondo Kyiv, un’operazione di tali dimensioni difficilmente potrebbe svolgersi senza il tacito consenso delle autorità cubane, mettendo in luce un ambiguità diplomatica che permette a Mosca di aggirare eventuali sanzioni o pressioni internazionali. Oltre ai cubani, la Russia ha fatto ricorso anche a truppe nordcoreane. Secondo stime di Reuters e Bbc, i soldati della Corea del Nord impegnati sul fronte – soprattutto nella regione russa di Kursk – sarebbero tra gli 11mila e i 12mila, con circa 4mila tra morti, feriti, catturati o dispersi. Diverse fonti di intelligence occidentale sostengono che questi militari siano impiegati principalmente come truppe d’assalto, subendo perdite elevate in operazioni dirette contro le linee ucraine. Vladimir Putin e Kim Jong-un hanno confermato pubblicamente la partecipazione di militari nordcoreani, un gesto che rappresenta non solo un rafforzamento della cooperazione militare tra Mosca e Pyongyang, ma anche un chiaro messaggio politico: la Russia, incapace di sostenere da sola il proprio apparato militare, si affida a partner internazionali disposti a pagare il prezzo umano della guerra.

Molti aspetti restano incerti, ma la presenza di contratti firmati, passaporti e liste di nomi reali suggerisce un reclutamento straniero organizzato e sistematico. Anche per i nordcoreani, il quadro diventa più chiaro dopo le ammissioni ufficiali, ma resta difficile verificare con certezza le perdite e il numero totale di combattenti impiegati. A questi contingenti principali si aggiungono presenze minori provenienti da Paesi dell’Africa e dell’Asia centrale, segnalando come la Russia stia creando una vera e propria “armata internazionale” di mercenari e soldati stranieri per compensare le carenze interne. Il ricorso massiccio a combattenti stranieri riflette in maniera drammatica le difficoltà della Russia nel mantenere i propri arruolamenti interni. Dopo oltre tre anni e mezzo di guerra, il bacino di volontari e coscritti russi – in particolare nelle regioni più povere e remote del Paese – sembra essersi ridotto drasticamente, riducendo le opzioni di Mosca per rimpiazzare perdite crescenti. L’affidamento a contingenti esterni appare così come un chiaro indicatore di logoramento: un tentativo di compensare uomini e risorse che la macchina bellica russa non riesce più a garantire autonomamente.

L’impiego di mercenari stranieri assume anche una valenza simbolica: segnala la crescente pressione interna sulla Russia, sia dal punto di vista sociale sia politico. Mentre la popolazione russa subisce le conseguenze di una mobilitazione sempre più estesa e di una guerra logorante, il Cremlino appare costretto a cercare personale altrove, mettendo in luce la fragilità del reclutamento nazionale e l’insostenibilità di una guerra prolungata senza un sostegno umano sufficiente. Inoltre, l’utilizzo di combattenti stranieri introduce rischi significativi: differenze culturali e linguistiche, minore disciplina, possibili problemi di lealtà e integrazione con le unità russe. Questi fattori potrebbero incidere negativamente sull’efficacia operativa delle forze di Mosca, amplificando le difficoltà logistiche e tattiche sul campo. L’approccio della Russia evidenzia così non solo un deficit numerico, ma anche una crescente vulnerabilità strutturale del suo apparato militare. In definitiva, l’affidamento su mercenari cubani, nordcoreani e altri combattenti stranieri è molto più di un espediente tattico: rappresenta un chiaro segnale della crisi interna della Russia, delle difficoltà di mobilitare risorse umane e della necessità di sopperire alle perdite con personale esterno. Questo fenomeno riflette il logoramento progressivo del sistema militare russo e l’urgenza per Mosca di mantenere in vita una macchina bellica sempre più costosa, sanguinosa e socialmente insostenibile. La guerra in Ucraina, ormai da anni, non è solo una prova militare: è anche un indicatore della fragilità politica, economica e morale della Russia, costretta a dipendere da combattenti stranieri per continuare a sostenere il proprio progetto aggressivo.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 10 ottobre 2025 alle ore 09:46