La Francia su Marte: Paris la Pétite

Su quale pianeta si colloca oggi la Francia macroniana? Su Marte, si direbbe. La Marianna fustigatrice di costumi altrui (chi non ricorda il siparietto Angela Merkel-Nicolas Sarkozy del 2011, ai danni del presidente del Consiglio pro tempore e, quindi, del Paese che Silvio Berlusconi rappresentava?), si è blindata nella sua arroganza, derogando impunemente da anni ai parametri di Maastricht sul contenimento del deficit e del debito pubblico nazionali. Non solo: mentre tutti gli altri partner grandi e piccini hanno fatto la loro parte di compiti a casa per l’innalzamento dell’età pensionabile (considerato l’invecchiamento inesorabile della popolazione europea), la Francia tiene demagogicamente ferma la barriera dei 62 anni. Innescando così crisi su crisi di Governo e cambi sempre più ravvicinati di primi ministri, a seguito dell’irriducibile e non mediabile opposizione di destra e sinistra, risolutamente contrarie a ridurre la spesa pubblica pensionistica e a operare i necessari tagli al lussuoso Welfare transalpino, che da molto tempo i francesi non si possono più permettere. Ora, si chiedono i più saggi tra di loro, come ce lo chiediamo un po’ tutti noi che siamo assieme nella stessa barca dell’Euro, come è possibile condividere la stessa moneta (nata per la verità malissimo, con un Trattato a parte, senza fiscalità, né bilancio comune tra i Paesi aderenti), rifiutandosi di accettare la necessaria e amara disciplina finanziaria? Così la delegittimazione del ruolo guida di Parigi è ormai alle porte, se non già operante a tutti gli effetti, visto il netto decoupling che si è di fatto creato tra la coppia di testa franco-tedesca europea.

La Germania di Friedrich Merz ha infatti deciso di correre sola in testa a tutti, avvantaggiandosi di decenni di rigore fiscale e budgetario, che oggi (grazie alla recente modifica costituzionale per la rimozione del tetto al debito pubblico) le consentono di stanziare per il prossimo quinquennio 500 miliardi di euro per risanare le proprie infrastrutture obsolete. Programmando per di più nel prossimo quadriennio ulteriori 600 miliardi di investimenti pubblici, per il potenziamento dell’industria degli armamenti e l’ammodernamento della arretrata Bundeswehr (le forze armate tedesche). E tutto ciò accade grazie a due fattori scatenanti: le persistenti violazioni dello spazio aereo europeo da parte russa e la guerra in Ucraina, che hanno reso sempre più urgente e necessaria una difesa comune europea. A questo punto, qualora Merz ripristinasse la coscrizione obbligatoria, sarebbe Berlino la nuova protagonista del riarmo, malgrado le mire egemoniche di Emmanuel Macron di prendere la testa della strategia bruxelloise di “RearmEurope”, con la scusa di mettere a disposizione la sua “Force de frappe” nucleare. Della quale in tutta evidenza si può fare a meno, visto che le basi di missili nucleari americani sono dislocate un po’ dappertutto in territorio europeo.

Ora se i francesi sembrano a proprio agio nel fare la “sourde oreille” all’invito di rimettere i propri conti in ordine, adeguandosi così alle pressanti richieste che vengono dai loro partner europei, tuttavia questo atteggiamento irresponsabile implica che, con ogni probabilità, l’elettrochoc salutare (pari a una “Grandeur” inversa) verrà proprio dai mercati finanziari. Gli investitori internazionali, del resto, hanno già parlato molto chiaro provocando l’azzeramento degli spread tra i titoli del debito pubblico francese e quello italiano. Cosa inconcepibile fino a pochi anni fa, in cui l’Italia era considerata la grande malata d’Europa, mentre oggi Parigi è obbligata a finanziare il proprio debito pubblico con tassi di interesse sempre più alti. Ma, osserva Financial Times, a essere in crisi non è tanto l’economia, quanto l’intero sistema politico francese. Lo testimonia l’attuale difficoltà di formare un “Governo di scopo”, che consenta di evitare la gestione provvisoria del bilancio, presentando in Parlamento entro il 13 ottobre la legge finanziaria 2025, per dare sufficiente spazio al dibattito parlamentare e approvare la legge stessa entro il 31 dicembre prossimo. I rischi della gestione provvisoria (sulla base, quindi, dell’invarianza degli stanziamenti dell’anno precedente, suddivisi in dodicesimi) sono evidenti: non si potranno aumentare le spese per il welfare, né sarà possibile sostenere l’ulteriore aggravio degli interessi sul debito, con un deficit annuale che viaggia verso il 6 per cento, sacrificando così i margini di manovra per gli investimenti pubblici in altre aree di intervento. Del resto, questo dissesto dei conti dello Stato francese risale al 2019, durante il periodo pandemico, a seguito degli interventi voluti da Macron a sostegno dell’economia e delle famiglie, che portarono a un consistente taglio delle tasse e all’erogazione di sussidi per centinaia di miliardi di euro.

Non aiutano di certo a superare l’attuale impasse istituzionale le prese di posizione di alcuni leader centristi, come Édouard Philippe, già fedelissimo di Macron, che ha chiesto al Presidente di fare un passo indietro, dimettendosi anticipatamente, per dare spazio a nuove elezioni presidenziali e legislative. Del resto, l’Eliseo è il solo responsabile di aver innescato nel 2024 la crisi in atto, iniziata con la decisione “sovrana” da parte dello stesso Macron di sciogliere anticipatamente l’Assemblea, a seguito del disastroso risultato ottenuto da Renaissance, il partito del Presidente, alle elezioni europee di quell’anno, in cui stravinse il Rassemblement National di Marine Le Pen. Il calcolo, rivelatosi più che sbagliato, era di provocare una reazione popolare contro l’avanzata delle destre, per arrestare con un voto plebiscitario la famosa “Onda nera” alla tedesca. Missione riuscita al secondo turno, ottenuta però in modo strumentale, del tutto incongruo e irrazionale, in quanto privo di un’adeguata proposta politica, che non fosse semplicemente “contro” qualcuno, come accade da tempo con il famoso campo largo anti-meloniano italiano. Le elezioni legislative anticipate furono così caratterizzate da una sorta di santa alleanza anti-Le Pen tra centristi e sinistre, che ha comportato per contrappasso la netta vittoria, a seguito degli accordi di desistenza nei collegi uninominali, della formazione di estrema sinistra, La France Insoumise, di Jean-Luc Mélenchon.

Da allora, si è assistito a una catena di dimissioni anticipate da parte dei primi ministri di nomina presidenziale, che non hanno più trovato maggioranze di sostegno in Parlamento, anche a seguito del perentorio rifiuto di Macron di nominare un premier gradito alle sinistre, pur uscite vincitrici (a causa sua!) dalle elezioni legislative anticipate del 2024. Così, come si è detto, l’alleanza contro natura Le Pen-Mélenchon ha provocato le dimissioni a ripetizione dei Governi del presidente, e impedito di fatto l’adozione nella Legge finanziaria 2025 di misure fortemente impopolari, come l’innalzamento dell’età pensionabile e i tagli al welfare, necessari per l’indispensabile riequilibrio dei conti pubblici francesi. Pertanto, oggi Macron si trova confrontato con il peggior risultato politico del suo secondo mandato, inseguendo un po’ alla disperata la formazione di un Governo di scopo, che consenta al Paese di evitare la gestione provvisoria del bilancio, come conseguenza dell’immediato scioglimento della Assemblea, insistentemente richiesto dalle opposizioni. Come farà ora Macron a mantenere la promessa fatta a Donald Trump di stanziare per la difesa 6,5 miliardi nel prossimo biennio, che ammonterebbero a più di 3 (introvabili) miliardi nel 2026?

Aggiornato il 10 ottobre 2025 alle ore 09:58